Luca Fortis
Venerdì, a piazzetta Trinchese a Forcella

Tammorre e femminielli

Uno spettacolo del Napoli Teatro Festival rievoca le feste che mescolavano musica, travestimento e tradizioni popolari. Ne parliamo con Pasquale Manfredi, uno dei maggiori artisti di questo genere "scostumato"

La sera del 14 giugno, a piazzetta Trinchese a Forcella, si terrà, per il Napoli Teatro Festival, lo spettacolo Circo Sciò Sciò, – Femminielli, Tombola e Tammorre. Al centro della piazzetta un poeta “femmenella” al ritmo di tammorra, racconterà “storie vicine e lontane, in un gioco canoro, con una voce che inizia a vibrare melodie antiche legate ai riti della madre terra”. In questa atmosfera il pubblico del quartiere, composto da napoletani e da nuovi abitanti, in maggioranza africani, si trasformeranno in platea, i balconi diventeranno una galleria, con i “panari calati” per ricevere le cartelle della tombola. La magia dei “femminielli” crea così un improbabile “globe theater napolitano”. Suonerà la tromba degli scugnizzi e il più giovincello, a voce alta, quasi per gioco, chiamerà a decifrare i sogni dei passanti. Magicamente arriverà la tombolara al classico grido di “Chest’è a mano e chist’è o culo do panaro, a mano è libera!”. La tombolara inciterà il pubblico e inizierà un rosario di numeri, ognuno con i suoi significati. Ad alcuni numeri della tombola sono legati l’entrata in scena di personaggi e pièces specifiche, sia musicali che teatrali. Lo spettacolo terminerà con una tammurriata in cui pubblico e attori si fonderanno in quell’unicum che madre Terra ha generato a testimonianza che il “Femminiello” è “la sintesi di un dualismo maschio/femmina che in ogni persona è presente e pronto a essere esplorato ed esploso”.

Lo spettacolo è prodotto da Aba S.a.s di Torre Annunziata, che da qualche anno ha rivitalizzato la vita culturale della città e ha anche aperto la prima libreria, dopo che da oltre un trentennio, a Torre non si poteva più comprare un libro. La direzione artistica è invece di Luigi Pernice di Cristo, presidente dell’Associazione Femminielle Antiche Napoletane, (A.f.a.n) associazione che ha creato un archivio per recuperare la memoria perduta di quest’antica cultura. Tra gli altri suoneranno il gruppo degli “Ars Nova”, H.E.R, Geranrdo Amarante e Vincenzo Ciccarelli. Tra gli attori vi sono CiraCiretta e Luigi Paolo Patano, in arte la Poppea. Bruno Leone farà invece uno spettacolo con le guarattelle. I costumi sono di Salvatore Salzano.

Per conoscere meglio il mondo della tombola scostumata e del rosario dei femminielli, ne parliamo con Pasquale Manfredi, dello storico gruppo “Le Lucciole”, gli artisti che hanno inventato questo famoso testo del “rosario dei femminielli”.

Lo spettacolo dell’Afan, rievoca alcune persone legate alla cultura, tutta napoletana, dei “femminielli” vissute negli anni del fascismo e del dopoguerra. Ci ricordi alcuni aneddoti legati a loro?

Mi viene in mente una storia legata alla Schiavutella, all’anagrafe Antonio Esposito. Un giorno camminava per via Roma, oggi via Toledo, sculettando come una donna incinta. La polizia fascista la fermò dicendole di stare calma, zitta e di seguirli. Fu spedita al confino alle isole Tremiti. Caduto il fascismo, quando fu liberata, siccome a Napoli c’era la fame, andò a Genova a fare la cameriera alle prostitute.

Sciò, Sciò, è dedicata anche alla figura della Pullera. L’hai conosciuta?

