Luca Zipoli
Cronache dall'Italia sospesa

Basta una bandiera

«Nel turbinio di queste emozioni, sono rimasto a guardare fuori dal balcone e i miei occhi hanno piacevolmente incontrato anche altri tricolori. Non molti, a dire la verità, ma quanti sono bastati a non farmi sentire solo»

Immagini di Roberto Cavallini

In questo tempo di isolamento e di segregazione i giorni sembrano scorrere uno uguale all’altro. Per chi, come me, con la pandemia ha perso l’opportunità e anche la serenità di andare avanti con il proprio lavoro, le giornate procedono secondo una mesta routine e sono scandite da riti che si ripetono sempre uguali: la fila paziente di fronte all’entrata del supermercato, le chiamate o le videochiamate per cercare di mantenere una socialità venuta meno, il momento dei bollettini della sera con la speranza che il contagio arresti presto la sua corsa. Inchiodati a questo ritmo di triste monotonia, si fa fatica a riconoscere il passare dei giorni (“ma oggi che giorno è?” mi ha chiesto ieri mia mamma, in dubbio se era la sera del programma tv che segue ogni settimana), ed è forse questa una delle tante cose che ci ha tolto questo virus: l’idea di un tempo che non resta piatto ma evolve, il senso di una vita che normalmente non procede in linea retta ma a sbalzi, con i suoi pieni e i suoi vuoti, le pause alternate alle frenesie.

Eppure oggi, a pensarci bene, è un giorno diverso dagli altri trascorsi in questa reclusione. Il 17 marzo ricorre infatti l’anniversario dell’Unità d’Italia, perché in quel giorno del 1861, al termine delle lotte risorgimentali, Vittorio Emanuele II fu proclamato Re d’Italia. Quel giorno la nostra penisola si ritrovò, per la prima volta nella storia, riunita sotto una stessa corona e sotto un Parlamento che parlava la stessa lingua dei suoi cittadini (facevano eccezione Veneto, Roma, e Trentino Alto-Adige che si sarebbero uniti nei decenni successivi). Al giorno d’oggi la nostra unità come paese ci appare un fatto quasi scontato, e tendiamo a dimenticarci dell’importanza di questo evento, accaduto peraltro in tempi non così lontani da noi, se pensiamo che i nonni dei nostri nonni non potevano ancora definirsi italiani. A soccorrere la memoria della ricorrenza, in questo tempo sospeso, ci ha pensato la mia passione per le date, che mi porta spesso a riallacciare i giorni sul calendario ad anniversari storici o letterari (ne sanno qualcosa i miei amici a cui talvolta capita di sentirsi dire “Buon compleanno, oggi è anche il compleanno di Torquato Tasso”).

Non sono ovviamente il solo ad essersene ricordato, il Presidente Conte ha fatto un post Facebook, le maggiori istituzioni lo hanno menzionato, così come tutti quei cittadini che portano nel cuore le cerimonie di nove anni fa, quando l’anniversario aveva la cifra tonda di 150. In questa prova ardua per il nostro paese, è facile capire come l’anniversario dell’unità d’Italia, che forse nella frenesia della quotidianità sarebbe passato inosservato, si carica di un significato particolare. Forse mai come in questo frangente di emergenza sanitaria capiamo il senso di essere uniti come paese, l’importanza di ragionare come una collettività e non come singoli, il valore di collaborare tutti insieme, tra città, regioni e singoli cittadini, per il benessere di tutti.

Nella mia famiglia le festività o ricorrenze civili si accompagnano sempre a una tradizione, una sorta di rito laico che ci piace compiere ormai da diversi anni. Ogni 25 aprile, 2 giugno, 4 novembre o in altre circostanze che lo richiedono, siamo soliti esporre sul nostro balcone il tricolore, per partecipare anche all’esterno al giorno di festa. Quella che abbiamo è una vecchia bandiera, non di particolare pregio a dire il vero, l’acquistammo all’edicola in occasione dei mondiali di calcio che l’Italia vinse nel 2006 e da quel momento in poi decidemmo di tornare a esporla in tutte le celebrazioni nazionali, senza aspettare il campionato successivo. Oggi, anniversario dell’unità, quella stessa bandiera l’ho messa a sventolare io, ed è stato diverso dalle volte precedenti. In queste circostanze, infatti, alla ricorrenza storica si è unita l’urgenza dell’attualità, e il nostro tricolore è venuto subito a rappresentare, oltre al ricordo del passato, anche un gesto di solidarietà verso quelli che in questo momento stanno soffrendo e di gratitudine per quelli che stanno lavorando per salvarci. Su un piano più personale, poi, il momento si è rivelato toccante, perché questo gesto ho imparato a compierlo in questi anni grazie a mio padre, che da tre mesi ho vicinissimo al mio cuore ma purtroppo lontano per sempre dal mio abbraccio.

 

Nel turbinio di queste emozioni, sono rimasto qualche minuto a guardare fuori dal balcone e i miei occhi hanno piacevolmente incontrato anche altri tricolori. Non molti, a dire la verità, ma quanti sono bastati a non farmi sentire solo con i miei pensieri e a farmi ritrovare in una comunità di intenti con altri concittadini, ridandomi quel senso di condivisione e di incontro che con il covid-19 abbiamo perduto. Ho deciso quindi d’un tratto che la nostra bandiera non resterà appesa solo la giornata di oggi ma resterà lì per tutto il tempo che durerà questa emergenza.

Mi sono ritrovato anche a pensare che, tra i tanti flash mobs dalle finestre che si stanno susseguendo in questi giorni (dalla musica italiana all’inno nazionale, fino al meritatissimo applauso ai nostri medici e infermieri) sarebbe bello lanciare anche un flash mob della bandiera. Ci potremmo mettere d’accordo per esporla tutti alla finestra o ai balconi per tutti i giorni fino a quando questa emergenza non sarà passata, come in effetti già alcuni hanno iniziato a fare. Ognuno di noi potrebbe mettere un tricolore di qualsiasi tipo, vecchio o nuovo, grande o piccolo, comprato online o fabbricato a casa con carta e pennarelli colorati o perché no, anche cucito con delle stoffe avanzate. Penso che potrebbe essere un bel gesto per raccoglierci insieme attorno a un altro segno della nostra identità, oltre ai cantautori e all’inno nazionale, e per ricordarci, ogni volta che ci affacciamo, che siamo tutti uniti nell’affrontare questa emergenza.

I giorni della quarantena procedono quasi tutti uguali, si diceva all’inizio. Eppure, oggi sono bastati una ricorrenza sul calendario, una bandiera, e un ricordo personale, per illuminare la giornata, restituendo delle emozioni che hanno dato a questo isolamento un senso diverso, più profondo. Il 17 marzo non è stato soltanto il nono giorno di reclusione, ma un giorno in cui, proprio grazie alla pausa meditativa che ci è imposta, mi è stato possibile capire meglio il senso di alcuni gesti che ho ricevuto e ricordare con gratitudine chi me li ha lasciati in eredità. Non so se il flash mob tricolore davvero si farà, tra gli altri che saranno proposti. Sono sicuro però che, come la mia, resteranno appese anche le altre bandiere che oggi ho visto, e che non solo per me, ma anche per altri concittadini, questa immagine sarà un momento di conforto e di condivisione. Per ricordarci l’importanza di essere e di pensarci uniti. Oggi, come ieri, e forse ancora di più domani.

Buon 17 marzo a tutti noi.

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