Roberto Mussapi
Dal nuovo libro di Roberto Mussapi

Glenn for President

Tra i Magnifici sette che contribuirono a rendere possibile il primo allunaggio di un essere umano c’è John Glenn. Fu lanciato nella missione “Mercury-Atlas 6”, il 20 febbraio 1962: il primo statunitense a entrare in orbita attorno alla Terra. Ecco come ce lo racconta “Il sogno della Luna”

Alla vigilia del cinquantenario dell’evento che il 20 luglio 1969 segnò la realizzazione di una meta inaudita, quando l’uomo mise piede sulla Luna, esce il nuovo libro di Roberto Mussapi, edito da Ponte alle Grazie: “Il sogno della Luna”. Dagli antichi a Leopardi a Kennedy, tra cronaca, storia, visione e mito, l’autore ci fa rivivere quel sogno. Per gentile concessione sua e dell’editore, presentiamo ai nostri lettori il capitolo dedicato a John Glenn.

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Al trionfo di Gagarin gli Stati Uniti rispondono incrementando lucidamente e febbrilmente la ricerca spaziale. Entusiasmo da nuova frontiera. Il cinema è nel loro dna, come il jazz e il rock. Dura selezione e, nel mood dei Sette Samurai, capolavoro di Akira Kurosawa, dei Magnifici sette di Jonn Sturges, con Yul Brynner, Steve McQueen, Charles Bronson, James Coburn, scelgono un gruppo di eletti. Sono stati scelti per combattere, ma senza armi. Certo, la sfida spaziale tra Usa e Urss rientra nella generale strategia della guerra fredda tra le due superpotenze. Ma a differenza di altri scenari (Corea, Vietnam, Cuba), lo scenario qui è disarmato se non di ardire, è una guerra pacifica. Studiandone la storia, le cronache, sentiamo che sia gli uni sia gli altri sentivano che il cielo era di tutti. La più bella guerra di sempre. Per Elena furono versati fiumi di sangue, una città fu arsa, e ne era valsa la pena, per i poeti. Ovidio, Marlowe… Per lei, Elena. Per la Luna, non un graffio all’avversario. È un’altra donna, suscita incanto, non ardore e palpitazioni, ma serenità silente. Toshiro Mifune tra i Samurai, Steve Mc Queen nel film di Sturges. Qui, per la Luna, John Glenn.

«John Herschel Glenn (Cambridge, 18 luglio 1921-Columbus, 8 dicembre 2016) è stato un astronauta, aviatore e politico statunitense». Wikipedia riassume felicemente l’avventura di un grande americano, un uomo eccezionale del Ventesimo secolo. Glenn rispose a Gagarin, replicando un’impresa identica. Portò gli Stati Uniti al pareggio. Altri americani avrebbero raggiunto mete più elevate (letteralmente) di quella di John Glenn, ma con lui la missione Mercury (Mercurio è il nome latino del greco Hermes, messaggero tra gli dei e dagli dei agli umani, dio dell’ubiquità, invisibile, sempre ovunque, aereo), pareggiò subito i conti e preparò il clima operativo e morale per il recupero, il sorpasso, la vittoria. John Glenn, nazionalità Stati Uniti, nato nel 1921, morto nel 2016, selezionato nel 1959 dalla Nasa, primo lancio febbraio 1962, ultimo atterraggio 7 novembre 1998. Altre attività: pilota collaudatore (come l’altro grande G, Gagarin). Tempo nello spazio 9 giorni, 7 ore e 34 minuti. Missioni: Mercury Atlas 6, sts-95. Data del ritiro: novembre 1998. Wikipedia, precisa come sempre, indica anche “politico”. Precisione non implica obbligo di discernimento. Anche Gagarin è qualificato come “politico”, perché così risulta alla cronaca, in quanto così volle il regime sovietico di Kruščëv, che intendeva trasformare l’Icaro del Novecento (e infatti è l’unico grande astronauta che si schianta, ancor giovane, al suolo, a causa di un errore provocato da entusiasmo) in un sostenitore della tremenda causa del socialismo reale. Quello dei Gulag. Glenn è uomo politico non per invenzione altrui, ma per scelta propria. Volle essere politico come lo furono Kennedy e pochi altri, forse Clinton, certo Reagan, certo Obama. Per un’idea. Glenn sceglie di entrare in politica, è kennediano d’animo e di razza. Ma torniamo alla gioventù, agli albori, alla gloria.

Nasce in una famiglia molto religiosa, con un forte senso dell’etica e della patria. Sposerà Annie Castor, conosciuta da bambino, e la coppia avrà due figli. Una vita tranquilla, pacifica, quella a cui pare destinato. E così sarà: ma la tranquillità è pace della coscienza, non indolenza d’animo (che è una forma di inerzia, confinante con l’indifferenza). «A egregie cose i forti animi accendono l’urne de’ forti…». Glenn è un combattente, ha coraggio. Annoti il lettore questo sostantivo, “coraggio”. È ormai desueto in quanto pressoché scomparsa la realtà che lo genera. Nel 1941, si arruola come pilota nel corpo dei Marines, missione isole Marshall. Partecipa anche alla guerra di Corea, poi diventa pilota collaudatore, con diversi record di velocità. Negli anni Cinquanta partecipa a numerose trasmissioni televisive, e diviene molto popolare. Nel 1960 la Nasa lo seleziona tra i primi sette astronauti per il programma spaziale Mercury. John Glenn è l’uomo scelto per il pareggio con Gagarin e il riscatto. Che si rivelò l’inizio di un contropiede trionfale.

