Ilaria Costabile
Visto al Teatro dei Dioscuri di Roma

Lorca ritrovato

Caterina Dazzi con la supervisione di Arturo Cirillo porta in scena “Aspettiamo cinque anni” di Federico García Lorca. Spettacolo surrealista e profondo, come il cuore spagnolo della poetica di Lorca

Caterina Dazzi, allieva del terzo anno dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, firma la regia, con la supervisione del Maestro Arturo Cirillo, dello spettacolo Aspettiamo cinque anni: rielaborazione dell’omonimo testo di Federico García Lorca. Come ha dichiarato il Maestro Cirillo, seppur amato e conosciuto Lorca è uno degli autori più complessi da rappresentare perché il suo teatro è il frutto di una serie di suggestioni, di emozioni e desideri inespressi, di ossessioni che sulla scena vengono amplificate.

Aspettiamo cinque anni è la storia di un amore (o forse sarebbe più esaustivo dire dell’Amore), quello bramato, che ha in sé un germe di follia, quello inaspettato, disatteso, quell’amore che non si può decifrare ed é proprio questo quello che emerge guardando la messa in scena di questo testo del 1931: l’amore é un sentimento che non ha comprensione. Lo ha capito la giovane allieva della storica Accademia che, nel piccolo spazio del Teatro dei Dioscuri di Roma, ha dato vita a un’ambientazione misterica, in cui ombra e luci soffuse si alternano, in cui un cubo senza pareti, che occupa la centralità del palcoscenico, diventa il lasciapassare di ogni pensiero, ogni nuova battuta, ogni nuovo atto.

In un saliscendi continuo, dal suolo alle superfici più alte della scena, si alternano i molteplici personaggi del testo: Raffaele De Vincenzi (Giovane), Michele Eburnea (Arlecchino/Amico/Giocatore di rugby), Luigi Fedele (Dattilografa), Sara Mafodda (Gatto/Fidanzata/Domestico/ Fanciulla), Alberto Penna (Vecchio/Pagliaccio/Padre/II Giocatore), Mersilia Sokoli (Bambino/II Amico/Manichino/Cameriera/I Giocatore). Il susseguirsi dei personaggi avviene a scena aperta, non ci sono quinte, né angoli nascosti che permettano agli attori di cambiarsi, di entrare e uscire dalle interpretazioni che li vedono protagonisti, gli unici che impersonano sempre lo stesso ruolo sono lo scrittore innamorato che troviamo seduto di spalle al pubblico nella prima parte dello spettacolo e la dattilografa, la donna di cui lo scrittore scopre davvero di essere innamorato, ma troppo tardi. Dopo aver scoperto che la sua fidanzata, aspettata cinque primavere prima di poterla sposare, si è nel frattempo innamorata di un altro uomo, il giovane scrittore si vede perso, ma capisce di non aver rivolto le sue attenzioni a chi davvero le avrebbe meritate e nel momento in cui prende coscienza dei suoi errori, deciso ad agire, perde la vita in una partita a carte.

La sagacia e l’ironia sono ingredienti fondamentali della rappresentazione. E i giovani attori riescono a giostrarle molto bene, mantenendo i tempi e i ritmi giusti che consentono una condivisione entusiastica da parte del pubblico. Le scelte registiche messe in atto danno vita ad uno spettacolo dal carattere particolare, insolito, circondato da un’aura surrealista che coglie lo spettatore di sorpresa, come il veder spuntare uno degli attori al di sotto della struttura portante del palcoscenico; uno spettacolo in cui vita, morte, inquietudine e brama si intrecciano e che, come nei migliori scritti di Federico García Lorca, porta con sé un significato taciuto, ed è forse proprio questo a rendere così attraente anche l’opera teatrale di uno dei maestri della narrativa del Novecento.

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