Sì, anch’essa fu mandata al confino per alcuni anni. Da piccolo, nel secondo dopoguerra, la Pullera mi intimoriva. Faceva, con altri, uno spettacolo a Porta Capuana, mettendo una corda come pedana teatrale. Siccome ogni tanto acchiappavano i bambini per strada, prendendoli per i capelli e dicendogli “scurnachiato, mi hai fatto appiccà cu cchest merdaiola ccà”, io vedevo questa scena e scappavo. La Pullera, sempre ridendo, mi indicava al pubblico dicendo: “Ahh ahh chist è chillo guagliungiello che fuie sempe”. La gente buttava i soldi a terra. Ne avevano pochi, ma per la Pullera e le sue amiche, ne buttavano per terra parecchi. Proveniva da una famiglia benestante, ma venne cacciata di casa e se andò a Forcella. Era amatissima, perché vendeva le sigarette, facendo, a modo dei piccoli spettacoli. Storpiava le note marche Chesterfield, Marlboro e Pall Mall, diceva: “Ciessfie temalboro epallemano”. Teneva il bancariello, vicino al cinema Orfeo, presso la ferrovia, procurandosi le stecche di sigarette da una nota contrabbandiera che aveva dieci figli. Quando vedeva un ragazzo che gli piaceva, faceva ancora di più la “scena”. Me la ricordo ancora lì, vecchia e grassa, ma splendida. Quando la chiamavano per qualche spettacolo durante le cerimonie, faceva “balocchi e profumi”. Se voleva farti ridere, ti faceva ridere fino a cadere dalla sedia, se voleva farti piangere ti faceva piangere. La gente l’adorava. Con tutti i problemi che aveva non la vedevi mai triste, e faceva sempre battute con spontanea allegria. La nota regista, Liliana Cavani, seppe cogliere la napoletanità della Pullera e la volle per un cammeo nella “figliata dei femminielli”, nel film La Pelle.

È una Napoli che esiste ancora o quel mondo ha trovato altre forme di espressione?

Era una Napoli che non esiste più in quel modo. Una città popolare, fatta di persone meravigliose che pur dovendosi inventare mille modi per arrangiarsi, rimanevano sempre umane e allegre. Io ero amico di una signora che vendeva le sigarette in un furgone a piazza Medaglie d’Oro, al Vomero, aveva ammobiliato il retro del furgoncino e noi lì dentro, ridevamo, giocavamo a carte e facevamo il caffè. Ogni tanto passava qualcuno che voleva le sigarette. Erano pomeriggi meravigliosi, ore di pura poesia.

Come sono nate “Le Lucciole”?

Scherzando, pensammo di formare un gruppo travestendoci da donne. Abbiamo scelto il nome le “Lucciole” ispirandoci alla canzone “Noi siamo le Lucciole”, pezzo che allora girava moltissimo. Iniziammo con i matrimoni a Napoli, poi incominciarono a chiamarci in giro per l’Italia. Vendevamo i nostri dischi, esistevano sia quelli originali, ma maggiormente quelli falsi. Anche a Nord, non chiedermi perché, ma avevamo un grandissimo un successo. Non avevamo agenti, la popolarità era dovuta al passaparola. Viaggiavamo con dei ragazzoni che ci facevano da autisti e che sembravano delle guardie del corpo. Facevamo sette o otto cerimonie al giorno.

Me ne racconti qualcuna?

Una volta finimmo a un matrimonio di un ragazzo che, a nostra insaputa, era il figlio di un grosso boss della provincia napoletana. Durante lo spettacolo eravamo previsti in scaletta, “ma era ‘na scaletta molto strana, perché ‘o turn nuost’ non arrivava mai”. Stavamo lì dalle quattro e finalmente alle 21 ci dissero di uscire, ma invece di aprirsi il sipario, si aprirono le porte del furgone della polizia. Parenti, attrici, ballerine, musicisti e cantanti, finimmo tutti in Questura. Arrivammo lì ancora truccati e vestiti da donna. Il Commissario, in modo scostumato, disse: “cchi sò sti quattro femminielli? Cche vonno a ccà. Se ve ne iate ‘a ffancul, me facite nu piacere.” Noi continuavamo a dirgli che eravamo “Le Lucciole”, ma lui non capiva. A pensarci ancora rido oggi.

