Pier Mario Fasanotti
Cronache dall'Italia sospesa

Parole in silenzio

«In queste ore rileggo "Diceria dell’untore” del siciliano Gesualdo Bufalino (il titolo potrebbe essere interpretato come profetico). Le sue parole sono un distillato linguistico eccezionale. Lo leggo lentamente, per gustarmelo di più

Immagini di Roberto Cavallini 

Non ho mai sentito tanto silenzio. Ogni tanto mi affaccio alla finestra e, nella maggior parte dei casi, vedo una o due persone. O nessuno. Cerco di immaginare che cosa faccia la gente a casa. Debbo dire la verità: mi infastidiscono certi interventi televisivi in cui si tenta di suggerire rimedi al forzato isolamento. Gli psicologi e i sociologi dicono più o meno le stesse cose. Più volte ricorrono al significato reale della parola “crisi“, che deriva dal greco: punto di svolta, opportunità per crescere, eccetera. Lo so: è dura stare sempre o quasi a casa e non è certo il giocare a Monopoli o a Cluedo il rimedio per eccellenza. Mi auguro che riemerga un’abitudine perduta: il conversare, il raccontare di sé e degli altri. Consuetudine che in questi ultimi decenni si è persa o drammaticamente attenuata. Il racconto è paragonabile alla lettura a voce alta di un libro.

Sono un giornalista in pensione e pubblico libri. A proposito di questi ultimi mi hanno rattristato gli ultimi dati forniti dall’Ali (Associazione Librai Italiani): la vendita è calata del 23 per cento. Se a questo si aggiunge l’endemica distanza di noi italiani dalla lettura, il quadro si fa desolante. Personalmente sono un assiduo ascoltatore di Radio 3: rassegna stampa, servizi culturali, finestre aperte sul mondo, reportage. Penso al Medio Oriente, a chi sta veramente male, ai bambini e ragazzi che nell’isola-lager di Lesbos si strappano i capelli: un gesto para-suicida. Ci sarà inevitabilmente un grande movimento di profughi. Si alzeranno muri e barriere con soldati in assetto di guerra. La destra più feroce e più stupida si sentirà orgogliosa delle proprie “ragioni”.

Mi capita spesso di riprendere in mano scrittori eccelsi. In queste ore rileggo Diceria dell’untore del siciliano Gesualdo Bufalino (il titolo potrebbe essere interpretato come profetico, in ogni caso lo preferisco alla Montagna incantata). Le sue parole sono un distillato linguistico eccezionale. Lo leggo lentamente, per gustarmelo di più. E poi Albert Camus (rileggere La peste è consigliabile). E poi Orham Pamuk (premio Nobel), lo spagnolo Javier Marias (mi auguro che abbia prima o poi il Nobel), Philip Roth (gli hanno “scippato“ il Nobel), e altri che magari le circostanze hanno marginalizzato.

Sono divorziato due volte. Quattro figli, due per moglie. Tre maschi vivono a Milano, la femmina a Viterbo. Mi spiace tantissimo non stare un po’ con loro. Che mondo avranno davanti, tenuto anche conto del disastro ecologico? Un pensiero ricorrente.

Vivo a Borgomanero (No), vicino al lago Maggiore. Scelto per motivi economici: gli affitti a Milano e immediati dintorni sono altissimi. Il Piemonte lo conosco abbastanza bene avendo vissuto nove anni a Torino (lavoravo a La Stampa). I piemontesi sono gentili a metà: all’inizio danno l’impressione di cameratismo, ma non c’è poi un seguito. Per sedici anni ho fatto la spola Milano-Roma (avevo una compagna). Ecco, a essere sincero è Roma che mi manca, città che ti si butta addosso, dove il chiacchierare è normale, spontaneo. C’è ironia, c’è l’invenzione della battuta. Sentendola lontana, rischio di esagerare nel farle i complimenti, proprio come se fosse una bella donna. E poi la sua bellezza architettonica da sindrome di Stendhal. I “sassi” antichi mi hanno sempre affascinato. Conosco più parole latine che inglesi. Mi tengo lontano dal tedesco. Per ragioni personalissime: mio zio è stato deportato nella bassa Sassonia ed è morto in una fabbrica come “schiavo di Hitler”, avendo rifiutato di aderire alle SS italiane o alla Rsi dell’ultimo malconcio Mussolini. Sono stato, anni addietro, in Germania, e ho avuto modo di avvertire una brutta rimozione del passato. Un albergatore, al quale chiedevo come andare al cimitero di guerra di Francoforte, mi ha detto: «Qui non c’era la guerra». Non ho mai risolto un dubbio: perché mai un popolo di buona o alta cultura si è trasformato in una folla di fantocci adoranti di un uomo che a dire modestissimo è poco?

Quando finirà questa pandemia? Se lo chiedono tutti, magari nascondendo un acuto pessimismo. “Ce la faremo”: questa è la scritta che vedo sul pc o sul telefonino, assieme al nostro tricolore. E ancora: usciremo diversi? Sì, a questo credo, pur odiando la retorica e, in genere, l’entusiasmo. Auguri di vita serena a tutti.

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