Valentina Di Cesare
Su “Ammare, vieni con me a Lampedusa”

Andiamo a Lampedusa

Alberto Pellai e Barbara Tamborini, in un romanzo per molti versi esemplare, raccontano l'emigrazione (e il "fastidio” con cui la vive il nostro Paese) moltiplicando i punti di vista. E chiedendosi come parlare di questo problema ai più piccoli

«Correte verso il porto. È l’unica via per mettersi in salvo. Magari anche i vostri familiari stanno facendo lo stesso. Arrivate vicino al molo e scoprite che siete in tantissimi e che di certo non riuscirete a partire tutti. Molti dovranno restare a terra e trovare il modo di sopravvivere. Continuate a cercare aiuto e finalmente vi offrono la possibilità di salire su un barcone già stracolmo. Ma c’è posto solo per uno. Bisogna decidere in fretta. Guardate la persona più importante della vostra vita negli occhi e poi la abbracciate forte, promettendole che farete di tutto per raggiungerla al più presto. Le lasciate quell’unico posto perché le volete così bene da sacrificare la vostra vita».

In che modo parlare ai più piccoli di immigrazione? Come chiarire i meccanismi principali di questo fenomeno a ragazzi che il destino ha collocato nell’attuale parte privilegiata del pianeta? È possibile farlo e sortire un qualche effetto, mi chiedo dalla cattedra, tenendo costantemente conto degli strumenti a loro disposizione? Si può riuscire a riflettere e far riflettere?  Forse nessun paese è come l’Italia, al contempo (specie negli ultimi trent’anni) luogo di emigrazione e di immigrazione, e probabilmente, anche a causa di questa singolare peculiarità che la caratterizza, l’approccio alla questione migratoria (da parte dei giovani e dei meno giovani) è da sempre molto appassionato, contraddittorio, pieno di esiti discordi. I ragazzi si sa, non vivono di sola scuola e sono influenzati da molte variabili, e ciò che alcuni professori scelgono di raccontare anche con l’aiuto di libri, film, testimonianze e documentari, è solo una minima parte del loro lungo processo di crescita culturale e sociale. È in quelle poche ore, dunque, che diventa importante per un docente condensare il più possibile esperienze conoscitive che non si limitino ad essere solo meri elenchi di informazioni, ma che al contrario mettano al centro lo studente in termini di identificazione, di immedesimazione con le vicende presentate. All’esperienza dell’emigrazione non è sfuggito nessun popolo e quello italiano men che meno.

Ci chiamavano Guinea quando a fine ottocento sbarcavamo a Ellis Island negli Stati Uniti, lì scoprimmo di non essere considerati bianchi (come pensavamo di essere), lì vedemmo messe in pratica le teorie scientifiche e antropologiche che ci consideravano bianchi di colore ma non di razza, (con particolare riferimento ai meridionali) lì capimmo che il colore della pelle aveva poco a che fare con la colorazione della nostra epidermide. Ma non furono solo gli States la nostra terra promessa, specie dopo che l’Emergency quota act (1921) impose un tetto massimo agli immigrati provenienti dal Sud dell’Europa. Andammo in Uruguay, in Argentina, in Venezuela, in Australia ma anche in Svizzera, in Belgio, in Germania, nel Lussemburgo, in Romania, lì, a migliaia di chilometri da casa, cercammo di rovesciare l’avvenire, sfidando angherie e pregiudizi.  Ma ci furono molte occasioni in cui non sbarcammo mai, né arrivammo a destinazione, i nostri d’altronde non erano proprio viaggi in prima classe.

L’immedesimazione, dicevo, è l’unica strada possibile, per non far sì che i dibattiti con i più giovani, specie su argomenti così complessi e importanti, non si trasformino soltanto in inefficaci commemorazioni.  L’immedesimazione appunto, è quella che credo un giovane lettore possa provare, leggendo il romanzo Ammare, vieni con me a Lampedusa, scritto a quattro mani da Alberto Pellai e Barbara Tamborini per l’editore De Agostini. Il romanzo, con prefazione di Viviana Mazza, narra la vicenda di Mattia, adolescente timido con la passione per la tecnologia e il rifiuto per lo sport e  tutte le restanti attività  così tanto in voga, che prevedono movimento fisico. Suo padre non vede proprio di buon occhio questa sua timidezza e trova piuttosto strano il fatto che non si interessi di calcio come gli altri ragazzi e che sia, almeno apparentemente, così apatico e svogliato. Mattia si sente diverso, inutile negarlo, sta iniziando a conoscersi e, seppur confusamente, capisce che dietro la sua riservatezza c’è un forte desiderio di esprimersi. L’occasione arriva con il commento in classe a proposito di un fatto di cronaca che ha colpito l’Italia: la professoressa di lettere chiede ai suoi studenti di realizzare un testo di ricerca e riflessione sull’ennesima strage nel Mar Mediterraneo.  Il 18 aprile 2015 nel canale di Sicilia, un barcone clandestino carico di donne, uomini e bambini provenienti dall’Africa affonda in mare aperto. Tutti i passeggeri erano diretti verso l’Europa, in cerca di una vita più dignitosa.  Mattia svolge il compito assegnatogli e si trova dinanzi a informazioni che lo sconvolgono nel profondo. Senza volerlo e in maniera lampante, si trova catapultato nella tragica vicenda di quei passeggeri e inizia così il suo primo vero processo di identificazione con loro. Misura la propria quotidianità con quella di una qualsiasi altra persona nata in un paese povero, prende in considerazione i rischi, le sofferenze, la rabbia, lo sfinimento che la affliggono. Pensa soprattutto che se migliaia di persone decidono da anni di correre un rischio simile è perché in casa loro è diventato impossibile restare. Immedesimarsi nella vita degli altri significa anche cercare di capire le loro ragioni, per quanto diverse e distanti dalle nostre.

Questa ricerca cambia intimamente Mattia, c’è qualcosa che ormai ha trasformato il suo modo di esistere e di percepire le cose della vita. Preso da un confuso impeto e dalla voglia di manifestare il proprio dissenso di fronte a certe ingiustizie, inizia una sorta di sciopero della fame e, soprattutto, diventa l’ideatore misterioso di un blog chiamato “Vieni con me a Lampedusa”, portale dedicato all’immigrazione che gestisce sotto il nome di Franz. Attraverso il suo blog, che in pochi giorni raggiunge migliaia di “followers”, Mattia/Franz desidera sensibilizzare i politici e lancia una sfida: c’è qualcuno di loro disposto a trascorrere una settimana nel campo profughi di Lampedusa? Ad aiutarlo nella sua strana impresa è l’amica Caterina, capace di una sensibilità salvifica.  Se e quando Mattia riuscirà davvero a raggiungere l’hotspot di Lampedusa non è il caso di rivelarlo qui, né si dirà se l’impatto con gli immigrati ospiti del centro d’accoglienza sarà sempre e solo idilliaco.  Quel che gli autori hanno fatto egregiamente in questo piccolo grande romanzo, è offrire al lettore la giusta pluralità di punti di vista, data la complessità del tema, conferendo al linguaggio leggerezza, chiarezza e autenticità. È la compresenza di così tante sfaccettature a dar vita ad una narrazione limpida, senza massimalismi, una narrazione onesta, quella di cui si ha più bisogno, ancor di più quando si è giovani e padroni del futuro.

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