Lidia Lombardi
Un saggio sul padre del Futurismo

La mano di Boccioni

Un saggio molto approfondito di Silvia Vacca ricostruisce la storia di una litografia di Umberto Boccioni: quel celebre "camminatore" del 1913 che sta alla base di tutta la sua ricerca sulla dinamicità dei corpi umani

Un uomo in cammino su una strada, nel vento. Verso chissà quale avventura. Calamita lo sguardo, ed è stata esposta e pubblicata tante volte, la grande litografia di Umberto Boccioni compresa tra gli altri capolavori futuristi del milanese Museo del Novecento. Mai fin qui era stata oggetto di un approfondito, esteso studio critico. Soltanto isolate citazioni. Questo, benché la bibliografia internazionale sull’artista, fondatore della pittura e della scultura futuriste, fosse vasta da tempo. Come la sua fama, cresciuta in contrappasso con la vita breve e con il brevissimo, finale periodo di fulgore, quello nel quale eseguì l’opera. (Morì soldato trentaquattrenne nel 1916 per una caduta da cavallo, e visse il suo futurismo negli ultimi sei anni). Ora la lacuna è colmata da un libro che, auspicato dal compianto Enrico Crispolti, si vale di una prefazione di Antonello Negri: Dinamismo di un corpo umano. Una litografia di Boccioni, di Silvia Vacca, Quodlibet (Milano, 2020. 183 pagine, 20 euro).

La litografia, più precisamente, è una “prova litografica” realizzata in soli tre esemplari, due dei quali sono in collezioni private, a Padova e a Roma. Misura 93×66 centimetri, è del 1913 ed è stampata a inchiostro nero su carta “povera”, da bozze. Il personaggio che raffigura avanza nella dispersa luce dei lampioni. Dunque l’opera declina il tema boccioniano del “camminatore”, che ha la sua più celebre interpretazione nella scultura Forme uniche della continuità nello spazio, vera icona del futurismo, il cui originale in gesso è nel Museo di San Paulo, in Brasile, e i cui calchi in bronzo – tutti postumi, e i primi del 1931 – sono nei più importanti musei del mondo, tra i quali il MoMA di New York, la Kunsthalle di Manneim e la Tate Modern di Londra. Nonché, in Italia, nel Museo del Novecento di Milano. (Si ricorderà che, sebbene fosse un bronzo tratto non già dal gesso primigenio ma un calco di un altro bronzo, un Forme uniche della continuità nello spazio è stato venduto a New York nel novembre scorso, in un’asta di Christie’s, per oltre sedici milioni di dollari).

Silvia Vacca, ricercatrice dell’Università di Milano, ha compiuto indagini minuziose in archivi e biblioteche per ricostruire la storia dell’opera, proveniente dalla famosa collezione Jucker, che la ricevette da Amelia Boccioni, l’amatissima sorella dell’artista. Documenti e testimonianze inappuntabili. Ma Silvia Vacca si valse di uno straordinario vantaggio: ebbe la fortuna di poter studiare la litografia congiuntamente allo studio – poi pubblicato – dei disegni di Boccioni conservati nel Castello Sforzesco, coevi e anch’essi dedicati al dinamismo delle forme. Si valse, nell’uno e nell’altro caso, della collaborazione del professor Gianluca Poldi, specialista nell’esame dei supporti artistici, dalla carta alla tela, dal legno ai marmi. Così, anche attraverso l’impiego dei raggi infrarossi, i fogli svelarono corrispondenze stilistiche e particolari, anche sorprendenti, che sfuggono allo sguardo. Emersero non soltanto i “pentimenti” dell’autore, le aggiunte di biacca o la traccia di qualche esitazione, bensì pure certe non poche caratteristiche esclusive della mano di Boccioni, presenti nei disegni come nella litografia, testimonianze di un’autografia del resto indiscussa. Tutto questo e tanto altro ancora costituisce l’approdo di un’avventura culturale durata sei anni. È un libro che, non a caso, è stato subito acquisito da Università e Musei, all’estero più che in Italia.

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