Silvia Zoppi Garampi
In ricordo dello studioso scomparso

La lezione di Gregory

Dalle ferme indicazioni per l’itinerario di un viaggio in Francia (sua seconda patria), alle severe revisioni di una tesi di laurea su un poligrafo veneziano del Cinquecento. Così un’allieva ricorda l’autorevole e catturante incontro con il Maestro

A causa di Tullio Gregory scoppiò la prima scenata del mio matrimonio. Località Lago di Annecy, luglio 1989. Per Gregory la Francia era una seconda patria anche se i suoi rapporti e le sue amicizie spaziavano per l’intera vecchia Europa. Mentre non celava disinteresse verso gli altri continenti. Fu quindi spontaneo chiedere a lui lumi (mi si passi il termine) per un viaggio di nozze in auto che aveva come meta, prima di Londra, Parigi. Gregory era assertivo, sicuro e preciso nelle non poche sfere di sua competenza; decise che a Parigi dovevamo fissare l’Hotel Madison su Boulevard Saint-Germain, a Digione pernottare e soprattutto cenare a l’Hostellerie Du Chapeau Rouge, mentre la prima notte non poteva non essere passata sul suggestivo Lago di Annecy prendendo una stanza, mi pare ci indicasse quale, all’Auberge du Père Bise: uno storico albergo, ancora non ristrutturato, sulla riva lacustre, dove avremmo potuto mangiare una lingua salmistrata ineguagliabile. La mia eccitazione per questo “viaggio d’autore” raggiungeva alte quote quando, dopo la prima notte ad Annecy, mio marito andò in escandescenza volendo riappropriarsi di una libertà di scelta. La mia reazione fu violenta, ma trovandomi di fronte a una presa di posizione ferma il nostro viaggio di nozze dovette in parte non rispettare il culto itinerario.

Non era un caso se l’ombra autorevole, severa, catturante di Tullio Gregory compariva di frequente nella mia vita quotidiana di allora. Già amico di famiglia, quando seppe che studiavo letteratura italiana alla Sapienza mi disse, senza ammissione di replica, di seguire le lezioni di Achille Tartaro e di laurearmici. Così feci, ma la circostanza volle che Tartaro nel frattempo diventasse preside della impegnativa facoltà di Lettere e Filosofia, lasciando per forza di cose i suoi laureandi un po’ allo sbaraglio. Gregory mi prese allora sotto la sua ala, seguendomi passo dopo passo nella stesura di una tesi filologico-letteraria su un poligrafo veneziano del Cinquecento. Lo andavo a trovare la domenica mattina nel suo grande appartamento su piazza Cavour dove nell’ingresso, su un leggio, era sistemato un voluminoso Calepino accanto a una slanciata scultura del suo amato Carlo Lorenzetti.

Fu un anno e più di lavoro sodo, scritture e riscritture, la consequenzialità logica, la scelta delle parole, il più persuasivo accostamento di due termini, la punteggiatura, le note; ricordo bene un pomeriggio all’Accademia dei Lincei, dove mi dette appuntamento, la sua disapprovazione nel restituirmi la parte introduttiva della ricerca: sprovveduta gli domandai se dovessi lavorare più sui contenuti o sulla forma, mi rispose che un secolo prima De Sanctis aveva mostrato l’unità tra i due aspetti dell’espressione. Ma non posso nemmeno dimenticare che quando la tesi era in dirittura d’arrivo – si trattava dell’edizione annotata di un manoscritto inedito di teoria poetica – mi mandò da due eminenti studiosi: Armando Petrucci, con il quale avevo già sostenuto l’esame di Paleografia e diplomatica, che mi dedicò tempo e premura nel controllare le diverse mani dei copisti da me individuate e nel fornirmi i necessari strumenti bibliografici, e Domenico De Robertis, che rilesse parola per parola tutta la trascrizione del manoscritto, correggendolo e dettandomi i criteri da adottare nell’edizione. Solo più tardi mi sarei resa conto fino in fondo del valore scientifico e morale di quegli incontri preziosi. Grazie a Gregory conobbi e frequentai Eugenio Garin che accolse nei quaderni della rivista “Rinascimento” la mia tesi.

Un paio di settimane fa gli ho lasciato nella portineria di piazza Cavour un libro di un autore a lui caro, Francesco Mario Pagano, la speranza e il desiderio era di poterne parlare, di ascoltare il suo eloquio stringente e nervoso, le sue frasi epigrammatiche.

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