Lidia Lombardi
“La Favorita”, da oggi al cinema

Donne e potere alla corte degli Stuart

Il film di Yorgos Lanthimos è anticonformista, sarcastico, irriverente. Legge la storia del rapporto omosessuale tra la duchessa Sara Churchill e Anna d’Inghilterra (tra cui si insinuerà una terza cortigiana), attraverso la biografia che il discendente Winston le ha dedicato

Nelle sale cinematografiche è il momento delle sovrane d’oltre Manica. All’uscita, la scorsa settimana, di Maria regina di Scozia – diretto dall’esordiente al cinema Josie Rourke e interpretato dalle star Saoirse Ronan e Margot Robbie – si affianca quella di La Favorita, pellicola Century Fox proiettata proiettata in Italia ora, proprio mentre arriva la notizia delle sue dieci candidature all’Oscar. Spettacolare come una serie tv il primo, che disegna senza troppa attendibilità storica la vicenda della più sfortunata regnante britannica, la cattolica Maria Stuarda seppellita dalla cinica determinazione della protestante Elisabetta; altrettanto ricco scenograficamente il secondo, ma modulato sulle note dell’anticonformismo, del sarcasmo, dell’irriverenza. Non poteva essere diversamente: a firmare La Favorita – lunghissima gestazione ed elaborata sceneggiatura – è il regista greco Yorgos Lanthimos, l’Almodovar greco, una macchina da presa impegnata da sempre a inseguire l’istinto animalesco che sottende l’animo umano, l’egoismo distorto fino alla follia e alla crudeltà (Dogtooth, The lobster). Temi che riversa ora nel suo primo film in costume, sontuoso quanto un Barry Lyndon di Kubrick ma scapigliato, morboso, irridente.

La vicenda si svolge ancora una volta nell’Inghilterra degli Stuart. Regna l’ultima della stirpe, Anna, malata di gotta, bulimica, insicura, grassa, isterica e bambinesca, terribilmente sola nella sua stanza da letto perché ha perso il marito e ai diciassette figli che le sono morti piccoli ha sostituito altrettanti conigli chiusi in gabbiette ai piedi della sua poltrona. Debolissima regina dunque (le dà il volto Olivia Colman, Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile al Festival di Venezia 2018, che ha anche premiato Lanthimos con il Leone d’argento), deve fronteggiare la devastante guerra di Successione spagnola che a partire dal 1702 oppone anche Regno Unito e Francia. Ma le decisioni le prende per lei, fino a scriverle i discorsi, la duchessa di Malborough Sara Churchill (il discendente Winston ne scriverà la biografia e anche dalle sue pagine scaturisce la sceneggiatura del film). Grande è dunque il potere di lady Sarah, che ha il volto bello e duro di Rachel Weisz. Oltretutto, a cementare l’intesa tra regina e cortigiana è un rapporto lesbico, dove il ruolo dominante è ovviamente quello della nobildonna, spietata a criticare l’aspetto di Anna, le sue abbuffate di dolci, i tentennamenti sulla prosecuzione della guerra, che per Sarah deve proseguire fino alla completa sconfitta dei francesi.

A scombinare l’equilibrio della corte arriva un’altra, Abigail Masham, baronessa decaduta e cugina di Sarah. Chiede di entrare nel dorato palazzo come inserviente ma non ci mette molto a usare le sue arti melliflue e lo sguardo ora mansueto ora fulminante (gli occhi azzurri e aguzzi di Emma Stone, nella foto sotto) per ritagliarsi a sua volta il posto di favorita della regina. Il triangolo lesbico diventa lotta fra le tre donne, e Lanthymos fa di tutto perché mai l’una prevalga sull’altra, seminando nella pellicola piccoli stranianti shock. Accade per esempio nella gara di tiro al piccione tra Sarah e Abigail: quando questa finalmente impara, anche simbolicamente, il gioco della violenza, schizzi di sangue catapultati dall’uccello colpito rigano la faccia della duchessa. L’irresistibile ascesa di Abigail è cadenzata dai capitoli in cui il film si divide, ognuno dal titolo sardonico. E però la sua determinazione a prendersi il potere risulta alla lunga prevedibile e grossolana ed è il limite maggiore del movie.

Ma insieme all’interpretazione delle protagoniste intriga il clima claustrofobico del palazzo reale, dove le macchinazioni si compiono talvolta nel buio più completo (la fotografia è di Robbie Ryan), con fantasmatici personaggi che vagano nella sequenza infinita di sale e gallerie. Perché tutto, nel mondo alterato di questo Lantymos, è ori e broccati: la guerra non si vede mai, è solo nelle parole di un parlamento diviso in Tory e Wigh e dimidiato dai capricci di Anna, pur infine capace di liberarsi dal giogo delle cortigiane e di decidere con la propria testa. Del resto, gli uomini sono sciocchi e ridicoli, impegnati a scommettere nelle corse delle oche, a divertirsi tirando arance contro uno di loro grasso e sguaiatamente nudo, a tentare invano di infilarsi nel letto delle donne. Ma, in questa storia declinata sul potere femminile, il potere è comunque marcio. Come quando lo esercitano i maschi.

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