Delia Morea
Si conclude la pubblicazione di tutto il teatro

L’altro Scarpetta

Alla riscoperta di Vincenzo Scarpetta, autore, attore e musicista; figlio di Eduardo e fratello naturale di Eduardo De Filippo: il "meno celebre" di una dinastia di eroi del palcoscenico. Nelle sue opere (e nella sua ritrosia) c'è il senso profondo del concetto di “famiglia d'arte”

È di recentissima pubblicazione il III Volume delle opere di Vincenzo Scarpetta, figlio di Eduardo Scarpetta che con dedizione ne raccolse l’eredità teatrale. Il volume, Teatro (1920 – 1930) “La vita artistica tra Rivista, Piedigrotta e Sciosciammocca” (Liguori editore), a cura di Maria Beatrice Cozzi Scarpetta, consta della prefazione di Paola Quarenghi, di un breve saggio della stessa Cozzi Scarpetta «Vincenzo tra due guerre» e di Riviste in ordine di rappresentazione. Inoltre è corredato da disegni, caricature di attori, foto di spettacoli. Completano l’opera, edita da Liguori: Teatro (1910 – 1920), Volume I, Teatro (1900 – 1910), Volume II. I tre volumi a cura di Maria Beatrice Cozzi Scarpetta, discendente, da parte del marito, della celebre dinastia teatrale napoletana, raccolgono ben 14 commedie di Vincenzo Scarpetta, di cui 13 inedite (edita è soltanto la più famosa “ ‘O tuono ‘e marzo” e forse, cercando tra edizioni esaurite, “Era zetella, ma…”) che vanno, finalmente, a riempire un tassello di notevole importanza artistica. Un’opera meritoria e necessaria quella di Maria Beatrice Cozzi Scarpetta – curatrice anche con Pasquale Iaccio del Saggio: «Pionieri del Cinema Napoletano. Le sceneggiature di Vincenzo e i film perduti di Eduardo Scarpetta», (Liguori) – che ha fatto conoscere e rivalutare un artista a tutto tondo che: «Costruiva la commedia tavola tavola, chiodo chiodo» come ebbe a dire il fratello naturale Eduardo De Filippo, ci racconta la curatrice dei volumi, che ha fatto, tra l’altro, la trascrizione diplomatica dei copioni pubblicati.

Una ricerca certosina e una grande passione hanno animato la Cozzi Scarpetta nel ricostruire attraverso un archivio familiare, affidatole, a suo tempo, dai suoceri Sisso (Vincenzo) Scarpetta e Lidia che lei, con dedizione, ha ordinato e catalogato ricostruendo la storia artistica di “Vincenzino” come affettuosamente era chiamato in famiglia. Otto anni fa è iniziata la ricerca, tra copioni di commedie, riviste, spartiti musicali, sceneggiature cinematografiche, ed è venuta fuori una vera “miniera” autorale.

Vincenzo Scarpetta era un artista a 360 gradi, nel senso che era autore di commedie, scriveva musiche, servendosi di spartiti, dunque con tanto di note, pause, ecc. (era un ottimo pianista, aveva studiato per volere del padre) si può presumere che questa grande passione per la musica sia stata suffragata, appunto, da uno studio profondo, forse al Conservatorio napoletano. Ma non solo, Vincenzino era autore di soggetti e sceneggiature cinematografiche ed è stato regista cinematografico: «Nel 1907-1908, all’epoca del muto, firmò un contratto con i fratelli Troncone – continua la Cozzi Scarpetta – purtroppo, del materiale girato non c’è traccia, è andato perso, ma lui aveva chiaro l’uso della macchina da presa, infatti usava termini tecnici nella stesura di una sceneggiatura: primo piano (PP) figura piccola, figura in lontananza. Il primo film che ha visto il debutto come attrice di Francesca Bertini è stato fatto proprio con la regia di Vincenzo Scarpetta, che vi partecipò come attore, il titolo è Marito distratto e moglie manesca (1910). La Bertini fu scritturata da Roberto Troncone su suggerimento di Vincenzino e avrebbe guadagnato otto lire, tutto compreso. L’unica testimonianza completa di un film muto visibile con Vincenzo Scarpetta giunta fino a noi è Il Gallo nel pollaio, film dove emerge tutta la sua bravura e vis comica. Purtroppo non ci sono tracce che potrebbe averlo scritto lui. Il film è stato reperito nella Cineteca di Oslo e quando è stato visionato dalla Cineteca di Roma, con le didascalie in norvegese, il nome di Vincenzo Scarpetta emergeva su tutti, quindi era conosciuto, era famoso».

Vincenzo Scarpetta era bravo anche come pittore (disegnava scene e costumi e, persino nel cinema, le decorazioni che si usavano per le didascalie). Inoltre, al pari del più famoso Onorato, era ottimo caricaturista di se stesso e degli attori della sua compagnia. Un artista poliedrico, nato da Eduardo Scarpetta e dalla moglie Rosa De Filippo, di cui i più conoscono solo la famosa ‘O tuono ‘e marzo, che Eduardo mise in scena negli anni ’50 e poi registrò in RAI con due attori del calibro di Paolo Stoppa e Rina Morelli.

