Silvia Zoppi Garampi

Piccioni, il multiforme

Critico letterario, alto dirigente Rai, saggista, filologo e docente universitario, efficace comunicatore di cultura. L’ampiezza dei suoi interessi “gli procurò quella diffusa prevenzione degli intellettuali verso chi esercitava più funzioni nella società”. Un convegno lo ricorda a Roma il 27 e il 28 maggio all'Archivio Centrale dello Stato

Per un certo periodo, tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta dello scorso secolo, Leone Piccioni è stato un personaggio molto in vista nel panorama culturale italiano: critico letterario su quotidiani e riviste, alto dirigente Rai quando l’azienda ancora aveva il monopolio televisivo, saggista, filologo e docente universitario. La notorietà e il peso di Piccioni in quell’arco di tempo si possono misurare dalla sua presenza autorevole nelle giurie dei maggiori premi letterari italiani. A un anno dalla morte, avvenuta il 15 maggio, a 93 anni, non è semplice definire il suo magistero, il suo lascito; un ostacolo giunge proprio dal dover valutare un uomo nella cui esperienza si sono amalgamate forti passioni letterarie e ruoli in ambiti professionali affini eppure diversi. Una complessità di vesti che contribuì a causargli un persistente dissidio interiore e che dovette scontare per quella diffusa prevenzione degli intellettuali verso chi esercitava più funzioni all’interno della società. Nato a Torino nel 1925, aveva vissuto a Pistoia, Firenze e infine a Roma – seguendo gli spostamenti del padre Attilio, fiero antifascista, avvocato di vaglia, che dopo il 1945 assunse un ruolo di primo piano nel partito della Democrazia cristiana (fu il segretario politico del 18 aprile del ’48), guidando dicasteri dalla Giustizia agli Esteri e ricoprendo il ruolo di vicepresidente del Consiglio in diverse legislature.

La poesia e la narrativa, come anche la musica, sono state per Piccioni un ardore giovanile condiviso in famiglia – il fratello Piero diventerà il noto compositore di indimenticabili colonne sonore e il padre già alla fine degli anni Trenta prendeva libri in prestito al Gabinetto Vieusseux di Firenze. I quattro figli Donatella, Piero, Chiara e Leone da adolescenti avevano già letto Luce d’agosto di Faulkner nella traduzione di Vittorini, e poi Hemingway, Kerouac, Steinbeck, Saroyan, Caldwell. Mentre nella formazione accademica Piccioni era stato seguito da due maestri, ricambiati da perenne gratitudine e devozione: Giuseppe De Robertis, conosciuto già prima di iscriversi alla facoltà di Lettere a Firenze, e Giuseppe Ungaretti con il quale si laureò a Roma nell’autunno del 1947 con una tesi di impostazione derobertisiana, Le varianti delle Canzoni di Leopardi, scelta che inoltre mostrava l’attrazione per il grande filologo romanzo Gianfranco Contini. L’interesse per il linguaggio e lo stile, per pronunciarsi sul valore e l’autenticità tanto della poesia che della prosa, è sempre restato una costante della ricerca di Piccioni, evidente negli studi sul Foscolo fiorentino e sulla narrativa di Verga e applicato con sensibilità critica e perizia tecnica nella cura della Terra Promessa di Ungaretti (1950) e nell’edizione critica di Vita d’un uomo. Tutte le poesie dello stesso poeta, allestita sotto la supervisione dell’autore nel 1969. Un volume che nell’inaugurare la collana dei “Meridiani” della Mondadori ha rappresentato un’edizione esemplare per equilibrio filologico e critico, premiata da un duraturo successo.

