Giuseppe Grattacaso
L'Italia di Salvini e Di Maio

La divisa da Capo

Guardate la foto di Moro qui accanto. Poi pensate a Mussolini che ostentava muscoli e divise. Infine pensate a Salvini e la sua propensione a identificare lo Stato con se stesso e capirete qual è davvero il suo stile...

Italia in bianco e nero dei primi anni Sessanta. Aldo Moro è sulla spiaggia di Terracina in compagnia della figlia Agnese. Lo statista e la bambina si tengono per mano. Agnese, che appare imbarazzata, sembra voglia appoggiarsi al padre, in cerca di conforto. In un’altra immagine, che risale a quella stessa giornata dell’estate del 1961, Moro è seduto su una sedia a sdraio, ha un libro tra le mani e guarda verso l’orizzonte, mentre Agnese è accovacciata ai suoi piedi e gioca, le mani tra la sabbia.

A riguardarle ora, quelle foto, che disegnano le due figure su un litorale quasi deserto (non era ancora il tempo delle orde di bagnanti a cui siamo ormai abituati), salta immediatamente agli occhi come Aldo Moro sia vestito di tutto punto. L’uomo politico che era stato tra i fondatori della Democrazia Cristiana e uno dei suoi rappresentanti alla Costituente, e che all’epoca aveva già ricoperto i ruoli di presidente del gruppo parlamentare, di ministro di Grazia e Giustizia, di ministro della Pubblica Istruzione e di segretario del partito, indossa un completo grigio chiaro e la cravatta. È vestito così, e continua a tenere le scarpe ai piedi, anche quando riposa sulla sdraio accanto alla bambina.

Un po’ di anni dopo quella passeggiata sulla spiaggia, Agnese ricorderà le gite al mare con il padre: “Quando andavamo in spiaggia – dice – papà indossava sempre la giacca e quando gli chiedevo una spiegazione lui mi rispondeva che, essendo un rappresentante del popolo italiano, doveva essere sempre dignitoso e presentabile”.

Insomma Aldo Moro teneva più all’immagine dello Stato italiano, che lui rappresentava, piuttosto che alla propria tranquillità, anche quando era sul litorale romano in un giorno di vacanza, senza la pressione degli obblighi derivanti dal suo ruolo pubblico. Il discorso dello statista è chiaro: io sono un rappresentante delle istituzioni del mio paese, quindi del popolo italiano e, come tale, non posso che raffigurarne la dignità e il decoro. Anche quando passeggiava mano nella mano con uno dei suoi figli, Aldo Moro voleva sentirsi onorevole, nel senso più vero della parola, cioè come colui che è degno di onore: rispetto che non è da tributare alla sua singola persona, ma a quello che in quel momento rappresenta.

Ma c’è da aggiungere altro. All’inizio degli anni Sessanta era ancora vivo il ricordo del Ventennio fascista e dell’esibizione che il Duce, alla ricerca di consenso, aveva proposto di se stesso, vestendo e amando farsi ritrarre, di volta in volta, con le divise di comandante in capo dell’esercito, o di caporale d’onore della Milizia Volontaria, di primo ministro, oppure con la divisa bianca del corpo di spedizione impegnato nella guerra d’Etiopia, o ancora a torso nudo mentre trebbiava il grano accanto ai contadini dell’agro pontino, o in costume da bagno impegnato a nuotare. È chiaro come Mussolini non si sentisse un contadino né un soldato, ma facesse sfoggio di divise e atteggiamenti, per dimostrare di potere assumere ruoli diversi, non perché vicino alle condizioni che interpretava, ma essendone al di sopra: poteva essere tutti, perché era superiore a tutti.

La volontà di Moro di apparire (solennemente) grigio, di vestire quell’unica anonima divisa dell’uomo politico rappresentante delle istituzioni, deve dunque essere letta come una dichiarazione di umiltà al servizio della propria patria e del suo popolo. L’Italia repubblicana, ci dice Moro in abito grigio, cravatta e scarpe chiuse sulla spiaggia di Terracina, non ha bisogno di pose e di rappresentazioni, è cosa diversa dallo Stato fascista, che si identificava in un uomo, in un uomo solo, forte al punto di poter essere vari personaggi, poveri o potenti che fossero. Quest’uomo, cioè il Duce, per screditare gli organismi democratici e imporre la propria immagine, aveva bisogno di mettere in scena se stesso, di dare luogo ai più differenti travestimenti. Il sottotesto delle esibizioni di Mussolini è diametralmente opposto a quello che possiamo leggere nell’atteggiamento di Moro. Io sono lo Stato, dice il Duce, mentre con ostentazione si esibisce in divisa o a torso nudo.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, quando con posa sfacciata indossa la divisa della Polizia (lo ha fatto con protervia anche alla Camera dei Deputati) o quella dei Vigili del Fuoco, o ancora quella di comandante (!) delle Compagnie Barraccellari, il corpo di polizia locale tipico della Regione autonoma della Sardegna, il giubbotto dei Carabinieri per visitare il cantiere Tav a Chiomonte o addirittura la maglia della squadra di calcio di una cittadina in cui era in visita (e la società ha pure dovuto prendere le distanze da un gesto così ridicolo), non sta aderendo allo spirito di servizio di questi organismi, ma si sta identificando con lo Stato tout court. Decido io, in dispregio di tutte le leggi, perché lo Stato sono io: è questo che dicono le divise vestite dal ministro dell’Interno.

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