Alessandro Boschi
Visioni contromano

Capri (quasi) revolution

Il nuovo film di Mario Martone, dedicato a una simbolica esperienza rivoluzionaria di inizio Novecento, è un'opera di grande attualità. Ma forse un po' di rabbia in più gli avrebbe fatto bene...

Presentato all’ultima Mostra di Venezia, Capri Revolution di Mario Martone si ispira alla storia di una comune che agli inizi del novecento il pittore Karl Diefenbach costituì sull’isola del titolo. Questo è il primo dei meriti del film, se non il principale. Ovvero portare a conoscenza, in un momento storico di sguaiate contrapposizioni sociali e culturali, l’esistenza di questa comune, del tutto simile a quella del Monte Verità di Locarno, tutt’ora viva seppure trasformata in fondazione. La natura e il vegetarianesimo come punto di incontro di etica, religione, salute e ambiente. Il tutto filtrato dagli occhi di una capraia, termine bruttissimo ma legittimo, che proprio entrando in contatto con la comune subirà prima e ne diventerà protagonista attiva poi, un processo di crescita che la allontanerà dalla famiglia indigena e la renderà a tutti gli effetti membro attivo e consapevole del gruppo di “invasori”, diversi e quindi visti come tali dagli abitanti stanziali dell’isola.

Il regista napoletano descrive il rito di passaggio di Lucia, interpretata da una bravissima Marianna Fontana, soffermandosi sulle contrapposizioni sempre più forti con i familiari e l’irresistibile affinità con il leader della comune, interpretato da Reinout Scholten van Aschat. In mezzo a questi due poli la figura del medico interpretato da Antonio Folletto, testimone di una scienza che cerca di conciliare due mondi apparentemente inconciliabili. In effetti la voglia di libertà di Lucia – il suo desiderio di emanciparsi – trova terreno fertile nel mondo apparentemente privo di costrizioni e regole distanti dalla società ultra tradizionalista in cui la quindicenne ha sempre vissuto.

Detto questo il film appare talvolta come una tavolozza con tutti i colori giusti ma, per dirla alla 007, agitati e non mescolati. Manca un po’ di rabbia a Capri Revolution, e ci domandiamo cosa avrebbe prodotto con lo stesso materiale il primo Mario Martone regista, quello definito vitale e brusco, quasi amaro. Qui, la sensazione, è che ci si sia concentrati più sulla importanza della storia, con tutte le sue implicazioni sociali e storiche, piuttosto che sul come narrarla. Con una violenza attutita, priva di sussulti che riescano a raggiungere cuore, anima e pancia.

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