Filippo La Porta
Graphic novel

L’utopia del pollo

Luca De Mata con i suoi "fumetti" politicamente scorretti recupera lo spirito anarchico e satirico di Frigidaire. Una nuova arte di raccontare condita di ribellismo vecchio stile

Immaginate una graphic novel volutamente disturbante, perfino disgustosa, e con un disordine grafico aggressivo! Ed ecco che avete davanti Il pollo di Luca De Mata (Sovera, collana “gli spennati@graphic novel”, pp.187, euro 13)! È una satira divertita e priva di buone maniere contro il maschilismo (e il perbenismo), scritta e impaginata da Luca De Mata, che si autodefinisce “Incoerente maschio femminista” ed è convinto che si nasce “già infilzati nello spiedo dei luoghi comuni”, mentre noi – poveri bambini innocenti – “cercavamo solo il seno di nostra madre”. Si immagina di acquistare il diario-insalata di Anna – appena slavato dal tempo e corroso dai topi – , a sua volta collezionista di diari, e poi traduttrice (ingozzandosi di parole non sue) e amante dei pesci rossi (ne possiede due) e del caffè fatto con la napoletana. La pagina del libro implode dentro un groviglio di disegni (quasi tutti di Diane Miller, “amica indimenticabile, geniale, generosa”, e altri di Luca Di Cecca), didascalie, immagini, “gridi”, fumetti, manifesti, commenti. E si riempie di blatte, escrementi, figure rivoltanti, merda, piscio, camaleonti neri, cani ringhiosi, mostri, clochard che sembrano zombie, minacciosi calamari, schifezze varie, fino alle “scoregge fredde a tassametro” di un tassinaro impertinente. Anche se nelle prime pagine leggiamo subito una dichiarazione di fede nell’uguaglianza (l’autore, benché politically incorrect, appartiene comunque alla sinistra ed è di famiglia antifascista). Il pollo si rivolge infatti a un gabbiano dalle piume bianche che sta ingurgitando una passerotta e gli dice “Ti pensi diverso da un pollo?”. Anna racconta la sua educazione sentimentale e intellettuale, passando per matrimonio, famiglia, abbandono da parte di lui “per delle tette più giovani”, lavoro, relazioni, eredità ricevute (dalla zia, il cui tormentone è “mettere al mondo dei figli è un delitto”, e che dirà di aver “frantumato il cinismo riempiendosi di preservativi…). L’insieme evoca la stagione d’oro della satira, quella di Pazienza e di “Frigidaire”, quando il turpiloquio, la volgarità esibita, la provocazione più immaginosa, erano ancora cose sovversive e liberatorie.

Ecco, questo è il possibile punctum dolens del libro. Oggi infatti quelle stesse cose rischiano di diventare stile del mondo, linguaggio del potere (il “vaffa”…), Il celebre “sorriso di Franti”(l’”infame” personaggio del Cuore deamicisiano), a suo tempo difeso da Umberto Eco, è modalità dominante di comunicazione. Pur di non essere scambiati per ipocriti “buonisti” tutti incliniamo a sorridere delle disgrazie altrui! Eppure nel petto di De Mata – lo abbiamo visto – batte un cuore sinceramente libertario, benché alieno da moralismi. Il suo messaggio appassionato lo troviamo a pagina 105, dove leggiamo che oggi si definisce qualcuno “ondivago” solo perché pensa senza preconcetti, e dunque al fine di screditarlo da parte dei “bigotti monopensiero”. Mentre dovrebbe starci a cuore proprio questa natura ondivaga, meravigliosamente instabile dell’essere umano preso come individuo (Orwell la chiamava incorreggibile “lunaticità”), unica arma per frantumare davvero il cinismo e il bigottismo conformista. Insomma. Lo splatter conclamato contiene in filigrana un “romanzo civile” ispirato niente meno che ad Alfieri, proditoriamente “sequestrato” per la prefazione (una pagina sempre attualissima contro la “tirannide” di chi preposto alla esecuzione delle leggi si impegna a infrangerle o eluderle). Serve a custodire una utopia romantica, quella dell’”amore mio per sempre” (che risuona enfaticamente nei romanzi rosa ma che forse dobbiamo prendere sul serio) e poi a difendere “ogni vita sparpagliata”, anarcoide e sconveniente, con la sua sofferenza indifferente a sensi vietati.

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