Nicola Bottiglieri
Cronaca di una rinascita

Una settimana bianca (al mare)

Il profumo delle infermiere, gli uccelli cattivi nello stomaco, il rigore dei medici e i cento metri della riabilitazione: storia di una settimana (inattesa) in ospedale. Alla riscoperta della "vita normale"

Il primo gennaio 2019 alle ore 15, trascinando un trolley color bordeaux  e con uno zainetto pieno di diagnosi e certificati medici arretrati, sono entrato all’ospedale G, B. Grassi di Ostia per trascorrervi una settimana bianca. In verità non avevo nessuna voglia di fare una settimana bianca vicino al mare, in un edificio a due piani, circondato dai pini mediterranei. Avevo in mente altri progetti: andare a vedere la mostra, Il classico si fa pop. Di scavi, copie ed altri pasticci al palazzo Massimo di Roma,  fare un salto a Paestum a vedere “la tomba del tuffatore” sgranocchiando struffoli e dialogando con strepitose mozzarelle di bufala, oppure arrivare in Calabria da mia sorella per sapere se mi aveva messo da parte il vassoio di  turdilli, (dolci con miele di fichi) come faceva tutti gli anni. Se poi avanzava tempo, avevo anche pensato ad una puntata sulla neve di Roccaraso, ma solo una giornata perché se è vero che amo il colore bianco, preferisco comunque quello dei marmi antichi, delle mozzarelle, dello zucchero a velo, delle notti in bianco ma non quello ruvidissimo della neve.

In verità l’idea di questa originale vacanza vicina al mare è stata della Regione Lazio la quale ogni tre anni mi manda una lettera per informarsi se ho il sangue occulto nelle feci. Ed appena ha saputo che il misterioso sangue occulto esisteva davvero, con una telefonata mi ha spedito al Grassi per una colonscopia. La quale molto più della radiografia è capace di portare alla luce l’intimità oscura di una persona.

Svelare l’intimità oscura delle persone è compito della psicanalisi oppure della poesia ma grazie alla tecnologia delle fibre ottiche può diventare materia per infermieri, gastroenterologi e operatori di reparto d’ospedale. I quali in un caldo pomeriggio di fine novembre, usando con destrezza la fibra ottica hanno scoperto che il tempo  come un avvoltoio aveva beccato giorno dopo giorno pezzi sempre più grandi del mio corpo. E pertanto, prima che l’avvoltoio divorasse del tutto le budella, bisognava asportare la parte già mangiata.

Ed eccomi quindi il primo gennaio al Grassi, deciso a fare la settimana bianca in riva al mare. La quale cominciò il giorno dopo, alle otto del mattino, quando le luci bianchissime della camera operatoria si accesero sul mio corpo nudo facendomi capire che in fondo la vita di una persona coincide con quella della carne ad essa attaccata, la quale ha una data di scadenza, come succede con le etichette  dei prodotti al supermercato che spesso non si vedono, si cancellano, sono scritte male oppure vengono di volta in volta aggiornate.

Dopo un sonno torbido di cinque ore mi sono risvegliato fra bianche lenzuola, vedendo agitarsi figure fra la nebbia, ascoltando voci incomprensibili, sentendo lo zampettìo di alcuni passerotti nello stomaco che non riuscivano a spiccare il volo.

A partire dal 3 gennaio l’universo ha cominciato a ricomporsi davanti ai miei occhi, mediato da un plotone di infermieri i quali apparivano ad ondate successive ai bordi del mio letto. Prima quello che misura la temperatura alle sei del mattino infilando uno strumento nell’orecchio, seguito dal rivelatore della pressione. Poi le donne delle pulizie che ripassano gli stracci negli spazi più angusti del reparto, poi le donne che rifanno il letto e cambiano i fagotti ammorbiditi durante la notte, seguono le curatrici delle ferite con cerotti, pillole, aghi per iniezioni o flebo, quindi i portatori del vassoio della colazione ed infine, dopo tanta meticolosa preparazione finalmente fra le nove e mezzo e le dieci del mattino arriva il dottore con il carrello di ferro nel quale sono appese le cartelle cliniche degli ammalati. Vale a dire, il carrello dove è appesa la tua vita futura.

Il quale dottore con una piglio da allenatore di una squadra di calcetto dice che è ora di alzarsi, devo fare almeno otto volte il corridoio di cento metri in fondo al reparto, abbandonare il letto, che mi caccerà via il più presto possibile. “Qui utilizziamo il protocollo ERAS, il quale si fonda sulla collaborazione fra dottori e malato, se vuol guarire deve fare il più possibile la vita di tutti i giorni, non quella dell’ammalato”.

* * *

Il momento peggiore per un paziente è il giorno dopo l’intervento e le ore più brutte sono quelle fra le undici e l’una. Allora i dolori cominciano a farsi sentire, devi rassicurare per telefono i parenti sul tuo stato di salute e vedi gli altri ammalati divorare il pasto quotidiano mentre tu ingoi aria, lacrime e pensieri. Per distrarti allora pensi ai sorrisi degli infermieri, categoria che conta più donne che uomini.

I sorrisi degli infermieri sono come il camice: professionali, sterilizzati,  colorati secondo le circostanze, sempre esibiti come punto d’incontro fra loro in piedi e sani e tu sdraiato e ammalato. Tuttavia, il sorriso delle infermiere ha  qualche cosa di materno che lo rende più gradevole di quello degli uomini.

Fra di esse uno speciale lo fanno quelle che spingono il carrellino nel quale vi sono le cartelle cliniche che accompagnano la visita. Queste non toccano mai il malato, ma è come se ti conoscessero da sempre, facendo sorrisi importanti a sottolineare le parole del dottore.

Le ore del pomeriggio con le marce forzate del corridoio sono lente da passare, alle quali seguono ore ancora più tremende, riempite dalle visite dei parenti che devi far divertire con i tuoi racconti, altrimenti si offendono, perché se sono venuti fin là per te, bisogna che tu le gratifichi in qualche modo. E mentre la sera comincia a calare fuori dell’ospedale, iniziano i riti per preparare i malati al riposo notturno.

Una bionda infermiera che appariva all’imbrunire mi ha sempre conciliato con le ore della notte. Aveva un profumo che ricordava un prato fiorito. Le ho chiesto già dalla prima sera di che marca fosse, mi ha risposto Chloé e da allora quando arrivava respiravo piano per trattenere nel naso il ricordo della primavera.

Perché “il governo del cambiamento” non fa scaricare dalle tasse i soldi spesi per comprare profumi da usare nelle ore di servizio alle infermiere?

Lunedì sette alle ore 14 sono uscito dall’ospedale con una cerniera sullo stomaco, che mi toglieranno il giorno 15, dopo di che ho tutta la vita davanti per evitare una nuova settimana bianca a gennaio, in riva al mare di Ostia.

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