Alessandra Pratesi
Visto al Teatro Argentina di Roma

Il dilemma del popolo

Massimo Popolizio torna alla regia dopo il successo di “Ragazzi di vita” con un classico sempreverde del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, “Un nemico del popolo”, nel quale interpreta il ruolo del medico, idealista e un po’ ingenuo. Una Maria Paiato titanica è il suo antagonista in bombetta e bastone da passeggio

C’era una volta, in una cittadina tranquilla e pacifica, una coppia di fratelli. Ognuno di loro combatteva per il bene del popolo. Ognuno di loro, però, a modo suo. Così si potrebbe riassumere Un nemico del popolo del norvegese Henrik Ibsen, dramma composto nel 1882 e apparso per la prima volta sulla scena nel 1883. La pièce si struttura come un dilemma: date due premesse contrarie, si arriva alla medesima conseguenza, ovvero il bene (o la rovina, a seconda dei punti di vista) del popolo. Le due premesse sono i due fratelli Stockmann, il dottore Thomas e il sindaco Peter, mentre l’entità quasi mistica del Popolo è il fine ultimo cui tendono tutte le azioni dei fratelli. Il medico scopre la presenza di un inquinamento batteriologico nelle condutture dello stabilimento termale e vuole interrompere le attività del centro per salvaguardare salute e buon nome della comunità; il fratello politico, d’altro canto, in pieno periodo pre-elettorale, non vuole sottrarre la fonte degli introiti e del benessere economico alla comunità. È guerra aperta, a colpi di principi e di utilitarismi, di politica e di etica, di verità e di potere.

Dal 20 marzo al 28 aprile è in scena al Teatro Argentina di Roma con Massimo Popolizio nella doppia veste di regista e di attore (è lui il Dottor Stockmann, concentrato e stralunato come è tipico di pazzi e visionari). Lo affianca un cast validissimo, a cominciare da Maria Paiato (nella foto a destra), titanica, adamantina, incisiva nel ruolo del sindaco. Menzione speciale merita Paolo Musio come Hovstad, direttore del giornale subdolo e instabile come quella “Voce del Popolo” di cui si fa ambasciatore insieme a Michele Nani (l’editore Aslacksen) e Tommaso Cardarelli (Billing). Insieme formano un terzetto ineguagliabile per la molteplicità dei toni e per il cesello dei tempi comici. Non sono da meno Francesca Ciocchetti e Maria Laila Fernandez, rispettivamente moglie e figlia dell’idealista Dottor Stockmann, la prima devota e pragmatica amministratrice del focolare domestico, la seconda indomita suffragetta. Il grottesco suocero, Morten Kiil, è Francesco Bolo Rossini, che traduce la stortura morale del suo personaggio in un andamento rozzo e claudicante. Dimensione a sé è quella abitata da Martin Ilunga Chisimba, che in scena è “un ubriaco”, uno zio Tom senza capanna, con cappello a cilindro nero e salopette sgualcita e logorata dalla fatica del lavoro nei campi: a lui sono affidati i siparietti di stacco tra una scena e l’altra. È il cantastorie del dramma, voce narrante e personificazione delle minoranze. Se è vero che «la maggioranza ha la forza, ma la minoranza la ragione», lui, nero reietto e ubriaco, è l’unico a detenere la ragione, l’unico autorizzato a raccontare la verità.

È uno spettacolo alla vecchia maniera, con l’esattezza della dizione e del gesto, scandagliati e limati perché con il corpo e la voce dell’attore siano trasmessi contenuti ed emozioni. Il contorno sensoriale del testo prosegue con la perfetta sintonia tra luci e suono, rispettivamente Luigi Biondi e Maurizio Capitini. I costumi, di Gianluca Sbicca, sono essenziali e sobri: giacca e bombetta per gli uomini, gonne lunghe e nere per le donne; la scena, di Marco Rossi, è un labirinto di lastre metalliche a parete e tubature a vista che richiamano lo stabilimento termale. La perfezione formale dello spettacolo si riassume in un dettaglio: il passaggio della bombetta dalla mano al capo individua la fine delle scene, mentre all’atto della vestizione e del saluto corrisponde l’istantaneo spegnimento delle luci.

Non più Norvegia di fine Ottocento, bensì Stati Uniti d’America anni Venti, come sottolineano gli intermezzi musicali tinti di blues, folk e country. Nel Nemico del Popolo di Popolizio cambiano le coordinate spazio-temporali, ma la sostanza non è intaccata. Un nemico del popolo c’è stato in qualsiasi epoca, c’è e sempre ci sarà. Un capolavoro tragicomico senza età, sempre attuale, sempre eloquente. Nella versione di Popolizio assume la forma ora della commedia ora della satira morale, senza che mai si abbassi il livello di attenzione e coinvolgimento del pubblico che si ritrova e si rispecchia, ora come nemico ora come popolo.

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