Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Lo spettacolo di Dio

Tre poesie per celebrare il giorno dell’Epifania, un tema costante nella poetica di Roberto Mussapi che per questa occasione commenta, oltre ai suoi, versi di Eliot e Yeats. Perché il viaggio dei Magi solo nel '900, il secolo della crisi e dello sgretolamento del sacro, ha trovato una straordinaria fioritura poetica. Forse non a caso…

Epifania. Il termine significa apparizione: epifania è l’invisibile che si fa visibile. Il segreto del teatro, del sogno che prende forma di illusione credibile, manifestandosi nel tempo diurno, incantando ognuno di noi, fattosi spettatore, a occhi aperti. Ricordo che il grande poeta Eugenio Montale, nominato senatore a vita, e comprensibilmente non troppo attivo in Senato come è naturale di chi riceve quel prestigioso riconoscimento onorario, intervenne però con calore, in qualità di senatore, contro la proposta abolizione della festa dell’Epifania. Montale era non solo non credente, ma uno dei monumenti della poesia nichilista, dell’età della crisi e della disillusione. Eppure il suo intervento non mi stupì: Montale è autore di un libro capolavoro, dopo Ossi di seppia: Le Occasioni. Occasione è ciò che accade e non può sfuggire. Al poeta non deve sfuggire. Le occasioni sono versione profana di epifanie.
Epifania è la celebrazione della visita dei Magi alla grotta dove intuivano fosse nato il figlio di Dio fatto uomo, come prevedeva la religione zoroastriana. Per me quello dei Magi è un tema costante, nella mia poesia ricorre in un ciclo, accanto al ciclo di Itaca, a quello di Marco Polo e Venezia, accanto al ciclo delle Notti arabe.
Recentemente è uscito su Avvenire un mio ampio pezzo sul tema dei Magi nella poesia. Il viaggio dei Magi, così frequente nella pittura dal XIII al XVII secolo, non conosce pari fortuna nella poesia, per poi trovare una straordinaria fioritura nel Novecento, credo non a caso. Nel secolo della crisi, dello sgretolamento del sacro, dell’angoscia, grandi poeti riprendono il mito dei sapienti che seppero leggere la rinascita del mondo scrutando nel cielo, individuando una stella. Quella stella segnalava inequivocabilmente il punto dove nasceva il Salvatore, la grotta, o la capanna in cui Dio, in forma di bambino, scendeva sulla terra per noi.
Nella mia pagina su Avvenire mi soffermo sui Magi in Yeats, Eliot e Rilke. Incontreremo Rilke sabato prossimo, poiché la nostra Epifania non si conclude qui. Oggi leggiamo le poesie di Eliot, Yeats, e una mia dal Ciclo del testimone. Lo stesso da cui avete letto Natale, Paris, Texas, in occasione del Natale. La poesia di Thomas Stearns Eliot, narrata come un viaggio, con una versificazione incalzante e ondosa, ci mostra l’avventura, i pericoli, i segni inquietanti, soprattutto ci rivela l’affanno del cuore dei Magi che inseguono una visione certa ma misteriosa, ignota quanto percepita come presente. A quel punto, di fronte alla capanna, la scoperta rivelante e tremenda: noi non abbiamo assistito a una nascita ma a una morte. Tutto il mondo che precedeva quella nascita, il nostro mondo, tutto il mondo divino interrogato e adorato all’improvviso si rivela un teatro di illusione, un tempio di immagini ingannevoli. Così tornammo al nostro mondo ormai estranei, tra gente che adorava idoli ormai cancellati dalla nostra mente.
Situazione diversa nei Magi di Yeats, concepiti dal poeta non in tre persone, ma in una moltitudine in processione. Anche i Magi di Yeats sono colpiti dalla nascita, miracolosa, ma l’esito di quella nascita, il Calvario, il “mistero del pavimento bestiale” del mondo li porta a non seguire la vita del bambino che è nato, a rifiutare il tumulto del Calvario, a vedere in quella nascita una rinascita dell’uomo antico.
L’incantato della stella, della mia trilogia vede parlare uno dei magi, giunto come i suoi compagni seguendo e sapendo leggere una stella, ma colpito da un altro prodigio, straziante. Nella figura celebre del presepe, un uomo povero stracciato e sporco che guarda incantato la stella, il sapiente giunto nei suoi abiti fastosi e profumi d’Oriente, scopre l’uomo, il proprio fratello. Quello è il prodigio assoluto, di cui l’altro è annuncio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il viaggio dei magi

Fu un freddo avvento per noi,

il peggior tempo dell’anno per un viaggio

e per un viaggio così lungo:

sprofondavamo nelle strade rasi dal gelo,

nel cuore profondo dell’inverno.

E i cammelli scorticati, ferirti ai piedi, ostinati,

sdraiati nella neve che si scioglieva.

Ci furono momenti di rimpianto.

