Luca Zipoli
Visto al Teatro Tor Bella Monaca di Roma

Impossibile Caligola

Convince il pubblico romano la celebre pièce di Albert Camus riletta da Gennaro Duccilli con il suo “Teatro della Luce e dell’Ombra”. Lo spettacolo ha già rappresentato l’Italia in Spagna nei due Festival Internazionali di Siviglia e Cadice, ottenendo successo di critica e di pubblico

Di lui la Storia ha tramandato racconti raccapriccianti.  È per antonomasia il tiranno folle, invasato dalla brama di potere. Verità o leggenda che sia, di lui si disse che mangiava cibi cosparsi d’oro, che fece senatore un proprio cavallo, che non si asteneva dall’avere una relazione incestuosa con la sorella. È Caligola, terzo imperatore di Roma, appartenente alla dinastia giulio-claudia, che nei cinque anni del suo regno (37-41 d.C.) disseminò terrore in tutta la città per le sue azioni scellerate. Convinto di possedere natura sovrumana, impose addirittura ai suoi contemporanei di onorarlo come un dio mentre era ancora in vita. A quest’ultimo dei suoi deliri pose fine una congiura di pretoriani, che lo spense a soli 28 anni e fece spazio al più mite Claudio, suo zio. Oltre che dalle cronache e dagli storici latini, la figura del famigerato imperatore è stata immortalata in epoca più vicina a noi dallo scrittore Albert Camus, che con la pièce eponima portò a conclusione la “trilogia dell’assurdo”, preceduta da due capolavori come il romanzo Lo straniero e il saggio Il mito di Sisifo, entrambi del 1942. L’artista francese mise mano al testo teatrale nel 193, e continuò a lavorarci fino al 1944, anno della stampa per Gallimard, cui seguì, l’anno successivo, la prima rappresentazione dell’opera. Negli anni in cui l’Europa dei totalitarismi stava conoscendo sulla sua pelle le conseguenze nefaste dei singoli uomini assetati di potere, Camus guardò al personaggio dell’imperatore romano come precedente inquietante di follia distruttiva dettata da ambizioni personali. E seguendo quella intuizione scrisse un testo capitale sul potere e sulle sue conseguenze, sulla dialettica tra libertà personale e interesse di molti; tutti temi cruciali e attuali ancora al giorno d’oggi.

Caligola è uno dei cavalli di battaglia di Gennaro Duccilli, allievo della scuola napoletana di Eduardo De Filippo. In questo spettacolo Duccilli è nella doppia veste di regista e protagonista; accanto a lui, gli attori del Teatro della Luce e dell’Ombra, la compagnia che ha fondato nel 2006. L’allestimento che hanno riproposto nella primavera romana ha più di dieci anni, ma mostra ancora tutta la sua attualità, testimoniata anche dal grande successo che in questi anni ha riscosso sia in Italia sia all’estero. Le scene di Sergio Gotti così come le luci di Antonio Accardo confezionano un’atmosfera cupa e dai colori lividi, perfetto sfondo alle inquietanti azioni del protagonista. Su queste si stagliano i costumi dei personaggi, disegnati da Ines Delle Vedove con la collaborazione di Luana Borro, che appaiono per la maggior parte sgargianti e fantasiosi, così da attirare l’attenzione dello spettatore sui personaggi e immergerlo in una realtà sospesa fra reale e irreale. In un cast corposo di ben 15 elementi risalta proprio l’interpretazione del protagonista, di cui risulta evidente la frequentazione decennale con il copione ma che a tratti mostra anche qualche segno di stanchezza. Duccilli/Caligola è vestito come un faraone egizio, così da rendere evidente il suo delirio di onnipotenza, e ha il volto truccato come un mimo, per suggerire come la sua non sia tanto presunta follia quanto piuttosto lucidissima messinscena.

«Non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora», dice infatti – emblematicamente – il protagonista. E ancora: «Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti». Nella rilettura di Camus, Caligola non è semplicemente l’imperatore folle invasato dal potere, bensì l’uomo che con la morte della sorella-amante Drusilla ha scoperto l’esistenza della morte, la finitezza dell’essere umano e la limitatezza del mondo. Insoddisfatto da questa tragica realtà, l’imperatore ha deciso di cedere consapevolmente a quanto di più visionario gli detta la sua fantasia, per superare i limiti imposti agli uomini ed esorcizzare l’incombenza della morte. Avendo scoperto l’assurda verità che è al cuore della condizione umana, essere creature finite ma che aspirano all’impossibile, Caligola sceglie quindi di rompere le barriere e di inseguire quell’impossibile. «Io voglio solo la luna, Elicone», la maggiore libertà che un uomo possa avere risiede per lui proprio in questa ricerca dell’impossibile, individualista, testarda e insofferente dei limiti precostituiti. Oltre che un’allegoria politica, il dramma di Camus è quindi anche un apologo che si interroga sull’assurdità della condizione umana, sulla dialettica tra libertà e limiti, e sulla difficile coabitazione fra singole aspirazioni personali. A questi interrogativi cruciali la fortunata messinscena di Duccilli riesce a dare corpo e pregnanza, rendendoli utili per una riflessione quanto mai attuale.

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