Eravate molto famosi anche per la tombola scostumata

Sì, una volta ci chiamarono anche al Circolo della Stampa di Napoli, nel periodo natalizio. Noi, di fronte quell’alta borghesia e aristocrazia napoletana, ci censurammo e non facemmo alcuna battuta scostumata. A un certo punto, dopo quattro numeri, qualcuno tra gli organizzatori, un giudice, ci fermò per chiederci se eravamo napoletani. Rispondemmo di sì. Ci chiese quindi se eravamo dei Quartieri o del Vomero. Confermammo di essere di quartieri popolari. Allora ci urlò addosso, dicendo che ci avevano chiamato per la tombola “scostumata” che facevamo nei vicoli dei Quartieri Spagnoli. Noi replicammo che non avremmo mai potuto insultare la marchesa di fronte a noi, una volta che essa avesse estratto un numero. Il signore replicò che ci avevano chiamato proprio per insultare tutti quanti e in particolare la marchesa in prima fila, “per abbuffarla di parole”, perché era la più “bocchina” di tutte!!!” Fu un successo clamoroso, replicammo per un mese. Quando io estrassi il 39, che nella smorfia napoletana è l’acqua, chiesi alla Marchesa se avesse l’acqua a casa. Lei rispose sì. Al che io risposi: “Allora lavate ‘a pucchiacca, cc’à te fete!!!”.

Mi parla del “Rosario dei Femminielli”?

Una volta portammo uno spettacolo in piazza nel Matese, era presente. Verso la fine, il mastro di festa, ci chiese di fare il “Rosario dei Femminielli”, che noi inventammo per primi. Disse che se non lo avessimo fatto, non ci avrebbe pagato. Noi facemmo notare che eravamo davanti a un convento e che c’erano preti e suore in piazza seduti in prima fila. Il mastro ci disse che era proprio il priore del convento che aveva chiesto “Il Rosario dei Femminielli”. I preti morirono dal ridere a sentire un rosario così scostumato.
Noi. “Primo mistero si contempla, ‘ca l’uomo gorilla tene na palla verde e un’altra lilla. Uno, doie, tre e quattro”.
Pubblico: “Cinque, sei, sette e otto”.
Noi: “chist è audi nost”. Ora pronobis, arapa ‘o cul, pacc e zizze”.
Noi: “Uno, due, tre e quattro”.
Pubblico: “Cinque, sei, sette e otto”.
Noi: “Nel secondo mistero, ‘a bbon anema ‘e Mariella, quand arrape ‘e cuscetelle, se mett ‘o pescetiell e s’arrecrea ‘o stentiniello”.
Noi: “Uno, due, tre e quattro”.
Pubblico: “Cinque, sei, sette e otto”.
Noi: “Nel terzo mistero la bbonanima di don Arturo, quand cacciava chillu cetrullo, ce lo metteva tutt’n’culo. Ah…. Ah…, s’a arrecriava tutt ‘a natura”.
Noi: “Uno, due, tre e quattro”.
Pubblico: “Cinque, sei, sette e otto”.
Noi: Nel quarto mistero a’ bbonanima e’ Catina, quand era signorina, se faceva i ritalini. Poi arrivaieno i meircane e se mparaie ‘a ffa o’ pisc mmano. Poi arrivaieno i marocchini e se mparaie ‘a ffa e bbocchin”.
Noi: “Uno, due, tre e quattro”.
Pubblico: “Cinque, sei, sette e otto”.
Noi: Nel quinto mistero si contempla a’ bbonanima Padre e tuost annanz, quand ncontrav a Suor Violanza, cio’ ndustav sott ‘a panza. Ppo primm e dicere ‘a mess ciò chiavav rint ‘a fess”.
Noi: “Uno, due, tre e quattro”.
Pubblico: “Cinque, sei, sette e otto”.
Noi: “Per mia colpa, grandissima colpa, e quant cazz vajte magnat e chill ca’ vajte magnà ancor”.
Il rosario è finita andate in pace!

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