Lidia Lombardi
Lo scaffale degli editori

Teatro da leggere

Ogni tanto il teatro entra in libreria. Succede con il ritratto di Paolo Borsellino firmato da Ruggero Cappuccio e con i “drammi da salotto” di Yasmina Reza pubblicati da Adelphi

Ha appena tenuto banco sulle prime pagine di quotidiani e tiggì l’inedito audio di Paolo Borsellino, eliminato dalla mafia nel luglio di 27 anni fa. «Ci danno le auto blindate solo di mattina. Non so che senso abbia perdere la libertà di mattina per poi essere ucciso la sera». A che serve?, si chiede dunque rassegnato il magistrato fatto saltare in via D’Amelio. A che cosa è servita la vita, e la morte violenta? Che cosa c’è da sapere e da riflettere? Contribuisce un libro vibrante che Feltrinelli ha mandato in libreria e rilanciato a ridosso dell’anniversario della strage (morirono anche i cinque agenti della scorta, era il 19 luglio 1992).

È il potente testo teatrale di Ruggero Cappuccio, regista, romanziere finalista nel 2008 allo Strega, drammaturgo. Paolo Borsellino. Essendo stato (144 pagine, 12 euro, disegni di Mimmo Paladino, fotografie di Lia Pasqualino) è diventato un’opera cult: da quindici anni attraversa i più carismatici teatri italiani, una messinscena richiesta da gruppi di magistrati di Milano, Trieste, Salerno e recitata in numerose letture pubbliche. Nel 2016 è andato in onda su Rai Uno e Rai Storia in forma di docu-film, per l’interpretazione e la regia dello stesso autore. Il testo nella nuova pubblicazione è arricchito da un documento fondamentale: la deposizione che Borsellino rese dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura il 31 luglio 1988. Era stato convocato – beffa tutta italiana – con la minaccia di provvedimenti disciplinari per le dichiarazioni pubbliche da lui rilasciate in relazione all’inefficacia dell’azione di contrasto che lo Stato avrebbe dovuto svolgere contro Cosa Nostra. Secretata per 24 anni, viene resa finalmente pubblica su richiesta di Cappuccio: il Paese ora può leggere le parole che Borsellino pronunciò in un’atmosfera tesissima, parlando per quattro ore della solitudine del suo lavoro, dell’immobilismo e dell’ostruzionismo che lo accerchiavano. Il testo teatrale spicca per originalità e potenza: il protagonista viene fatto agire nell’ultimo secondo della sua esistenza, mentre dubita di essere ancora vivo e crede di essere invece già morto. Un infuocato residuo di tempo che Cappuccio dilata senza una sbavatura: l’antologia della vita dall’angolo visuale del trapasso consente al magistrato palermitano una lancinante lucidità. E scorrono l’amore-odio per la sua terra (“Il vero amore consiste nell’amare quello che non ci piace, per poterlo cambiare”), per la moglie, la madre, i figli, la lotta contro la Mafia e lo Stato deviato, in un pozzo di parole che si riempie di energia umana e impegno civile.

Dalla tragedia pubblica al dramma in salotto, ancora teatro. Qui l’autrice “specializzata” è Yasmina Reza, nata a Parigi da padre iraniano, la maggior drammaturga in lingua francese. Dal suo Carnage Roman Polanski ha tratto un indimenticabile film, e il testo – in italiano Il dio del massacro, una carneficina servita fredda che si consuma per un futile motivo tra due borghesissime coppie in un salotto-bene – è stato pubblicato da Adelphi, insieme con Felici i felici, Babilonia e recentemente Arte, apparso a stampa nel 1994 e nel 2018 di nuovo rappresentato a Parigi con immutato successo. Anche in questo caso unità di luogo e di tempo: una serata ancora tra le quattro mura di una stanza, il soggiorno di un appartamento elegante. Marc viene a sapere da Serge che per il quadro che ha comprato («Una tela di circa un metro e sessanta per un metro e venti, dipinta di bianco. Il fondo è bianco e strizzando gli occhi si possono intravedere delle sottili filettature diagonali, bianche») ha sborsato duecentomila franchi.  Non se ne capacita perché secondo lui l’opera è “una merda”. Yvan, l’altro ospite, non prende posizione e si becca le frecciate dei due amici che lo accusano di essere pusillanime e doppio. Monta anche qui il massacro psicologico di parole appuntite come lame, che Reza gestisce mischiando comica crudeltà e amara malinconia. Un piccolo capolavoro che se la prende con il fatuo mercato dell’arte, specchio della società dell’apparire.

Usciamo ora dall’aria pesante dei salotti, da quella fetida dei tribunali, e passeggiamo in città, nell’ultimo tramonto, in cerca di un refolo. Originale e controcorrente come sempre la casa editrice capitolina La Lepre affida a due studiosi della comunicazione, Paolo Sorrentino (omonimo del regista) e Franciscu Sedda una guida “alternativa” dal titolo Roma (180 pagine, 16 euro). Vi si intrecciano con seria levità frasi di imperatori e stemmi sui tombini, luoghi monumentali e moderni quartieri periferici, graffiti sui muri, frammenti cinematografici, rituali della vita quotidiana. In una parola, bruttezze e bellezze di Roma lungo i suoi tremila anni di vita. Chi resta ad agosto può andarseli a cercare.

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