Il 20 febbraio 1962 fu lanciato nella missione Mercury-Atlas 6: il primo statunitense a entrare in orbita attorno alla Terra, rimanendo 4 ore e 55 minuti nello spazio. Tre orbite intorno al pianeta, pareggio con Gagarin. Problemi tecnici al rientro, che misero a rischio la sua vita. Dopo due anni, lasciata la Nasa, si candidò come senatore per il Partito Democratico. Fu eletto rappresentante dello Stato dell’Ohio nel 1974, 1980, 1986 e 1992. Nel 1983 si candidò alla presidenza degli Stati Uniti d’America, ma si ritirò nel marzo 1984. Glenn ritornò nello spazio con lo Space Shuttle nel 1998, a bordo della missione sts-95, dove partecipò a studi sulla fisiologia dell’uomo in età avanzata e i suoi problemi nello spazio: tutto questo a 77 anni.

Era evidentemente allenato alla vita spirituale. Da tempo era stato ordinato pastore della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti, prima di divenire astronauta. La sua fede si fortificò con i viaggi nello spazio. Al termine della sua seconda e ultima impresa, dichiarò not believe in God is to me impossible, «mi è impossibile vedere una simile creazione senza credere in Dio». Dichiarò che per lui non esisteva contraddizione fra la sua fede in Dio e la teoria evoluzionistica, che riteneva “un fatto” e che anzi avrebbe dovuto divenire materia di studio nella scuole: «Non mi sembra di essere meno credente se accolgo con favore il fatto che la scienza prenda atto che noi mutiamo con il tempo e con l’evoluzione, e questa è una verità fattuale. Ciò non significa affatto che sia meno meraviglioso e che non possa esistere un qualche potere più grande di ciascuno di noi che sia stato e sia dietro tutto ciò che sta accadendo». Le sue parole possono sembrare ovvie, oggi, dopo che da una trentina d’anni il concetto di evoluzione della specie è universalmente riconosciuto. Erano tutt’altro che prevedibili allora: forze oscurantiste all’interno del pensiero cristiano vedevano nelle teorie nate da Darwin una bestemmia contro Dio. Che aveva, invece, creato la meraviglia del mondo a poco a poco. Facile oggi trovare sagge e sacrosante le parole di un pastore protestante che entra in orbita e si lancia nello spazio infinito, e che percepisce evoluzione e creazione come una sorta di incantevole sinonimo.

Facile, oggi che al Musée de l’Homme, a Parigi, da più di vent’anni restiamo incantati di fronte all’urna di vetro dove dorme Lucy, la piccola adolescente, australopiteca, scoperta da Yves Coppens, il genio della paleoantropologia, che insegna al Collège de France di Parigi, e che, scoperta e dissepolta quella tenera ragazzina preumana nella savana del Nord Africa, la battezzò immediatamente Lucy. Avrebbe scritto e telefonato per tranquillizzare la moglie. Lucy non era una ricercatrice della sua équipe. Né una sua giovane assistente. Quel nome gli venne spontaneo perché, mentre la ragazzina del mondo lontano ritornava alla luce, il quarantenne Yves Coppens, con tutti i suoi assistenti, stava ascoltando, dal mangiacassette della R4 con la portiera aperta, un nastro dei Beatles. In quel momento suonava Lucy in the sky with diamonds. Ed è facile oggi che Fiorenzo Facchini, un luminare della paleoantropologia, scrive pagine memorabili sull’evoluzione umana, lodate caldamente da Coppens… E oltre a occuparsi della ricerca sulle origini e sull’evoluzione, Facchini fa il prete, quotidianamente, a Bologna o ovunque si trovi…

Allora non era così, sull’evoluzione gravava un clima d’inquisizione. Glenn, pastore, marito e padre, con parole inequivocabili e semplici come versi di Ungaretti rivela come Scienza e Religione non siano inconciliabili, ma si alimentino di reciproco stupore. Mentre la frase attribuita a Gagarin, «lassù ho visto il cielo ma non Dio» fu inventata da Kruščëv per attribuirla all’astronauta, che era clandestinamente credente e aveva fatto battezzare la figlia Elena. Ma credente o non credente, nessun astronauta, nessun uomo che vive per il volo nel brivido dell’infinito potrebbe mai dire una frase così stupida. Nel 1983 Glenn si candidò alle elezioni presidenziali, per poi ritirarsi. Il mito ha sfiorato l’America: il Nuovo Mondo, il Paese di Walt Whitman, la nazione il cui popolo giunse ad atterrare sulla Luna, avrebbe potuto avere un presidente astronauta. Pensiamo agli Stati Uniti di Trump, ma anche a quelli più seri di Bush: al loro posto, meno di quarant’anni fa, alla Casa Bianca, ci sarebbe stato un uomo che era entrato volando nell’orbita: un presidente che vola e cerca la Luna e gli astri. E che nel volo rafforza una visione religiosa profonda, cristiana per la sua adesione da sempre alla Chiesa, di cui è diventato pastore, ma non solo cristiana: nell’impresa e nelle parole di questo viaggiatore nello spazio, accanto al senso di meravigliosa preghiera del cristiano, noi sentiamo la religiosità naturale, cosmologica, atomistica e animica di Walt Whitman: gli Stati Uniti hanno sognato e raggiunto la Luna, e sfiorato un mito.

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