Paolo Petroni
Visto al Teatro India di Roma

Ritorno a Martone

Dopo 36 anni, "Tango glaciale" di Mario Martone ancora emoziona con la sua capacità di cogliere le ansie di una generazione inquieta. A dimostrazione che, anche sulla lunga distanza, la creatività si mantiene viva

A trentasei anni dal suo debutto è tornato sulle scene Tango glaciale, il lavoro che pose Mario Martone e il collettivo di artisti Falso Movimento all’attenzione nazionale e non solo. Ora è “reloaded (1982-2018)” direi in fedele versione nel riallestimento a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi con la supervisione di Martone stesso. (Si replica fino a domenica 14 aprile al Teatro India a Roma).

Allora, nel 1982, aveva alle spalle un decennio di avanguardia romana (da Perlini a Vasilicò, da Sepe a Nanni) che aveva rotto tutti gli schemi tradizionali, proprio puntando non sulla drammaturgia scritta, ma sul visivo, sulla scrittura scenica; assieme era arrivata la danza contemporanea, dagli Usa al Tanztheater di Wuppertal, quindi si trattava del frutto di tutta un’evoluzione espressiva che, col lavoro di Martone, aveva espresso anche Crollo nervoso di Tiezzi coi Magazzini criminali, e arrivava a dare una sintesi e un espressione generazionale che ha la capacità evidentemente di rinnovare il proprio senso. La platea del Teatro India è infatti piena di giovani che, alla fine, entusiasti battono a lungo le mani ritmicamente, come coinvolti dalla cadenza continua e serrata delle musiche e dello spettacolo che oggi arriva con la sua apparente novità come fosse senza radici, non dimostrando, evidentemente, la propria età per chi non l’ha mai visto.

«Lo spettacolo racconta l’attraversamento di una casa da parte di tre suoi abitanti – spiega Martone – Un meccanismo viaggiante dall’esterno verso l’interno procedendo dall’antica Grecia all’America anni ’50». Tutto in 12 quadri che si succedono rapidi, uno ogni 5 minuti circa per un’ora totale, colorati e incisivi come in un montaggio cinematografico, e del resto è da quel mondo visivo che vengono molte suggestioni, ma allora, almeno nel ricordo, con più suggestione teatrale per una certa inevitabile artigianalità, ché oggi ha altro nitore la perfezione dell’elettronica per la parte tecnica, a cominciare da luci e proiezioni videografiche che fanno da scenografia, passando dagli esterni di un villetta ai suoi ambienti interni, dal salotto sino a cucina e bagno, per ritornare all’aperto alla fine.

È un viaggio reale e metaforico, attraverso anche l’immaginario dei tre personaggi, verso il loro mondo interiore, passando attraverso lo spazio e il tempo per reminiscenze classiche (con un discobolo e un tedoforo) e visioni da fantascienza o sogni in trench da poliziottesco d’epoca, con l’alternarsi del loro vissuto contemporaneo tra trasgressioni e stereotipi, tutto proposto con una forte ironia di fondo, tra inquietudini e paradossali serenità, tra contrasti e coinvolgimenti, col triangolo dei protagonisti che in una sorta di danza continua si scinde e si ricompone, in un lucido gioco di sovrapposizioni, di contaminazioni, di accumulo con un’inquietudine che era di quegli anni (ma che penso i giovani d’oggi stiano vivendo eguale, pur fatte le debite differenze) e una visione pessimistica, senza soluzione, se le ultime immagini sono l’interno della casa disastrato, come terremotato, e poi l’uscita fuori, su un paesaggio desertico.

Ironia, quindi, ma con un filo angoscioso, come chi deve affrontare con un paio di cesoie da giardino un bosco di alti alberi, ma anche momenti di poesia (e basterebbe la caccia in casa alla farfalla notturna che inizia casuale e via via si fa più esasperata, come a un certo punto l’accenno di un tango), e un impegno fisico, di movimenti reiterati, ora eleganti ora scomposti, di attenzione e precisione, pur quasi senza parole, dei tre davvero bravi interpreti, Jozef Jura, Giulia Odetto, Filippo Porro, cui auguriamo si apra una strada come accadde ai loro colleghi di allora: Tomas Arana (andato in Usa far film e tv), Licia Maglietta e Andrea Renzi.

Tango glaciale è stato riproposto in coproduzione dalla Fondazione Napoli Teatro, il Teatro Bellini, e l’Aterballetto col sostegno dello Stabile di Torino.

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