Mario Di Calo
Visto al Teatro Elicantropo di Napoli

Addolorata Imma

Imma Villa è una straordinaria Erodiade di Giovanni Testori diretta da Carlo Cerciello. Con lei, il teatro torna a essere un rito di iniziazione, di preghiera e di condivisione. Nel segno della parola visionaria dell'autore lombardo

È in scena a Napoli, per una lunghissima tenitura, dal 17 ottobre al 17 novembre, nella storica sala del Teatro Elicantropo in Vico Gerolamini, dopo un felicissimo debutto al Napoli Teatro Festival Italia di questa estate, Erodiade di Giovanni Testori con la regia di Carlo Cerciello e l’interpretazione di Imma Villa. Rinnovando cosi il fortunato connubio fra la poliedrica attrice e il maestro napoletano dopo i successi di Scannasurece e di Regina Madre visti di recente nella capitale. Il racconto testoriano ripercorre le gesta della madre di Salomè, perdutamente innamorata di Giovanni Battista, il quale non contraccambia, tutto preso dal furore divino, il cuore della donna non sente ragioni, non trova un innesto per possedere un battito normale, un furore che trova pace solo quando, quel capo di riccioli adornato così tanto bramato sarà disposto senza più vita su di un piatto d’argento, grazie alla complicità della giovane figlia che diventando amante del Teatrarca Erode, ne chiederà la testa. Ma tanto altro ancora è Erodiade, racconto scritto per Adriana Innocenti nel 1984 (ancora ne conservo un ricordo vivido, nella memoria, la sua era un’edizione sanguigna, verace di cui l’autore ne fu anche regista), in realtà ha una lunga genesi travagliata, una versione per Valentina Cortese del 1968, non fu mai portata in scena, successivamente rimaneggiato e portato alla ribalta più volte da grandi interpreti.

Nell’edizione odierna Cerciello inserisce “Nel tuo sangue” da lui anche recitata con grande sapienza, poesia richiamata che s’inframezza al calvario della straziante Erodiade: imperitura figura di grande fascino teatral/letterario. L’autore novatese rovescia in questo magna torrenziale il tormento della creazione, in una michelangiolesca visione e delirio fra chi scrive e chi interpreta, ma anche per chi fortunatamente assiste a questa sentenza che si ordina ogni sera, non può esimersi dal vivere una parte attiva al processo creativo sancito col sangue e col sudore. L’attore dunque diviene il messia che porta in dono la salvezza dell’anima, o dello spirito. Con Testori non si può essere spettatori o interpreti passivi, in lui ogni parola è scolpita sulla pagina con una scrittura robusta, compatta, voluminosa, che necessita di essere sillabata con emozione ogniqualvolta venga riesumata e si trasmuta circolarmente fra palcoscenico e platea.

Il tormento d’interprete, il tormento, è proprio il caso di sottolinearlo, di Imma Villa, al contrario di quello di quello della Innocenti è tutto contratto, cerebrale, ma altrettanto, e forse più ferino ed incisivo. Racchiusa e sospesa in una posa Vitruviana, statica, forzata, contro una corrispondente, armonica e accecante, candida ostia, che si staglia su di un nero abissale, a simboleggiare, la transustanziazione di Cristo attraverso l’ostia consacrata. Quella posa dell’attrice, immutabile quanto armonica, dimostra che l’uomo non può che trovare conforto e sollievo nel confronto divino, tra l’abisso che corre fra Terra e Cielo, e a nulla valgono i tormenti, i desideri, le meschinità che ci riconducono alla una viltà dei sensi. E qui il gioco del teatro nel teatro trova una perfetta armonia, registicamente coerente. Nel suo abito rigidamente ottocentesco, mortificante cilicio, Imma Villa è una contemporanea Addolorata ai piedi della Croce, racchiusa in una campana di vetro, gabbia infrangibile, che le impedisce di ricongiungersi con l’Eterno, con l’autore (?) una sfida per l’umano, il teatrante (?) persa sul cominciare. La sua presenza in scena è un misto di dono e grazia: sentirla scandire, scolpire, sussurrare con un filo di voce la preghiera eterna della vita, a nulla vale scagliarsi con foga vigorosa contro il proprio oggetto del desiderio: è un prodigio che si compie ogni sera e a pochi centimetri dallo spettatore. È lì che si compie il vero miracolo, in una saletta capiente poco più di una cinquantina di posti – sempre stracolma, e di giovani, dato assolutamente confortante – in una scatola sospesa nel tempo, in un quartiere che trasuda storia e tradizione, si ha la fortuna di essere officianti e devoti credenti di un rito divenuto oramai raro.

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