Marta Morazzoni
“Giallo” di Michel Pastoureau

Il gilet di Werther

Fantastica guida lo storico francese, che prosegue il suo viaggio nei percorsi dell’umanità attraverso i secoli e i colori. Il nuovo capitolo, riservato al giallo in tutte le sue declinazioni, ammalia e rivela. Ce lo racconta una lettrice appassionata…

I libri di Michel Pastoureau sono la scoperta di un mondo insieme alla conferma che tutto nel mondo è storia. Ovvio, ma è un’ovvietà su cui conviene riflettere; e viene confermata anche questa volta dal punto di vista del colore, peculiare a questo coinvolgente studioso. Sono tra quelli che alla scrittura di Pastoureau si sono affezionati, ne sono per così dire golosa e mi lascio catturare dagli itinerari che ci racconta, sciorinando ai nostri occhi il percorso che l’umanità ha fatto attraverso i colori. Ho cominciato con il blu, poi il nero, il rosso, il verde e ora il giallo, e sempre la linea guida cromatica ha scovato raccordi tra elementi cui non penseremmo e che, svelati, ci paiono di colpo così chiari!

Giallo è il colore del sole, e questa è la prima, immediata percezione cui siamo abituati, ma prende tante altre sfumature e si declina per una quantità di nomi più puntuali e indicativi della tonalità, più densa o più scialba, calda o infida, simbolo della forza vivificante o invece dell’ambiguità, della doppiezza. È un viaggio che l’autore, in questo suo ultimo lavoro proposto da Ponte alle Grazie (Giallo. Storia di un colore, 240 pagine, 32 euro), conduce stregando il lettore con il corredo di immagini, di riferimenti ad ampio spettro, coinvolgendo lo studio dell’ottica e la storia dell’arte, l’araldica e la simbologia sportiva, dai tornei dei cavalieri medievali, alla prima maglia gialla indossata al tour de France nel 1919. E il lettore lo segue con la curiosità di approfondire un’interpretazione dei segni con cui d’abitudine convive per lo più senza averne consapevolezza, coinvolto nella miopia delle consuetudini che non gli fa cercare la ragione lontana delle cose. E allora, la lunga storia che comincia alle origini del tempo, ci spiega e declina la ragione di certe a volte nefaste consuetudini, vedi la stella gialla imposta dal nazismo agli ebrei, un’identificazione di appartenenza che diventa uno sciagurato marchio di infamia, finché l’infamia ricade su chi l’ha voluta come elemento persecutorio.

Ma il giallo continua il suo viaggio un po’ ambiguo: è anche il colore identificativo di Giuda, il traditore per eccellenza, e allora ha la tonalità sporca dell’infingardaggine, della doppiezza, qualcosa che va in controtendenza con la chiarezza calda del sole. Nella gamma di termini che indicano quello che definiamo in genere giallo sono contenute tutte le variabili dei toni, che sia ocra, oro, miele, croco o cloro, scivolando verso il pigmento verde, che ne intacca la luminosità. E nelle variabili tonali, come in una musica, percepiamo armonie diverse, ne riceviamo diverse sensazioni. Fu per i romani il colore delle nozze, quando in origine lo portavano i due sposi e il rito matrimoniale avveniva in una stanza dipinta di giallo, a indicare il calore dell’amore e la fecondità; poi diventò identificativo degli effeminati, come emerge dalla vicenda di Clodio Pulcro, fratello della celeberrima Lesbia di Catullo, colpevole della profanazione dei misteri della Buona Dea compiuta da lui. E qui, per chi voglia averne una sofisticata lettura e interpretazione, consiglio il romanzo di T. Wilder Le Idi di marzo. Niente a che fare col colore ma quanto con la contaminazione tra storia e invenzione!

E infine c’è il giallo nella nostra contemporaneità, e qui Pastoureau dedica poche note al colore adottato da un nuovo movimento politico nato in Italia, ma non tralascia le imprese dei Gilet Jaunes francesi, che lo hanno scelto a simboleggiare “i dimenticati della repubblica”, perché il giallo è il colore fuori sistema, il colore della provocazione. A me, per chiudere, viene in mente un altro, romantico gilet giallo, ed è quello del giovane Werther, l’eroe che ha dato vita a un singolare seguito nell’abbigliamento dei giovani nel tempo in cui la letteratura aveva una grande voce in capitolo.

(Nell’immagine vicino al titolo: particolare di “Il caffè di notte” di Vincent van Gogh)

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