Matteo Pelliti
Lapis

A Fiascherino

Tornare "a Fiascherino", tornare alle proprie origini: questo succede nella quarantena. Meglio diffidare un po' di chi pretende di spiegarmi cosa «ci sta insegnando la quarantena». Meglio parlare per sé, «sulle proprie gambe»

Quando ritornerò a Fiascherino. Oggi, improvvisamente, ho pensato questa frase: «Quando ritornerò a Fiascherino», che forse è il titolo di una raccolta di poesie formata da una sola poesia composta di un solo verso, Quando ritornerò a Fiascherino, appunto. O forse era solo una domanda che mi facevo, senza risposta, in luogo di un interrogativo molto comune: «quando finirà?». Che poi, a Fiascherino (amena località marina del comune di Lerici in provincia di La Spezia, poco distante da dove sono nato) sono moltissimi anni che non vado. Quindi ho capito che la quarantena genera nostalgie non tanto o non solo per i luoghi più amati e più usuali delle proprie giornate del passato, quanto per luoghi che non si sono proprio visitati o dai quali si manca da moltissimo tempo.

Analogamente, ho osservato che l’isolamento forzato amplifica il dialogo coi propri cari defunti. È, per me, un “amplificatore di segnale” questo isolamento. Proliferano, sì, le videochiamate coi nonni, le videochat di gruppo con gli amici, ma anche lo scambio di pensieri e di ricordi con chi ci ha lasciato, lontana o recente che sia stata la perdita. Spesso parlo con mia zia, che è mancata a dicembre, non potendo più chiamarla a casa la sera per sapere come ha passato la giornata. Un’altra cosa che ho capito della quarantena è che diffido sempre un po’ di chi pretende di spiegarmi cosa «ci sta insegnando la quarantena». Preferisco chi parla per sé, senza necessariamente includermi forzatamente nelle sue generalizzazioni e conclusioni. Parlare e scrivere «sulle proprie gambe».

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