Luca Zipoli
Cartolina da Sydney

Downton Mozart

Alla Sydney Opera House Sir David McVicar ha allestito "Le nozze di Figaro" di Mozart/Da Ponte ispirandosi non solo alle atmosfere tipiche dei dipinti settecenteschi ma anche alle ambientazioni della serie “Downton Abbey“

Delle Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart il compositore Johannes Brahms affermava: «Secondo me, ogni numero in Figaro è un miracolo; non riesco proprio a capire come un compositore possa aver creato qualcosa di così perfetto». La creazione firmata da Mozart e Lorenzo Da Ponte ha in effetti sempre acceso gli entusiasmi di pubblico e compositori, imponendosi come un pezzo irrinunciabile del repertorio operistico. Incentrata sulla storia, tratta dalla commedia di Pierre Beaumarchais, del barbiere astuto che riesce a farsi beffe di un Conte che ne vuole ostacolare il suo matrimonio, le Nozze sono in sorprendente anticipo dei tempi, se si pensa che tre anni dopo la loro composizione la monarchia francese capitolava sotto i colpi dei rivoluzionari. Ma il messaggio politico implicito dell’opera sembra essere sempre passato in secondo piano rispetto alla genialità di musica e trama: l’imperatore austriaco, ad esempio, ne fu così entusiasta che addirittura ne chiese una rappresentazione privata, e fu costretto ad emanare una legge che vietasse un eccessivo numero di bis per gli spettacoli in cartellone.

La fortunata opera mozartiana approda ora alla Sydney Opera House, sede lontana dall’Europa ma cuore pulsante della lirica mondiale. La produzione firmata da Sir David McVicar riesce nell’impresa di ricreare in maniera sorprendentemente accurata l’atmosfera della Siviglia del Settecento in questa sede tanto lontana, geograficamente e temporalmente, da quel contesto. L’architettura avveniristica che contraddistinte iconicamente l’Opera di Sydney viene così a racchiudere al suo interno un palazzo rococo che, nelle quattro scene diverse che contraddistinguono i rispettivi atti, si mostra in tutti i suoi ricchi dettagli di specchiere, colonne e arredi preziosi. Le scene e i costumi di Jenny Tiramani, che utilizzano colori pastello e tinte tenui, si sposano perfettamente con l’idea di ricostruzione storica voluta dal regista, e sono ben esaltati dal sistema di luci disegnato da David Finn. Quella che potrebbe sembrare una semplice regia “fedele” è però anche altro. Inglese di nascita e formazione, il regista britannico si ispira nella sua produzione non solo ai dipinti settecenteschi ma anche alle ambientazioni della serie Downton Abbey che tanta fortuna hanno incontrato nel pubblico internazionale. Cercando di avvicinare gli spettatori contemporanei a un’estetica a loro vicina, l’idea di McVicar riesce in questo modo anche a rilanciare il messaggio politico racchiuso nel libretto dapontiano, mostrando come il dominio aristocratico sia in ogni tempo un sistema di consuetudini vuote che è possibile rappresentare comicamente. Particolarmente riuscite dal punto di vista registico sono due intuizioni: la presenza nel palazzo di una statua del Conte, che nel primo atto viene passata tra i vari personaggi, mostrando emblematicamente l’irrisione dei sottoposti nei confronti dell’autorità padronale, e il velo trasparente che nell’ultimo atto fa sovrapporre visivamente agli spettatori le azioni di Contessa e Susanna, così da farle apparire entrambe amanti infelici, pur nella loro differenza di status sociale.

Dal punto di vista musicale, la produzione si avvale di un’orchestra rinomata, come la Opera Australia Orchestra, guidata dal maestro Guillaume Tourniaire, e di un cast internazionale di interpreti, che sono stati selezionati da quella fucina di talenti che è l’Opera Australia’s Young Artist Program. Situati tutti su un livello di qualità molto alto, si distinguono soprattutto, nello spettacolo del 31 ottobre, l’italiano Paolo Bordogna, che regala un Figaro frizzante e agile, la Contessa, impersonata dal soprano russo Ekaterina Sadovnikova in ottima forma, e il Conte dell’ucraino Andrei Bondarenko. Oltre che ineccepibili sul piano canoro, i cantanti sono apparsi del tutto a loro agio anche su quello attoriale. La recitazione voluta dal regista predilige l’effetto comico, e si caratterizza per gestualità caricata, movimenti frizzanti e tempi serrati che sono ben gestiti da tutti gli attori. Il tono umoristico di questa commedia è tanto accentuato che le risate del pubblico intervallano spesso lo spettacolo e anche l’atto finale, intriso della malinconia della Contessa tradita e dell’incomprensione nata tra Susanna e Figaro, finisce piuttosto per suscitare il riso sornione del pubblico di fronte alle piccolezze e agli opportunismi comuni a tutti i personaggi. Unica pecca di questa serata è stata la presenza dei sovratitoli solo in lingua inglese, che sacrifica l’italiano poetico dapontiano sotto il peso della traduzione straniera, e lo rende impossibile da apprezzare appieno da parte del pubblico italofono o dei conoscitori del libretto.

Acclamato da pubblico e critica, questo titolo mozartiano segna la chiusura della stagione 2019 al Joan Sutherland Theatre, che – a queste latitudini – si festeggia insieme all’imminente arrivo dell’estate.

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Ph Prudence Upton

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