Anna Camaiti Hostert
Cartolina dagli Usa

Chi vuole Sanders

Entra nel vivo la campagna per le primarie dei Democratici negli Usa. In attesa del Supermartedì del 3 marzo, l’unico che svetta tra (troppi) candidati (troppo) rissosi è Bernie Sanders, il più estremista. Perché?

Trump, prima della vera e propria campagna elettorale, si assicura, fin da ora, un cordone di protezione attraverso i suoi poco ortodossi metodi che ormai conosciamo, approfittando di una stampa distratta dai dibattiti e delle primarie democratiche. È importante far presente quello che intorno all’evento principale del giorno si sta muovendo, proprio per capire come opera Trump. Così prima, nel tentativo di far abbassare la pena al suo amico e sodale in affari con la Russia, Roger Stone, il cui soprannome, dirty trickster, già dice tutto di lui, fa dimettere attraverso il Ministro della Giustizia, che fa finta di gridare al lupo, 4 giudici che lo avevano condannato, sperando di fargli diminuire la pena. Poi nomina un suo fedelissimo a sovrintendere tutto il meccanismo dell’intelligence, tale Richard Grenell, attualmente ambasciatore in Germania, senza alcuna esperienza nel settore. La cosa ha provocato ovviamente una reazione generalizzata di protesta di tutto l’apparato che si vede guidato da una persona completamente a digiuno delle procedure e del funzionamento di quella delicata macchina. Grenell ha già ha fatto dimettere l’ex direttore Joseph McGuire e il suo vice Andrew P. Hallman, si vocifera, perché non troppo favorevoli a Trump. Sembra che Trump si sia infuriato perché proprio dall’intelligence sarebbe partita la recente notizia che la Russia è favorevole a una sua rielezione. Naturalmente Grenell ha provveduto subito a nominare personaggi che sono molto vicini al presidente. E non voglio dire che questo fatto sia passato in sordina, perché se ne parla e se ne scrive, ma certo rispetto a quello che sta succedendo nell’universo democratico ha meno copertura mediatica e meno approfondimenti del solito. Eppure sono mosse gravi e azzardate. Vi ricordano Frank Underwood di House of Cards? Beh, avete ragione!

Dopo l’impeachment e l’impossibilità di procedere contro di lui, è stato detto che Trump avrebbe imparato qualcosa. Viene da chiedersi riecheggiando le parole di Jack Tapper, giornalista di punta della CNN che, a conclusione del suo programma domenicale State of the Union, commentando proprio quest’ultimo fatto si è chiesto ironicamente: «Forse ci è sfuggito qualcosa, ma qual è la lezione che dall’impeachment Trump avrebbe imparato?».

Nel frattempo, i democratici anche nell’ultimo dibattito in Nevada sono divisi, si attaccano l’uno con l’altro e il candidato più estremista, Bernie Sanders, sembra godere di un momentum, che, come si dice inglese, potrebbe giovargli la nomination per le presidenziali. Può sembrare assurdo che in America l’unico candidato che si dichiara socialista abbia il favore di molti nel partito democratico, da sempre nemico giurato di quell’ideologia. Eppure una parte della sua base elettorale, in maggioranza giovani, molti dei quali millenials, nati dopo il 2000, cioè dopo la caduta del muro di Berlino, non sono stati intimoriti, come le generazioni precedenti, da decenni di paura dello spettro del socialismo: non sanno neanche che cosa sia, non hanno conosciuto la guerra fredda e la Cortina di ferro. E dunque quando sentono Sanders che promette una marcata giustizia sociale anche con l’aumento del salario minimo a 15 dollari, una politica ambientale articolata, l’assistenza sanitaria per tutti e un sistema di pubblica istruzione colgono obiettivi che sentono propri. La sua piattaforma fa appello inoltre a molti settori dell’opinione pubblica. Il senatore del Vermont ha affermato infatti di volere dare voce a quei milioni di persone che non l’hanno mai avuta e che «da 45 anni non hanno visto il oro salario aumentare per niente, mentre coloro che sono milionari hanno espanso immensamente le loro fortune e nuotano nell’oro».

