Francesco Arturo Saponaro
Notizie dal “Printemps des Arts”

I cantori di Tuva

Qualità di esecuzione e proposte sorprendenti al festival musicale del Principato di Monaco appena concluso. Come quella del russo Ensemble Chirgilchin che ha stupito con la tecnica “xöömej”, una tradizione vocale rarissima di canto difonico

Si è appena conclusa l’annuale edizione del festival Printemps des Arts, che si svolge nel Principato di Monaco, ma coinvolge largamente città e territori adiacenti, con un pubblico che accorre numeroso, anche da lontano. Perché la formula è accattivante per varietà e curiosità di proposte. Merito delle scelte e del profilo che alla manifestazione ha impresso il compositore francese Marc Monnet (nella foto di apertura), da molti anni direttore artistico. Da questi il Festival è stato aperto a linguaggi diversi, e sagomato in un contenitore di proposte differenti, specialmente con larghe aperture alla musica d’oggi, oltre che alla musica classica. Il che fa avvicinare alla rassegna molti spettatori giovani. Ogni anno, il programma include musica antica, titoli di grande repertorio, novità assolute, fino alla musica etnica – ospite di quest’anno la Mongolia – e al coinvolgimento degli allievi di conservatori e scuole musicali del territorio. Non manca mai, inoltre, il concerto a sorpresa, che ha proprio un suo particolare pubblico di appassionati, fiduciosi nella qualità dell’appuntamento. Tanto che, ogni volta, centinaia di partecipanti comprano a scatola chiusa biglietto d’ingresso e trasporto in pullmann, senza affatto conoscere luogo e contenuti dell’esecuzione.

E così, ad esempio, si sono avute l’esecuzione integrale dei cinque concerti di Beethoven per pianoforte e orchestra, e quella dei due analoghi concerti di Brahms. Maratone di grande impegno musicale, affidate all’orchestra Sinfonia Varsovia e al direttore-pianista François-Frédéric Guy per Beethoven, mentre l’Orchestra Filarmonica di Monte-Carlo, diretta da Michal Nesterowicz con Philippe Bianconi al pianoforte si è votata ai concerti di Brahms. Largo spazio anche ai quartetti per archi di Beethoven, assegnati a varie formazioni; a pagine seicentesche di Heinrich Schütz, e cinquecentesche di Luzzasco Luzzaschi (1545-1607) con una suggestiva carrellata di madrigali, resi egregiamente dall’Ensemble La Venexiana. La musica del nostro tempo è stata degnamente rappresentata, tra le altre, da pagine di Mauricio Kagel, Charles Ives, Jeremy Gill, Bela Bartók, Karlheinz Stockhausen. A chiudere il Festival è stato invitato l’Ensemble Chirgilchin dalla Repubblica di Tuva (nella foto), una delle repubbliche della Federazione Russa, confinante con la Mongolia. In effetti questo Ensemble esegue danze e canti della tradizione mongola, in lingua tuvana; una tradizione vocale rarissima che, con una tecnica detta xöömej, esibisce un singolare canto difonico, cioè di due suoni vocali contemporanei. Tutti noi sappiamo cantare un suono alla volta; invece questi cantori mongoli, mediante la tecnica citata di costrizione delle corde vocali, riescono ad alternare il canto normale o gutturale al canto con gli armonici, cioè con un suono più acuto, emesso simultaneamente al suono base. E ottengono colori vocali per noi inauditi.

Due prime esecuzioni hanno marcato uno dei fine-settimana. Die neuen Ruinen von Athen (Le nuove rovine di Atene) per quartetto d’archi, del compositore Alexandros Markeas (n. 1965), greco trapiantato a Parigi, è il frutto di una specifica commissione del Festival. Esplicito il richiamo al titolo beethoveniano del 1811, Die Ruinen von Athen. Perché il lavoro vuole evocare immagini di rovine contemporanee, di degrado, di fragilità: un affresco della società di oggi, e un’allegoria della Grecia odierna, vittima illustre della crisi economica. Il lavoro è infatti dedicato alla memoria di Zak Kostopoulos, militante LGBT morto durante gli scontri di piazza del settembre 2018 nella capitale greca. La partitura dispiega profili sonori in evoluzione incessante, dai suoni impalpabili dell’avvio alle improvvise accensioni che via via emergono. E il quartetto d’archi si aiuta con l’impiego di oggetti d’uso quotidiano (carta, pasta adesiva, mollette da bucato), così come con la diversa posizione e pressione dell’arco: da qui sonorità e timbri instabili, fragili, inauditi, per tratteggiare un presente visionario, denso di interrogativi. Paesaggio sonoro del quale il Quartetto Diotima ha offerto intensa espressione. Altra prima assoluta, ancora su commissione del Festival, si è avuta nel concerto a sorpresa. Il Quartetto Tana insieme al clarinetto basso di Alain Billard ha dato vita a Shadow II, nuova composizione del francese Yann Robin (n. 1974). Parte di un ciclo di cinque pezzi, nei quali ogni volta il quartetto d’archi si confronta con un interlocutore diverso sul tema delle ombre quale materiale ispirativo, Shadow II contrappone agli archi il clarinetto basso. Ne sorge un dualismo aspro, stridente, nel quale il conflitto fra tenebra e luce mescola i ruoli degli attori, sospingendoli verso ambienti sonori estremi, inesplorati.

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