Luca Fortis
Incontro con l'artista

L’arte è uno specchio

Edoardo Figara: «Il mio lavoro sugli specchi si sviluppa in maniera organica, come una pianta, cerca di crescere al meglio con quello che gli si dà, che si tratti di storie, musica, tempo, sangue…».

Entrare nello studio d’arte di Edoardo Figara, in un garage di Albinia in Maremma, è sempre un’esperienza particolare. Ci si immerge in un mondo ricoperto di specchi rotti, pieno di quadri di gran bellezza sparsi qua e là e di tanta musica e amici. Succedeoggi ha intervistato l’artista per comprendere il suo mondo.

La tua arte ha un rapporto con la musica? 

Dipingo ascoltando musica. Alle superiori ascoltavo molto punk e hardcore, cercavo la relazione tra pittura, musica e ritmo. Spesso ne nascevano anche incomprensioni sul mio stile artistico. Per esempio la musica punk hard core è molto ritmata e ascoltandola creavo quadri ritmati, in cui scrivevo anche frasi. La gente li guardava e mi diceva che erano futuristi. Io non li avevo fatti pensando al futurismo, ma associando il ritmo della batteria e della musica alla pittura. È come quando oggi associano le opere che faccio con gli specchi rotti al lavoro di Niki de Saint Phalle. Metaforicamente ci siamo quasi incrociati per le strade artistiche perché magari ascoltavamo la stessa musica. La musica forse ti collega con qualcosa fuori dal tempo. Io ho sempre avuto un profondo rapporto con la musica elettronica e con la Drum and Base. Mentre creo le opere fatte con centinaia di pezzi di specchi rotti ascolto spesso gli audio libri. Il rompere gli specchi diventa un gesto meccanico, ascoltare gli audio libri ti dà una concentrazione tutta particolare. Quando a Milano ho lavorato per 40 giorni per un site specific in un bagno di un appartamento che ho ricoperto di specchi rotti, ho ascoltato l’audio libro di Raffaele La Capria, Ferito a Morte, ambientato a Napoli. Dormivo nell’appartamento dove lavoravo. Ho anche ascoltato dei racconti di Miller e Cechov. Ero come entrato in un mondo fatto di ritmo. I libri li ascoltavo con le cuffie perché spaccare specchi con il martello fa molto rumore. Il lavoro degli specchi si sviluppa in maniera organica, come una pianta, cerca di crescere al meglio con quello che gli si dà, che si tratti di storie, musica, tempo, sangue…

Quando sei arrivato a Roma da Albinia?

Arrivai per fare l’Accademia delle Belle Arti e quasi per caso mi chiamarono per lavorare a una serata al Cube Club. Incominciai a lavorare nei club mentre frequentavo l’Accademia e iniziai a fare il barman. Al Muccassassina, la più famosa serata Lgbt romana, ho lavorato per due anni nel privé, gli serviva un ragazzo con un bel fisico. In quegli anni facevo tantissima palestra. Non conoscevo per nulla il mondo Lgbt, sono stati anni molto divertenti. Ero pure diventato coinquilino del responsabile del privé. Il Cube mi fece poi frequentare un corso per fare i cocktail perché mancava qualcuno al bar. Sei stai bene dietro al bancone alla fine è normale incominciare a fare i drink.

Hai mai fatto un parallelo tra miscelare cocktail e colori?

Sì e no, perché io non sono colorista, parto dal disegno e dalla linea. Il colore mi serve più per fare contrasto. Poi più che i cocktail a me piaceva stare nei locali. Il club in quanto tale, non solamente i drink, ma tutto il mondo che gli sta dietro. Quando prepari i drink per esempio devi fare anche lo psicologo, devi capire al volo se la persona vuole un drink forte o no.

Che hai scoperto nel mondo dei club?

Che le persone non cambiano così tanto con l’età. Non è vero che tutti a una certa età mettono la testa a posto. Non è detto che invecchiando la festa finisca. Almeno non per tutti.

È una palestra di diversità? 

Sì, è un mondo complesso, soprattutto se sai osservare.

Le tue due vite, quella artistica e quella da barista nei club, come si incontrano?

Nella vita ho sempre lavorato sia come artista, che nei locali. Dipingere alla fine esce a volte del razionale, di solito la pittura o l’arte mi permettono di vedere il mondo dei club con occhi diversi. Una volta dipinsi durante una serata al Cube le persone che vedevo nel locale. Alla fine è la gente e la musica che creano una serata, ecco perché i locali a Berlino o a Roma funzionano quando le persone sono rispettose e gentili con gli altri. È come se il rituale del club creasse un filtro con se stessi. A volte puoi anche incontrare momenti bui durante le serate, ma la musica ti amplifica il mondo delle percezioni e comunque alla fine si crea una magia con le persone che hanno condiviso la serata e con il pianeta e la natura. Avere a che fare con l’arte ti permette di vedere i club con occhi artistici e di rielaborare la musica che ascolti in mille modi. Si tratta di un mondo pluralista e che permette mille forme di diversità.

Ami scrivere? 

Sì, scrivo frasi sui quadri, amo scrivere un diario quando ascolto la musica o mi perdo nel ritmo e intacco la percezione del tempo o dell’io. Amo poi fare schizzi in cui mischio disegni e frasi e spesso sono una mia personale cartina di tornasole.

Che rapporto hai con la poesia ?

Per un periodo volevo esercitare la mia memoria e memorizzavo poesie di Carmelo Bene e altri autori. Ho capito che una poesia quando la comprendi ti viene da sola in testa. Adoro poi leggere libri, da ragazzo in un periodo in cui non avevo soldi, rubai l’opera omnia di Carmelo Bene. Oggi non ruberei, ma da ragazzo era tale la fame di scoprire questo autore, che lo feci.

Che rapporto hai con la materia che lavori?

Ci sono vari ritmi o zone di influenza. Quando hai ricoperto una stanza di specchi rotti, hai una percezione degli spazzi di quella stanza. Nel mio lavoro posso anche essere ispirato da leggi della fisica o scienza in generale. Queste leggi le puoi esprimere nelle opere d’arte. Si può lavorare con materiali complessi, ma a volte basta una biro per fare una buona opera.

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