Sanders ha vinto di gran lunga il caucus in Nevada con il 46,6%, dopo il dibattito di mercoledì scorso nel quale ha assolutamente trionfato, lasciando notevolmente indietro il resto dei candidati con numeri molto più bassi. Questo, come abbiamo detto, gli apre la strada a una sua possibile nomination. Gli altri, Joe Biden con il 19,6%, Pete Buttigieg con il 15,3%, Elizabeth Warren con il 10,1% e Amy Klobuchar con il 4,8%, lo seguono arrancando a fatica e, come si vede, con enormi differenze percentuali. Il candidato Mike Bloomberg che non era presente nei ballot del caucus per essere votato, non è andato molto bene. Ma vediamo a grandi linee cosa ha portato a questi risultati. Sanders aveva contro il sindacato dei Culinary Workers per la ragione che la sua Medicare for all avrebbe potuto intaccare i benefici che già hanno e che questa categoria ha duramente negoziato. Dunque questa base elettorale ha diviso i propri voti tra i vari candidati, ma alla fine Sanders è riuscito a coagulare il suo consenso a sinistra anche tra le minoranze etniche: quella afroamericane e quella ispanica.

Biden, anche se non è fuori dai giochi, certo se non recupererà in South Carolina si troverà in una posizione molto delicata anche se è ancora troppo presto per fare pronostici definitivi. Certo sembra avere perso il supporto dei neri che in parte si sono riversati su Sanders, mentre ha guadagnato dalla pessima performance di Bloomberg che gli ha dirottato molti voti centristi. Buttigieg invece dimostra di avere esteso il suo appeal anche fuori dagli stati prevalentemente bianchi, ma anche per lui la South Carolina sarà un test importante. Il suo attacco a Klobuchar non né stato visto tuttavia favorevolmente dalla base femminile. Dovrà anche lui conquistare il voto dei neri che sarà determinante. Warren è arrivata quarta e, sebbene abbia messo alle corde l’ex sindaco di New York con le sue richieste di rendere pubbliche tutte le cause di sexual harrasment avviate contro di lui e la sua società e avere affermato che non c’è bisogno di un altro milionario alla Casa Bianca, non è riuscita a incantare gli elettori di questo stato. Il clash dei suoi obiettivi con quelli di Sanders apparentemente non le hanno lasciato spazio. E seppure la senatrice è piena di entusiasmo e di prontezza retorica, non sembra avere individuato una sua base elettorale ben definita. La serata di Klobuchar non è stata brillante e la senatrice del Minnesota ha passato più tempo a difendersi che a illustrare la sua piattaforma. Anche per lei è essenziale, come per Buttigieg che peraltro l’ha attaccata per non avere saputo il nome del presidente messicano, il voto degli afroamericani.

Infine, al dibattito Bloomberg non è andato bene. Quando era sindaco di New York la sua politica di stop and frisk soprattutto nei confronti delle minoranze nere e ispanica gli è stata rimproverata sia da Sanders che da Warren come razzista. A ciò Bloomberg ha risposto, dicendo che la situazione gli era sfuggita di mano. Ha anche affermato che poi l’ha quasi eliminata, dopo essersi reso conto che era un errore. In realtà è stato un ordine del tribunale cittadino che lo ha obbligato a ritirarla dopo molti reclami e cause intentate contro il Comune. Inoltre gli è stato rimproverato il fatto che abbia speso nella sua campagna elettorale più di mezzo miliardo di dollari da novembre. Non è sembrato eticamente concepibile agli stessi due che rifiutano anche il contributo dei PAC. Ma quello che gli è giovato di meno è stato che non si è voluto sottoporre alle primarie negli altri Stati prima del Super Tuesday. Infine, il suo rifiuto di rendere pubblico il numero delle donne che hanno intentato cause contro di lui, con la scusa che sono accordi privati, ha aggravato la situazione e non gli frutterà buona pubblicità con il potente movimento #Me too. Anche se adesso ha annunciato che renderà pubblico un ristretto numero di nomi di donne che hanno denunciato la sua società. Vedremo come per questi candidarti andranno il prossimo dibattito e le primarie in South Carolina.

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