Kathleen Jamie
La vincitrice del Ceppo si racconta

Il filo della mia poesia

«La mia esperienza vissuta, come scrittrice, come essere umano, vede i vari fili di vita e arte che si intrecciano gli uni con gli altri, e vede il tempo più come una spirale che una freccia…». Così Kathleen Jamie nella prefazione alla sua autoantologia che oggi leggerà a Pistoia, al Ceppo Biennale Poesia

Per gentile concessione del 63° Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia, pubblichiamo un estratto della Ceppo Piero Bigongiari Lecture 2019, “I quattro fili della vita e dell’arte” che Kathleen Jamie (1962), vincitrice del Ceppo Internazionale Poesia, leggerà alla manifestazione Ceppo Biennale Poesia oggi, 24 marzo, a Pistoia. È l’introduzione del volume Falco e ombra (Interno Poesia 2019), curato e tradotto da Giorgia Sensi. Si tratta in della prima autoantologia mai edita di poesie e prose della poeta scozzese, ideata dal Premio Ceppo con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e di Chianti Banca. Come si legge nella motivazione al premio, scritta da Paolo Fabrizio Iacuzzi (presidente e direttore), Jamie vince «per una scrittura in versi e in prosa dove il pensiero segue sentieri non narrativi, e semmai insegue le linee di fuga di una musica turbata, come un campanello d’allarme dell’incanto e dell’idillio. In ogni poesia c’è una crepa che attraversa il quadro, un punto che si corrompe, si scolorisce, si disfa facendo apparire il disincanto di un duro presente». Per saperne di più: www.iltempodelceppo.it

