Pier Mario Fasanotti
A proposito de "Il potere tossico"

La cocaina del Führer

Hitler dipendeva totalmente dai farmaci antidepressivi, Mao da quelli che favorivano la vigorìa sessuale. Mussolini era più morigerato, ma il potere ha sempre avuto molto a che fare con le droghe. Come spiega un bel saggio di Katia Crasnianski

Certe affermazioni, fuori dal loro contesto, rischiano di far solo ridere. Prendiamo il tema della pazzia. Erasmo da Rotterdam, che ne fece un celebre elogio, scrisse: «Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria pazzia». Questo tipo di follia è da intendersi come temporaneo distacco dalla piatta normalità, un qualcosa dunque di episodico. Oppure di innocuo, se si pensa alla poetessa Alda Merini, a lungo in manicomio, che confessava (allegramente? Può darsi) di ricevere la folata di insanità almeno due volte al giorno. Ebbene, il bizzarro, il poetico o anche il tragico inteso come sofferenza si traduce in sciagura collettiva se il politico che comanda – per non parlare del dittatore – ha turbe psichiche cui cerca di rimediare in forma pericolosamente farmacologica. Siamo, in questo caso al Potere tossico, che è un documentatissimo e brillante saggio di Tania Crasnianski (francese) pubblicato da Mimesis (231 pg., 18 euro). Il sottotitolo recita così: «I drogati che hanno fatto la storia». Si parla di Hitler, Mao, Mussolini, Petain, Churchill, Franco, Kennedy, Stalin.

Ma come! Anche John Kennedy? Pazzo non lo era affatto, anzi era molto equilibrato come politico, ma imbottito di medicinali lo era di certo, fino a rasentare una forte dipendenza. Soffriva di atroci mal di schiena per ferite di guerra, ma non disdegnava stimolanti (e afrodisiaci). Come quasi tutti i suoi “colleghi presidenti”, si lasciava prendere dal panico alla vigilia di appuntamenti decisivi, come per esempio il duello televisivo con Richard Nixon. E allora entrava in scena il medico di fiducia che, nel caso del più amato dei leader americani si chiama Max Jacobson, noto per il suo carisma, dotato di magnetismo e corteggiato dall’upper class. Scrive l’autrice de Il potere tossico che «come l’inventore della molecola dell’anfetamina, il chimico Gordon Alles, il suo primo paziente tra l’altro, da diversi anni Jacobson, detto anche “Miracle Max”, dipendeva da quella che per strada chiamano “speed”. Una droga sintetica che crea una forte assuefazione e produce euforia ed eccitazione mentale». La assumevano anche artisti famosi come Otto Preminger, Elizabeth Taylor, Tennessee Williams e Truman Capote. Fu quest’ultimo ad ammettere che assumendo certe pozioni «ci si sente Superman; si vola. Le idee arrivano alla velocità della luce… l’attività sessuale può andare avanti tutta la notte…». Kennedy abusava con gli analgesici e non disdegnava gocce di vitamine a base di anfetamine. Era affetto dal morbo di Addison «che – spiega l’autrice del libro edito da Mimesis – provoca la distruzione progressiva delle due ghiandole surrenali e quindi il suo corpo non è più in grado di garantire la normale sintesi degli ormoni». A proposito dei quali viene inevitabilmente alla memoria la sua accentuata passione per le donne (tra cui Marilyn Monroe). Ma questo riguardava sua moglie Jacqueline, la quale tuttavia era preoccupata nel vedere quante medicine c’erano nel bagno del marito.

A confronto di altri capi di governo, il caso Kennedy risulta curioso ma marginale se lo si considera come decisamente staccato dalle conseguenze social-politiche. Accanto alla cosiddetta banalità del male, bisogna ammettere che c’è anche l’oscuro fascino del male. Questo anche perché è difficile – o francamente impossibile – trovare una spiegazione nelle grandi masse che hanno adorato individui la cui personalità, psichica e culturale, era obiettivamente modesta. Il pensiero va al popolo tedesco, culturalmente superiore alla media europea, che è stato travolto da un delirio immane. Plaudiva un uomo noioso, fisicamente opaco, visibilmente isterico e ignorante, e si dichiarava pronto a morire per lui. Si può andare nel “profondo” delle masse? La questione rimane aperta.

Il rapporto mente-farmaci si fa disastroso con altri capi di Stato come Adolf Hitler, che è l’emblema della paranoia e della schizofrenia. Si sa come cercò di curarla, non si sa bene da dove provenisse. Per anni e anni, dopo la Seconda Guerra mondiale, sono state avanzate le più svariate ipotesi, alla luce anche dei progressi fatti dalla psicoanalisi: maltrattamenti infantili, timore di avere un nonno ebreo, doppia personalità (maschile e femminile), bassissima autostima, ipocondria, mancanza di un testicolo (secondo i sovietici e più recentemente dagli stessi ricercatori tedeschi; ci fu chi lo chiamò “coglione solitario”), disturbi sessuali (ma non omosessualità o incesto, malgrado certe voci), frustrazione sociale. A parte la sifilide, contratta da giovane, l’ex imbianchino e mancato pittore austriaco non aveva marcate patologie prima di incontrare il fidatissimo medico personale Theo Morell, considerato dal gerarca Alber Speer “un ciarlatano” e a poco a poco divenuto lo zimbello dell’entourage del Fuhrer. Non ci voleva molto per esserlo: non si lavava mai (solo spugnature serali) e quindi puzzava (a Eva Braun procurava il vomito), era di modesta statura e obeso, mani e torso molto pelosi, aveva fama di arrampicatore sociale (si arricchì con il nazionalsocialismo comprando società farmaceutiche), divorato dalla vanità (un giorno si appuntò sulla divisa ben 28 medaglie).

