Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

I Castelli con gli occhi degli scrittori

L’abbazia di San Nilo a Grottaferrata, Palazzo Chigi ad Ariccia, la Villa Aldobrandini a Frascati. Nonostante i guasti moderni non è difficile scovare ai Castelli Romani luoghi di grande pregio e bellezza. Più facile ancora grazie a un baedeker che ci orienta nei borghi sulle orme di celebri passi

Di Grottaferrata e della sua ultracentenaria Fiera di marzo (dal 23 al 31 prossimila 419.a edizione, che celebra la terra, dalle macchine per lavorarla ai prodotti e al modo di cucinarli) Richard Voss – scrittore tedesco che visse con la moglie a Frascati, nella Villa Falconieri, dal 1880 al 1905 – annota: «In questa contrada illustre ogni zolla è suolo di storia…(durante la Fiera)… la via brulica di romani, di stranieri e di gente del luogo – a piedi, a cavallo, in carrozza – e lo spettacolo è così vario e allegro che pare di essere in un giorno di Carnevale romano (…) Che chiasso, tutti gridano e tutti i dialetti s’incrociano. Sui due lati della strada si trova la merce favorita: prosciutto, prosciutto! È proprio la festa del prosciutto».

E di Marino in autunno, quando si celebra la Sagra dell’uva, Carlo Emilio Gadda mezzo secolo dopo scrive:«Mi ingolfo così nei rumori e nei colori della festa, navigo fra la gente dei borghi d’Alba». Ecco le grida dei venditori: «Pesci fritti!, fiori de cocuzza!, magra magra (attributo esimio della porchetta), alla manna de Marino signori!, (che è l’uva), baccalà fritto!, focacce cor buco!, alla vera manna. Bisogna magnà giovinotti!, Giovinotti, tenetevi in forze!».

Sono due degli autori che Marco Onofrio, saggista e critico letterario, fa parlare in un’originale sua guida ai Castelli (I Castelli romani nella penna degli scrittori, Edilazio), che spazia dal Quattrocento ai tempi nostri. E che diventa un baedeker per confrontare quello che c’era e quello che c’è in un territorio inimitabile: affonda nel mito con Albalonga fondata da Ascanio e poi perpetuata nella discendenza di Romolo e Remo e dunque in Roma; affascina i blasonati della città del Papa che vi passano gli ozi vacanzieri erigendo artistiche dimore (Castelli appunto, e sono quindici borghi: Colonna, Monte Porzio, Monte Compatri, Frascati, Grottaferrata (nella foto), Rocca di Papa, Rocca Priora, Marino, Castel Gandolfo, Albano, Ariccia, Genzano, Nemi, Lanuvio, Velletri); stordisce nell’incantamento i viaggiatori del Grand Tour; calamita negli anni del boom il jet set sbarcato all’aeroporto di Ciampino (e sono allora le villeggiature di Loren-Ponti, Moravia, Antony Quinn, Virna Lisi); infine diventa meta della borghesia delle seconde case e di quelli che, svuotate le tasche dalla crisi economica, si trasferiscono per risparmiare sull’affitto.

Così, sostituire l’abusata gita “foriporta” con la lettura dei luoghi attraverso pagine letterarie può essere un modo per riappropriarsi della cintura dei colli attorno alla Capitale districando nei guasti fatti dall’urbanizzazione le perle che restano ancora di splendente purezza. Bastano pochi nomi tra i molti – l’abbazia di San Nilo a Grottaferrata, Palazzo Chigi ad Ariccia (nella foto sotto), la Villa Aldobrandini a Frascati – per distinguere il grano dal loglio. E però la modalità è guardare i Castelli come facevano poeti, scrittori, pittori: «senza fretta, senza viaggi organizzati, a cavallo o a piedi», scovando quel che resta del silenzio magnificato da Vittorio Alfieri, quel silenzio che «nella vuota insalubre region» dagli «aridi campi incolti» permetteva «di chiamarsi da un poggio all’altro». Isole libere da strepiti sono rare, la motorizzazione di massa e le nuove strade hanno inglobato i Castelli nel caos della metropoli. E se la Ferrovia del Papa, quella Roma-Frascati inaugurata nel 1856, ha contribuito a scacciare dagli anfratti i briganti, nuove insidie minacciano i viaggiatori, prima fra tutte la volgarità di certe comitive che assediano le fraschette.

Ma vale la pena provare, imparando, come suggerisce de Montaigne, a «non trovare ciò che si cerca, ma a gustare ciò che si trova». In queste contrade i contadini e i vignaioli recitavano a memoria brani dell’Orlando Furioso o della Divina Commedia. Vividi erano i segni delle culture autoctone dionisiache, legate al vino che sgorga qui. Il folk di Grottaferrata sono anche i tre mostri creati dalla fantasia popolare e citati da Maria Pia Santangeli ne L’immaginario popolare dei Castelli Romani: un enorme serpente drago che dimorava nel Vallone sotto il paese, l’Uomo di Campovecchio, un orco che abbrancava i bambini per poi divorarli in pace, il lengheru neru, una sorta di peloso troll che dimorava nell’Abbazia. Sul ponte di Ariccia, al di là del viavai dei gitanti, rileggiamo i versi di Gabriele D’Annunzio ne Il viadotto: «…Cupa, di sotto gli archi del ponte, muggiva in tempesta/ ampia di querci e d’elci la signoria dei Chigi;/ ma dal contrario colle, tra i mandorli scossi, ridea,/ quale da rupe un gregge pendulo, Aricia al sole/ (…) Era il Tirreno in vista, da lungi, una spada raggiante;/ eran, di lungi, iboschi isole tutte d’oro. (…)».

I laghi di Albano e di Nemi fanno da barriera alla cementificazione. Guardarli dalle alture, come quella baciata dalla grazia di Castelgandolfo con la residenza papale aperta al pubblico, riconcilia con tutto il territorio. Si possono ancora inverare le parole del pontefice umanista, Pio II, quell’Enea Silvio Piccolomini che regnò nella prima metà del Quattrocento. «È straordinaria l’amenità di questo luogo – scrive nei suoi Commentari riferendosi al lago di Albano. È circondato tutt’intorno da rupi assai alte, la minore delle quali discende verso Roma per circa uno stadio (…) Sono tutte ricoperte da boschi, in cui numerose sono le querce, verdeggianti in ogni stagione. Il lago ha quasi la forma di un uovo, un po’ più lungo che largo, è adattissimo alle naumachie, le acque sono trasparenti e ospitano ottimi pesci, soprattutto anguille di straordinaria grossezza. Alcuni definiscono incommensurabile la sua profondità….». E sul Lago di Nemi «che gli antichi latini chiamavano anche specchio di Diana, e non senza ragione: esso ha infatti la forma di uno specchio rotondo e l’acqua lucida come il vetro riflette l’immagine di chi la guarda….I sentieri sembrano fatti per le passeggiate dei poeti. In nessun altro luogo potrà essere risvegliata l’ispirazione di un poeta…Avresti definito questo luogo il ricetto delle Muse, l’abitazione delle Ninfe e, se c’è qualcosa di vero nelle favole, l’asilo segreto di Diana».Ma l’offesa di certi abitanti era già in agguato: ritornando sulla via Appia, il papa “pizzica” un uomo che per costruirsi una casa distrugge la strada cavandone pietre: lo rimprovera “acerbamente” e ordina al principe Colonna, signore di Genzano, di impedire simili scempi.

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