Vincenzino sente l’influenza del teatro paterno sin da bambino (nasce il 17 giugno del 1877) e a soli dieci anni interpreta il ruolo di “Peppiniello” (ruolo che il padre aveva scritto per lui) nella famosissima Miseria e Nobiltà. La sua vita è legata al teatro paterno anche se da giovane la musica rimane la sua passione principale. Scrive testi e musiche sia per commedie musicali che per riviste, talvolta con il cognato Mario Mangini, in arte “Kokasse”, marito della sorella Maria. Uno stralcio della recensione di “Era Nuova”, rivista di Kokasse e Vincenzo Scarpetta, apparso su Il Mattino del 28 maggio 1926 sottolinea: «Inappuntabile l’esecuzione, Vincenzo Scarpetta fu un Felice, come sempre, pari alla sua fama, riaffermandosi irresistibile di vivacità, d’arguzia, di brio, di fantasia comica e di trovate gustose ed impreviste. Fu il principale trionfatore dello spettacolo, e fu acclamatissimo anche nella direzione orchestrale del «pot-pourri» pucciniano». Dunque, all’occorrenza, era anche direttore d’orchestra. Nella maturità egli si dedica molto a quest’arte, scrivendo commedie con musica e anche canzoni per due Piedigrotta che saranno chiamate “Piedigrotta Scarpetta”. Però, ubbidiente ai voleri paterni, lavora, soprattutto, con la compagnia teatrale del padre e quando Eduardo Scarpetta muore, ne segue le orme continuando con il personaggio di Felice Sciosciammoca. Scrive e rappresenta molte commedie, alcune, secondo tradizione paterna, ispirandosi a testi di autori del vaudeville e della pochade francese come Hannequin, Labiche, Feydeau, altre discostandosene, in una nuova e più moderna veste drammaturgica. Successivamente, infatti, il personaggio di Felice Sciosciammocca sarà da lui esaminato con occhio diverso, forse più critico, disincantato, di certo più moderno.

Pur essendo un artista poliedrico (interpreterà nella maturità anche ruoli diversi e con altre Compagnie teatrali e parteciperà ad alcuni film) la traccia è sempre paterna. Vincenzino aveva una venerazione per il padre tanto che, come racconta il figlio Sisso Scarpetta (in Storie Pubbliche e Private delle Famiglie Teatrali Napoletane – edizioni XPress/Torre di Delia Morea e Luisa Basile): «C’era un legame affettivo molto forte col padre che si cementò, a maggior ragione, dopo la morte di Scarpetta. Mio padre amava moltissimo mio nonno, era un’adorazione. Infatti prima di morire lasciò scritto che voleva essere sepolto accanto al padre, con la testa nella stessa direzione. Io penso che morto mio nonno, egli ne continuò il genere per rimanere ulteriormente legato al suo ricordo».

Racconta Maria Beatrice Cozzi Scarpetta: «Forse si è persa la memoria di questo grande artista un po’ anche per colpa sua, egli in pratica annullava la sua individualità, perché, ad esempio, sulle locandine dei suoi spettacoli che giravano l’Italia, scriveva solo il cognome Scarpetta, come identificazione, omettendo il suo nome. Quando ho iniziato ha visionare l’archivio per dargli una sistemazione, la prima cosa che ho notato sono stati gli spartiti musicali. Ho pensato subito che era un personaggio di spessore e andava rivalutato. In casa si parlava solo di Eduardo De Filippo e il mio grande rammarico è di non aver pensato prima a Vincenzino, quando mio cugino Mario Scarpetta era ancora vivo e sapevo che avrebbe voluto mettere in scena le commedie del nonno. Dopo aver trovato le commedie, i disegni, le caricature ho recuperato un librone contenente ritagli di giornali senza data, (le ho ricostruite consultando biblioteche ed emeroteche) e solo due anni fa, svuotando le cantine (si doveva ripulire Palazzo Scarpetta perché diventasse la futura sede della Fondazione Eduardo De Filippo) ho trovato delle agende di lavoro di Vincenzino che vanno dal 1908 al 1943. Queste agende sono state la traccia per più approfondite ricerche su altri 16 anni della sua attività. Infatti, le commedie pubblicate in questo III volume si fermano al 1930 (sciolse la Compagnia nel 1932), dopo non è più capocomico ma scritturato. Per me che sono laureata in Geologia con tesi in Paleobotanica, la ricerca che ho fatto nel sistemare “le parole” di Vincenzo, la sua musica, è stata come quando usavo il metodo di ricerca universitario: per gli spartiti, ad esempio, ho esaminato la qualità della carta, l’inchiostro usato. Assimilavo tutto e ordinavo, e così si materializzava mano a mano la vita artistica e umana di Vincenzo Scarpetta».

Oggi questa rivalutazione sembra giusta e importante, per un artista completo, ribadiamo, famoso anche per le sue travolgenti interpretazioni “en travesti”, in una parola un vero “fantasista”, maestro d’arte polivalente, figlio della sua epoca, quella frizzante bella epoque che aveva caratterizzato Napoli al pari di Parigi, come capitale della cultura.

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