Morell, nominato anche “il medico delle iniezioni”, conosce a memoria le vene di Hitler, che aveva molta paura degli aghi. Le braccia sono interamente coperte da croste, talvolta il medico inietta farmaci, pozioni e sostanze dopanti a intervalli, proprio per questa ragione. I medicinali provenivano da dispensari uno lontano dall’altro perché la gente non sapesse. Morell sperimentò sostanze ormonali che in dosi lievemente sbagliate potevano procurare la morte. Tra queste c’erano quelle estratte dagli organi sessuali dei tori. Tutte le medicine più potenti e più pericolose Hitler le assume. Oltre a barbiturici, composti di belladonna e stricnina (veleno per topi) per combattere l’insonnia, stimolanti di vario genere (un suo domestico raccontò che ne assumeva fino a sedici al giorno), pillole antigas per ridurre la flatulenza.

Ovviamente, lo stato psico-fisico del Fuhrer peggiorò con l’avvicinarsi della sconfitta militare, ossia dal ’43 in poi. Ecco le anfetamine, che prese anche nel bunker della nuova Cancelleria. C’è da dire che in Germania si era stati sempre un po’ troppo disinvolti con i supporti farmaceutici, tanto è vero che il ministro della sanità del Reich, Leonardo Conti, nel 1940 mise al bando molte medicine. Per esempio la Pervitin era una droga sintetica, considerata “droga del popolo”. Oggi è chiamata “Crystal Meth”, ed è una metanfetamina. Si producevano persino cioccolatini pralinati imbevuti di Pervitin. Li si raccomandava oltre che ai soldati, anche alle “casalinghe depresse”. Morell sa bene che i disturbi di Hitler sono psichici, ma si guarda bene dal dirglielo esplicitamente, preferendo termini come “nevrite” o “infiammazione dei nervi”. Nel ’42 il Fuhrer dice: «Stiamo tutti perdendo il controllo dei nervi e alla fine rimango io l’unico che resiste». L’anno successivo, scrive Tania Crasnianski, «quando non può ignorare che la guerra è persa, Hitler sprofonda nella tossicodipendenza. Per disturbi nasali assume, su consiglio di uno specialista, anche cocaina». Morell racconta: «Hitler mi disse che dopo il trattamento con la cocaina si era sentito molto più leggero e poteva pensare in modo più chiaro». C’è però da aggiungere che un giorno svenne per sovradosaggio. Goering nel suo diario scrive che il Fuhrer è invecchiato di 15 anni. La batosta di Stalingrado ovviamente aggravò lo stato mentale di un uomo che, visto da un Mussolini sbalordito, pare caduto in una spirale di debolezza. Dopo lo sbarco in Normandia da parte degli anglo-americani, nel giugno ’44, ha la pelle gialla e la voce roca. Con l’assedio di Berlino e la definitiva resa della Germania (di fatto, visto che Hitler non volle mai affrontare una seconda umiliazione negoziale), si rinchiuse nel bunker e il suo medico lo descrive come uomo pensieroso, quasi inebetito, e con gli occhi iniettati di sangue.

Nell’ottimo libro di Katia Crasnianski si parla ovviamente di Benito Mussolini. A dir la verità un uomo del tutto normale, e sano, a confronto dello sciagurato alleato germanico. I suoi disturbi, e quindi l’assunzione di farmaci unitamente a un rapporto stretto con il suo medico, vengono a galla parallelamente al suo declino politico, all’isolamento, al senso del fallimento totale. Chi, in quelle condizioni, non assisterebbe all’aggravarsi dell’ulcera? Il Duce non fu mai dipendente da droghe. E visse in modo “morigerato” le sue ultime settimane.

Farmaci a iosa – e qui sta la sorpresa della maggior parte dei lettori, io credo – per Mao Zedong, il Grande Timoniere della Cina. Gli servivano per amoreggiare con un’infinità di giovanissime donne, in gran parte provenienti dalle Guardie rosse al tempo della cosiddetta Rivoluzione culturale. Un esercito di giovani cortigiane (dai 14 ai 22 anni circa), dice l’autrice del saggio di Mimesis, tutte contente di stare al fianco del leader e di offrirgli la propria verginità, quando l’avevano ancora. Mao amava le ballerine e lui stesso ballava, e non si faceva problemi riguardo al suo fisico: non faceva mai un bagno, non si curava delle malattie veneree (che aveva e trasmetteva a migliaia di adoratrici), la sua dentatura era orribile. La sua libido era ultrapatologica. Addirittura si faceva massaggiare da giovani uomini, alcuni dei quali salivano nel suo grande letto. L’icona del proletariato viveva da imperatore e credeva che le donne gli fossero necessarie quanto il cibo e gli dovessero essere servite “à la carte”. A rendere più facile questo tour de force sessuale e a rimediare alla sua insonnia fu il dottor Li, il quale si convinse di aver trovato la formula magica (di provenienza rumena) in grado di mantenere alte le prestazioni sessuali: la “Vitamina H3“, in pratica novocaina, che è un anestetico locale da iniettare per tre mesi nei glutei.  È acqua fresca. Il potente Li si chiede se i problemi sessuali di Mao siano psicologici o fisiologici. Arriva alla conclusione che si tratti di psicosomatica. A poco a poco Mao diventa però dipendente dai barbiturici, alcuni dei quali molto tossici. Cade in fasi di esaurimento nervoso e, come Stalin, nella paranoia. Si fanno acuti i timori di essere avvelenato. I farmaci vengono testati prima dell’assunzione. Il capo della Cina vivrà sempre nel sospetto. La stessa cosa è condivisa da Stalin. Il dittatore georgiano risolveva i propri dubbi in modo molto semplice: faceva ammazzare i sospetti traditori.

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