Per i palazzi estivi sui declivi, le terrazze,

le ragazze vestite di seta che portavano sorbetti.

Poi i cammellieri che imprecavano e brontolavano,

e scappavano, e volevano liquori e donne,

e i fuochi che di notte si spegnevano,

l’assenza di ripari, e le città ostili e i paesi nemici,

e i villaggi sporchi e tutto pagato a caro prezzo,

fu un duro momento per noi.

Alla fine preferimmo viaggiare di notte,

dormendo a sprazzi,

con le voci che cantavano nelle nostre orecchie,

che dicevano che tutto questo era follia e basta.

Poi all’alba arrivammo a una valle più mite,

umida, sotto la linea della neve,

odorosa di verde con un ruscello rapido

e un mulino ad acqua battente il buio

e tre alberi contro il cielo basso

e un vecchio cavallo bianco al galoppo nel prato.

Poi giungemmo a una taverna con l’architrave coperto di pampini,

sei mani da una porta aperta giocavano a dadi monete d’argento,

e piedi prendevano a calci gli otri svuotati.

Ma non avemmo informazioni, continuammo,

e arrivammo di sera, non un istante in anticipo,

trovammo il luogo, fummo appagati, diresti.

Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,

e lo rifarei, ma considera, considera questo:

Noi fummo condotti per tutta quella strada da una nascita o da una morte?

Vi fu una nascita, certo,

ne avemmo prova e nessun dubbio.

Ho visto nascita e morte,

ma le ho sempre pensate differenti:

questa nascita fu aspra e amara agonia per noi,

come una morte, la nostra morte.

Noi ritornammo ai nostri luoghi, a questi regni,

non più a nostro agio nelle antiche leggi,

fra un popolo estraneo che si aggrappa ai suoi idoli.

Conoscerei con gioia un’altra morte.

Thomas Stearns Eliot

(Traduzione di Roberto Mussapi)

***

 

I Magi

Ora come ogni volta li vedo con gli occhi della mente,

nei loro abiti rigidi, dipinti, li vedo,

loro i pallidi, gli insoddisfatti,

apparire e svanire nel blu denso del cielo

con quelle loro facce antiche come pietre battute dalla pioggia,

e tutti i loro elmi d’argento oscillanti affiancati,

con gli occhi ancora fissi sperando di trovare ancora

insoddisfatti dal tumulto del Calvario,

l’incontrollabile mistero sul pavimento bestiale.

William Butler Yeats

(Traduzione di Roberto Mussapi)

***

 

L’incantato della stella

Fu un lungo viaggio, duna su duna, per gli scribi.

Per me fu breve, breve in confronto

all’immobile mappa delle stelle.

Sapevo che il nostro destino era la pista,

o uscirne, perdersi nelle sabbie,

lentezza era lo sguardo degli astri,

che ho conosciuto, studiandone posizione e luce.

I segni del cielo, le rotte eterne,

e noi scivolanti come onde verso una morte lieve

come la carezza di una donna al tramonto.

Conoscevo la perfezione celeste e il breve respiro

umano che si estingue dopo un atto d’amore.

La vita, svanire prima dell’orizzonte.

Ho conosciuto il cosmo e le teorie caldaiche,

le pietre che sfiammano del ricordo di Venere,

i disegni del cielo gelosamente custoditi nei tappeti.

Poi la grotta e fu buio e respiro

animale e povere membra, e una lontana

oscurità rasoterra, più lontana delle stelle,

io non guardai dentro, io provai pena

del tanfo, del povero calore di corpi raccolti.

E uno ne guardai che mi passava accanto,

con gli occhi fissi rapiti da una stella.

Bruno, sporco, con le spalle chiuse da idiota

beveva la luce come eternamente,

eternamente io lo ricorderò, lo racconto.

Perché non fu riflesso ma scontro,

tra quella luce a me nota e un’altra oscura

che in modo assoluto lo incatenava al cielo.

Che luce, che fonte, che pietra stupefacente

orientò lo sguardo e il corpo e il suo destino nel mondo?

Perché io ero già in lui e lo scrutavo

come avevo scrutato gli enigmi celesti,

e non conosco la luce del profondo,

il fiato della caverna ventricolare e del buio

e la mappa disegnata e persa nella sua ignota esistenza.

Che strada, che pista, che dune alzate dal vento

portano a quel segreto entro te stesso?

Dov’era la luce, in alto o in basso?

E io come farò a non perdermi

per esplorare un nuovo universo

quando ti seguirò nel buio del tuo mondo interno,

su quali punti orienterò il mio viaggio

cercando la rotta oscura che proiettò il tuo sguardo,

tu, pezzo di terra,

fangoso simile, fratello?

Roberto Mussapi

(Da La polvere e il fuoco)

Nelle immagini, dall’alto: particolare del ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli dedicato ai Re Magi; l’Adorazione dei magi di Giotto; particolare dell’Adorazione dei magi di Gentile da Fabriano.

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