Giuseppe Grattacaso
A proposito di una nuova raccolta Einaudi

Amico Catullo

Così vicino alla contemporaneità dei nostri sentimenti da rendere difficile la sua ricollocazione nella storia: è il destino di Catullo, che Alessandro Fo ora ritraduce guardando insieme al passato e al presente delle passioni

Che Gaio Valerio Catullo abbia potuto sostenere il ruolo di contemporaneo in epoche differenti e che tuttora goda della classificazione di poeta ancora in consegna alla modernità, è considerazione tanto ricorrente da apparire scontata. Il poeta latino, autore di un canzoniere d’amore talmente efficace nelle soluzioni proposte da consegnarsi ai nostri giorni ancora integro nella sua vitalità, deve l’imperitura fama di attualità certo alla capacità di cogliere con semplice effetto alcune ricorrenti trame d’amore e, con rara e brillante incisività, le reazioni di carattere intimo e psicologico che ne conseguono. Ma c’è naturalmente di più.

E questo di più permette al poeta del Liber (già il titolo con cui sono state consegnate alla posterità le sue poesie brilla per perentoria demarcazione) di essere considerato, anche da lettori e poeti di questi tempi, alla stregua di amico e confidente. Parlo innanzitutto della capacità di affidare al canone dell’universalità la propria esperienza personale, vera o più o meno vera che sia, e con essa la quotidianità spesso contraddittoria delle vicende esistenziali. Cioè, Catullo è capace di scrivere di se stesso e intanto smuovere coscienze e sentimenti di tutti. E poi c’è da mettere in conto il suo vagare nei territori fin troppo confusi e incongruenti dell’animo umano, in perenne discordia con se stesso, e farlo con lo sguardo coraggioso e insieme malinconico di chi sa che il destino di ognuno risiede proprio nella difformità dell’io, nell’altalena che ci fa essere attratti dai territori bassi del mondo e dalle sue zone sublimi. E ancora va aggiunto come il poeta del Liber riesca a confessare a se stesso e, per suo tramite, a noi tutti, che amore e amicizia sono passioni così radicate al nostro interno da essere inevitabili e da produrre reazioni, nel bene e nel male, tali da determinare le nostre scelte, anche le più significative, e definire nel tempo i nostri atteggiamenti.

È evidente dunque che di fronte ad un autore classico a noi così vicino per sensibilità, il rischio di banalizzare questa prossimità appaia piuttosto concreto, così come ci si esponga alla possibilità di non percepire più lo spessore dei versi del grande lirico, perché troppo adiacenti alle nostre vite e dunque confusi con la massa dei messaggi che la comunicazione ordinaria sempre in maggior numero impone. Insomma di perderne la distanza, innanzitutto nel tempo, e dunque quel tanto di riservatezza e disparità, che ci permette, per contrasto, di godere della scoperta della continuità e contiguità che diremmo, oltre che intellettuali, affettive.

A rendere possibile un nuovo percorso di avvicinamento all’opera di Catullo, a offrirci rinnovati strumenti ottici e culturali per riappropriarci dei versi del poeta latino, giunge ora l’edizione einaudiana de Le poesie a firma di Alessandro Fo, che con l’erudita cognizione dello studioso e con la partecipata sensibilità del poeta, e di un poeta in qualche modo anche lui ascrivibile alle schiere dei neoteroi, ha caricato sulle proprie spalle il poderoso lavoro, durato cinque anni, di cura e traduzione, che si sostanzia anche in una preziosa introduzione, che riesce a offrire al lettore anche meno esperto una serie di coordinate indispensabili alla lettura, e in un imponente apparato di note, che inquadra in maniera rigorosa e precisa ogni singolo componimento.

Catullo è poeta all’apparenza semplice, dotato di una capacità di tradurre in limpidezza anche i sentimenti più oscuri e confusi, ma è anche un poeta colto e raffinato, che non predilige le scelte facili, anzi che tende ad alludere con velata ma evidente sapienza anche quando lavora, e succede spesso, sui registri più bassi. È un poeta estremamente abile nell’uso degli strumenti tecnici, mosso dall’obiettivo di rinnovare profondamente la poesia latina, fino ad allora ancorata ai temi epici. Il suo canzoniere, come suggerisce Fo nell’introduzione, è “prestigiosamente multiforme”, cioè propone una quantità di scelte stilistiche differenziate, per metro e per tono. Fo dà conto di questa varietà adottando nella traduzione una serie differenziata di metri “barbari”, cioè trasportando nella ritmica e nella musicalità italiane il verso latino, operazione non semplice soprattutto se si vuole rendere ragione, come avviene felicemente in questo caso, della colta polimetria catulliana.

Il risultato è mirabile e suggestivo. Proprio accentuando i caratteri che fanno di Catullo un poeta figlio di un’epoca e quindi di una cultura e di un’espressione poetica a noi lontane, la rischiosa operazione di Alessandro Fo ci permette di riappropriarci del Catullo più vero e ci offre, in questo modo rigenerata, la parentela che ce lo fa simile. I versi del veronese, disincrostati dalla patina di una tradizione che aveva schiacciato il linguaggio in modalità fin troppo ripetitive, sanno parlare con nuovo e inaspettato vigore alla nostra sensibilità di donne e uomini del terzo millennio.

Valga, a modo di esempio, il celeberrimo carme 5, che nella traduzione di Fo suona in questo modo:

Su viviamo, noi due, mia Lesbia e amiamo
e i mugugni dei vecchi troppo arcigni
tutti insieme stimiamoli uno spicciolo.
Solo i soli si spengono e ritornano.
Ma noi, spenta che sia la breve luce,
notte eterna e continua dormiremo.
Mille baci tu dammi, e quindi cento,
poi altri mille, e poi un’altra volta cento,
quindi fino a altri mille, quindi cento.
E poi, molte migliaia accumulatene,
stravolgiamole, un po’ per non saperne,
e un po’ contro il malocchio di un maligno
che il totale di tanti baci sappia.

È una poesia, quella di Catullo, che nasce dai due grandi tempi dell’amore (contrastato, fonte di gioia e sofferenza, per Lesbia) e dell’amicizia: poesia generata, nella maggior parte delle liriche da eventi occasionali, eppure capace di parlare a una miriade di generazioni future. Scrive Fo nella introduzione: «La poesia leggera di Catullo nasce per lo più a ridosso delle occasioni dei giorni, e programmaticamente le dà per conosciute dalla sua prima rosa di fruitori, lanciando nello stesso tempo – con garbata protervia – la sfida di riuscire a sopravvivere anche così, per forza di spumeggiante leggerezza, e di esiti comunque capaci di avvincere in futuro anche chi mancherà di alcuni pur importanti ragguagli».

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