L’impiego alla Rai nel 1946 come redattore del Giornale Radio, per seguire i fatti politici da cattolico liberale, avrebbe dato un indirizzo singolare alle successive esperienze di Piccioni. Infatti quando l’aspirazione accademica – a trent’anni ottenne la libera docenza in Letteratura moderna e contemporanea e fu assistente di Ungaretti – decadde per un incarico mancato (sebbene dal 1969 al 1981 abbia tenuto l’insegnamento di Letteratura italiana allo Iulm di Milano), si impegnò ad avanzare nell’azienda facendo una brillante carriera che concluse nel 1991 come vicedirettore generale. Nelle molteplici attività televisive e radiofoniche la letteratura è rimasta il nutrimento capace di dar forza e incisività al suo ruolo pubblico; si può ricordare la memorabile trasmissione radio «L’Approdo», iniziata a Firenze nel 1944 durante l’occupazione americana, che Piccioni fece diventare rivista culturale (1952-1977) e programma televisivo (1963-1971), con servizi, interviste e inchieste anche sulla musica, pittura, cinema tanto nazionali che internazionali. (Nella foto, “La marina dell’Approdo” di Carlo Carrà, che fu l’immagine della sigla televisiva dell’“Approdo”, ndr).

Lungo il duplice tracciato, letterario e giornalistico, con garbo e competenza, umiltà e fermezza Piccioni ha alimentato il suo rapporto con i protagonisti della poesia, della narrativa, della critica contemporanee, proponendo a un pubblico vasto scrittori e artisti altrimenti vincolati a esclusivi ambiti letterari. Pose il microfono a Gadda, a Pavese, a Ungaretti, a Montale, a Landolfi; si avvalse di collaborazioni senza pregiudizi ideologici, nella convinzione che le posizioni politiche viaggiassero su un binario autonomo rispetto all’arte. E così fu studioso e amico di Saba, Pea, Vittorini, Bilenchi, Cassola, Rea, Manzini, Pomilio, Ortese, come di Betocchi, Lisi, Luzi, Sereni, e ancora di Cecchi, Longhi, Bo. Nomi di cui ha lasciato ritratti nitidi e appassionati che univano, secondo il suo metodo di indagine, acribia nell’analisi delle opere, spiegando con semplicità d’espressione la loro ragione di bellezza, e valutazione del carattere umano degli autori, verificato nella frequentazione, nella confidenza, nell’aneddoto colorito. Le corrispondenze letterarie con circa duecento amici, scrittori, poeti, artisti documentano l’elevata considerazione in cui era tenuto il suo giudizio, il tratto gentile che conosceva guizzi polemici, la generosità verso la precarietà materiale di non pochi operai della penna (pubblicati sono i carteggi con Giuseppe De Robertis, Ungaretti, Gadda, Domenico Rea e con il fratello Piero, e l’insieme degli epistolari, recentemente acquisiti dal MiBAC, sono stati destinati all’Archivio Centrale dello Stato, insieme alla biblioteca di Piccioni donata dagli eredi. E proprio all’Archivio si svolgerà il 27 e il 28 maggio il convegno Leone Piccioni, una vita per la letteratura, promosso dall’associazione Amici di Leone Piccioni, recentemente fondata).

Ripercorrendo alcuni titoli dei suoi libri, Lettura leopardiana e altri saggi, La narrativa italiana tra romanzo e racconti, Lavagna bianca: diario 1963, con agosto in URSS, Antologia dei poeti negri d’America, Maestri e amici, Ungarettiana, Troppa morte troppa vita. Viaggi e pensieri intorno agli Usa, appare l’ampiezza dei suoi interessi, la percezione nel cogliere aspetti nuovi e inusitati del mondo letterario o artistico e musicale con la capacità di ricondurli a una linea estetica rigorosa, a una tradizione ben individuabile, frutto di letture vaste e integrali, di scelte ed esclusioni, di coraggio. Sono scritti che, insieme allo studio dei carteggi inediti e alla valutazione delle trasformazioni operate da Piccioni nella comunicazione, meriteranno attenzione per leggere con lenti più nitide la storia culturale dell’Italia repubblicana, e scoprire una prosa originale e mobile che gradualmente confina in un’epoca passata la distinzione dei generi letterari.

 

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