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Queste sono le forme che il mio lavoro ora ha preso: poesia, prosa non fiction, e una sorta di ibrido tra le due. Continuo a credere che la poesia sia l’arte più alta, e se dovessi scegliere, sceglierei la poesia. Quindi cercherò di parlare prima della mia poesia; almeno del mio lavoro più recente, quello degli ultimi quindici o venti anni, quando ho compiuto quarant’anni. Non si dice forse che la vita comincia a quarant’anni?
Prima di farlo, però, dovrei dire che trovo strano dover parlare della mia poesia separata dalla prosa, e di costruire questo discorso in ordine cronologico. Il vissuto non è così. La mia esperienza vissuta, come scrittrice, come essere umano, vede i vari fili di vita e arte che si intrecciano gli uni con gli altri, e vede il tempo più come una spirale che una freccia. E poi, naturalmente, si intrecciano con il resto della mia vita: i bambini, i genitori, le relazioni, i soldi, la natura, i viaggi… Ma farò del mio meglio.
Quindi ecco il primo filo. La mia poesia.
… All’età di quarant’anni avevo preso la decisione formale di scrivere del mondo naturale. Anzi no, non del, ma Verso il mondo naturale. Decisi di scrivere un libro che esplorasse il mio rapporto con il mondo non umano intorno a me. E da allora questo è stato il mio interesse centrale.
La mia presa di coscienza del problema dell’ambiente avvenne negli anni Novanta del Novecento, e avvenne nell’America del Nord perché gli americani, con i loro grandi spazi, erano molto più avanti, in tali questioni, di noi qui nella vecchia Europa. Fu quasi per istinto che presi in mano un libro dell’eco-teologo Thomas Berry, dal titolo Song of the Earth, che ebbe su di me un effetto potente. L’autore ci mette in guardia dal ritenere i sistemi viventi una “risorsa”. Ci mette in guardia verso la tendenza rapace e negazionista che abbiamo: considerare le creature viventi e i paesaggi una “risorsa” è un atteggiamento pericolosamente mercantile e venale.
Volevo esplorare, e la poesia consente una lingua di maggior finezza, più ricca di sfumature. Le mie due raccolte, The Tree House (2004) e The Overhaul (2012) erano molto controllate, molto misurate. In questi libri, scritti, come ho detto, quando ero sulla quarantina, la gioventù alle mie spalle, comporre ogni poesia richiese secoli, i versi erano molto ponderati, le strofe ben modellate. Il mio tema era il mondo naturale, la questione vitale del nostro rapporto con altre creature, con l’ambiente. Erano esplorazioni.
Sapevo ciò che facevo, ma francamente non posso dire di avere un sistema quando scrivo. Non ho un “approccio”. La buona poesia non è mai il risultato di un “approccio”. Appena ti rendi conto di avere un’“approccio”, il momento creativo è finito. Ma una delle cose che mi interessano è il rivolgermi direttamente a qualcuno; mi interessa sapere chi parla a chi, o chi parla per chi. Questi sono rapporti di potere e quindi politici. La poesia ci consente di rivolgerci a creature non umane o a entità. Alcune delle più belle poesie della lingua inglese sono casi di apostrofe. L’ode All’autunno di Keats, per esempio. È interessante riflettere su come ci si dovrebbe rivolgere a una lumaca, a un albero, a un fiore. Come trovare il tono giusto?
Quindi le poesie sono diventate momenti in cui ascoltare e parlare. È strano cercare di trovare un modo per prestare una voce a creature non-verbali. È troppo facile cadere in trappola e finire in una specie di cartone animato. Certo io mi impongo – invento parole da attribuire a un fiore. Ma se la lingua è il modo di noi umani per connetterci col mondo allargato, allora dobbiamo cercare di far esprimere altre creature. Specialmente se siamo noi a minacciare il loro futuro. Il mondo non umano ha più che mai bisogno di patrocinio. Questo non fa di me un’attivista, non è nelle mie corde. Non sono una giornalista, non scrivo opuscoli o libelli polemici. E non mi piace gridare. Ma se possiamo avvicinarci al mondo naturale con immaginazione, curiosità e amore, è meglio dwell poetically. Meglio essere poeta della natura che spremervi profitti e distruggere l’habitat e la fauna selvatica.
Ma, come accennavo più sopra, ben poco di quello che si fa quando si scrive poesia appartiene al livello della coscienza. Ripeto, io non ho un approccio di cui sono consapevole, non sono così cerebrale. Ho solo una piccola scorta di istinti e intuizioni. Ma credo anche nello studio, e in quei due libri, The Tree House e The Overhaul ho cercato di insegnare a me stessa, da autodidatta, l’abilità di ascoltare con molta attenzione. Sono stata particolarmente attenta al ritmo (se non alla metrica, in cui non sono brava) e a come padroneggiare le diverse forme poetiche. In questi due libri troverete sonetti moderni e ballate. Troverete strofe di quattro o cinque versi, costruite con cura. Assonanze, consonanze, a volte anche qualche rima. Ci tengo alla chiarezza, quindi ci sono immagini che sembrano semplici ma che hanno richiesto un’infinità di tentativi. Inoltre, ho cercato di liberarmi dall’ego, per poter “vedere cosa c’è là fuori”.
Nel mio lavoro, non voglio meravigliare voi lettori con le mie avventure o il mio linguaggio estroso. Voglio avervi al mio fianco, così da poter dire “Guardate questo, vedete quello che vedo io? Lasciate che ve lo mostri”. Cerco di rivelare il mondo nella sua meraviglia, e voglio che voi lettori lo scopriate insieme a me. Ho cercato, e cerco di ascoltare la lingua e la sua musicalità. Non voglio mettere in mostra me stessa. Esemplare la poesia Hawk and Shadow (Falco e ombra).

 

Falco e ombra

Osservavo un falco

planare lento lungo il pendio,

la sua forma scura

negli artigli come una preda.

 

Inclinò le ali,

cadde nell’aria –

l’ombra proseguì

senza di lui, come una lepre.

 

Ero ai ferri corti

con la mia cosiddetta anima,

parte libero falco,

parte ombra in libertà vigilata,

 

così agii d’impulso:

ne tenni uno ben in vista

e lasciai andare l’altra.

Il falco si librò in aria:

 

la compagna a terra

cominciò a sbiadire,

finché colle e cielo furono vuoti,

ed ebbi paura.

Riandando con la memoria a quei giorni, ora che i miei figli sono adulti, mi chiedo se scrivevo poesie composte, serie, costruite con cura come reazione al caos e al rumore della vita con bambini piccoli!

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