Delia Morea
A proposito di “Chiamami Iris”

I dolori di Iris

Presente e passato, desiderio e dolore, illusioni e delusioni si mescolano nel nuovo romanzo di Vincenza Alfano. Una storia di passioni chiuse dietro alle mura di un convento. Con Napoli sullo sfondo

Chiamami Iris (L’Erudita, 180 pagine, 18 Euro) il nuovo romanzo della scrittrice e giornalista napoletana Vincenza Alfano di recentissima pubblicazione, si configura come un doloroso viaggio all’interno dell’animo umano. In questo caso della protagonista della storia, Iris, una giovane donna che viene sottoposta dalla vita a dolori, separazioni, solitudini. Con una prosa esemplare e precisa che spesso dà spazio ad un coinvolgente lirismo, Vincenza Alfano ci racconta la storia di Iris, usando due registri: il passato e il presente di modo che i capitoli si alternano nel raccontare.

Iris è orfana di madre e il padre per il dolore della perdita della moglie abbandona la bambina, scomparendo. La bambina viene accompagnata a Scilla a casa di una vecchia zia, poiché non ha altri parenti. Da questo inizio drammatico si dipana la vita di Iris, colma di penose separazioni, il ritorno a Napoli perché la zia viene giudicata (a torto) non all’altezza del compito, il collegio, la scelta di farsi suora pur non avendone la vocazione, nell’illusione di mettersi al riparo dal mondo. Ma per Iris e dopo suor Irene, il mondo riserva alcune sorprese che la raggiungono, nonostante tutto, all’interno del convento. La donna, assetata di affetto, di amore, vivrà delle difficili esperienze proprio in tema di amore. Storie che le lasceranno il segno e che la faranno decidere di abbandonare il monastero, poiché comprenderà che la vita monacale non è per lei.

Vincenza Alfano esamina con maestria le pulsioni interiori, la gamma di sentimenti che connotano in specie le donne, tanto che Iris sembra il simbolo di una analisi profonda, di una ricerca puntuale che la scrittrice compie nel perlustrare le sfumature che risiedono nell’intimo femminile. Non a caso intorno a lei ruotano per la maggior parte personaggi femminili concepiti dalla Alfano in maniera veritiera, inequivocabile: la zia dapprima burbera e in seguito affezionata a Iris che per il distacco ne morirà, l’amica del collegio con la quale crescerà insieme e che si trasformerà in suor Marta, questa volta seguendo una vera vocazione, che le sarà sempre vicina, comprenderà tutte le sue interiori tragedie e alla fine ritroverà la casa dell’infanzia di Iris, così che la donna ritornandovi potrà ricominciare tutto daccapo.

La severa Madre Superiora e le suore del convento, la chiesa, il chiostro, che Vincenza Alfano descrive in maniera affascinante e amorosa, tanto di farci ritrovare con gli occhi della mente, tra i suoi roseti, i profumi agrumati. Suor Giovanna, la suora progressista che porta in convento una ventata di novità con i suoi libri – preferirà Iris a tutte le altre convittrici, le farà leggere Le città invisibili di Italo Calvino – ma che andrà anche lei via, condannata dalla sua stessa natura a vagare da un convento all’altro, l’assistenze sociale Rosaria, che la strappa alla zia e che, in seguito, vivrà un personale fortissimo dolore.

A questi personaggi femminili si aggiungono le due uniche figure maschili, due uomini che entreranno con prepotenza nella vita di Iris/Suor Irene, il giovane Michele, figlio della cuoca del convento, coetaneo della giovane Iris e suo compagno di banco e, infine, padre Francesco confessore di Suor Irene, che la sconvolgerà. Una storia intrigante, fatta di tanti tasselli che s’incastrano l’un l’altro, dove aleggia sovrano l’amore, non solo come amore per un uomo ma anche per i bambini di cui suor Irene è insegnante, ad esempio, amore per la vita, desiderio di viverla a piene mani, dando e ricevendo amore, appunto.

Infine le descrizioni dei luoghi, che Vincenza Alfano evoca in maniera visionaria e coinvolgente, come il tumultuoso mare di Scilla, il paesaggio selvaggio, contrapposto con l’azzurro e immoto mare di Napoli, il suo panorama dal grande, ammaliante, respiro. Le intricate strade del centro storico di Napoli, i suoi decumani.

Vincenza Alfano costruisce una trama accurata, con personaggi vividi, di cui ne descrive la psicologia addentrandosi nei meandri delle menti umane. Una scrittura lirica e realista che si fa leggere: «La sera era scesa pallida sul refettorio col suo carico di malinconia a cui Iris non riusciva ad abituarsi. Lo stomaco chiuso ancora una volta. Il posto di suor Giovanna vuoto. Le suore si muovevano nervose a scatti tra le ragazze. Come se tutti sapessero. Il giorno dopo l’annuncio: suor Giovanna era dovuta partire per disposizioni della sede provinciale. Se n’era andata pure lei. Come sua madre. Come suo padre. Come la zia Assunta. Come Rosa. Come Rosaria Menna. Come Michele. Anche lei senza una spiegazione. Se può mai esserci un motivo di un abbandono». Infine quel sotteso desiderio di Iris, con cui inizia proprio il primo capitolo del romanzo, intitolato “Incipit” che racconta della ruota in cui venivano abbandonati a Napoli i bambini indesiderati che ci fa comprendere la volontà di Iris di raccontare e forse di raccontarsi, di immaginare un nuovo futuro con la scrittura: «Forse non era un incipit perfetto ma era quello che Iris aveva in mente da quando era stata portata nel convento ed era rimasta attratta dalla luce sinistra della ruota. Forse non era un incipit perfetto ma le serviva a sciogliersi, a dare l’avvio a un romanzo che non sarebbe stato perfetto, forse, ma poteva essere comunque l’inizio di qualcosa di buono». Una storia da scoprire, scritta con maestria.

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