Filippo La Porta
Visite guidate

Gli incontri di Bellini

La “Madonna col bambino” di Giovanni Bellini conservata alla Pinacoteca di Pavia è un 'opera enigmatica. L'espressione triste della Madonna e la luce diffusa sembrano rivelare l'umanità che si nasconde dentro il mondo

Quando sarà di nuovo possibile “viaggiare” per l’Italia (una frase che fino a due mesi fa mi sarebbe sembrata surreale!) prendo il treno e vado a Pavia. Ho voglia di rivedere dal vivo un dipinto di Giovanni Bellini che ho ammirato qualche mese fa in una mostra torinese, dov’era in prestito.

Anzitutto: la pittura di Bellini è fatta di colore e di luce, come informa ogni manuale di storia dell’arte: memore del tardogotico e del bizantino preannuncia Tiziano e Giorgione. Il pittore rinascimentale era molto amato da Elsa Morante, che nel Mondo salvato dai ragazzini lo include tra i F.P., i Felici Pochi. Inoltre Carlo Cecchi riferisce di una visita alla Gallerie dell’Accademia, a Venezia, dove la Morante vide la Tempesta di Giorgione insieme alla Madonna con bambino tra San Giovanni Battista e una santa di Giovanni Bellini. A distanza di tempo la stessa scrittrice interpretò la visita al museo come una premonizione dei suoi due successivi romanzi sulla maternità, La Storia e Aracoeli. Certamente Bellini era un riferimento anche per il Pasolini del Vangelo secondo Matteo, non solo il viso di Cristo (nella Pietà), ma anche la Madonna.

Per il grande storico dell’arte Roberto Longhi, Bellini, “uno dei grandi poeti d’Italia”, è «Uomo di meditazioni instancabili, mai pago di evocare l’antico, d’intendere il nuovo e di provarli, egli fu tutto quel che si dice: prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco; eppure sempre lui, caldo sangue, alito accorato, accordo pieno e profondo tra l’uomo, le orme dell’uomo fattosi storia, e il manto della natura». Ecco, questo “accordo pieno” con la storia umana e con la natura è qualcosa di cui tutti abbiamo memoria e nostalgia: innerva segretamente i nostri gesti migliori, ispira i nostri pensieri creativi, spinge in avanti la nostra confusa ricerca della felicità.

A gennaio, come dicevo, ho visto una mostra dedicata a Mantegna al museo torinese di Palazzo Madama, che comprendeva anche dei dipinti del cognato Bellini. Alcuni ritratti sono straordinari, quasi personaggi di un “romanzo” italiano scritto con le immagini, che dal Rinascimento giunge fino al ‘600, e è per noi l’equivalente del teatro shakespeariano (Bellini non è stato solo “poeta”, come dice Longhi, ma anche finissimo “narratore”) E poi, sempre di Bellini, una Madonna col bambino che è conservata alla Pinacoteca di Pavia, e appunto concessa in prestito per la mostra. Appartiene alla produzione giovanile di Bellini, morto quasi novantenne, e certamente rispetto alle Madonne successive questa appare più stilizzata. Pare sia ispirata a una icona bizantina. Eppure è una icona animata dall’interno, riempita di vita e di sentimento. Si intravede nella volta uno spicchio di cielo azzurro. Il volto della Madonna ha qualcosa di umile (l’estrazione sociale non è chiara) e pure di triste. Tristi saranno un po’ tutte le madonne belliniane successive, ma hanno forse tratti più addolciti. Il suo sguardo è partecipe e insieme un po’distaccato, amorevole e misticamente rivolto a una verità solo presentita. Potrebbe essere una donna semplice e però quasi custode di misteri più grandi di lei, un po’ come la Madonna giovane pasoliniana. Il luminismo di Bellini mi evoca il Paradiso di Dante: quella luce divina che si posa uguale dovunque, uniformemente: ci rivela il mondo, e soprattutto l’umanità dentro il mondo.

Nei giorni del distanziamento mi è venuta una voglia irrefrenabile di incontrare tante persone, anche che non vedo da tempo (il distanziamento coatto è una cura della misantropia!). Di incontrarle nella luce di una bella e luminosa giornata, e in qualche affollata piazza storica (le piazze d’Italia deserte – nitide come in un plastico –, fotografate in questi giorni, sembrano luoghi cimiteriali). Ho avuto nostalgia di quell'”accordo pieno” cui alludeva Longhi. Che ci ricorda tra l’altro una verità preziosa: forse il pianeta si metterà in sicurezza solo con l’estinzione della nostra specie, eppure la natura senza «le orme dell’uomo fattosi storia» non è né bella né brutta. E anzi: come può interessarci davvero?

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