Erminia Pellecchia
A proposito di “Mister No Revolution-Vietnam”

Mister Revolution

Torna in edicola e libreria Jerry Drake, eroe della grande famiglia Bonelli, nella nuova veste grafica curata da Fabrizio Verrocchi. Un graphic novel duro, attuale ma sempre pieno di radici nella storia (anche in quella dei fumetti)

Anticonformista, individualista, scalcinato e squattrinato, impulsivo, compassionevole e ribelle, amante dell’alcol e di donne fuori dagli schemi ma pronto a dare la vita per un ideale, a dire no alle ingiustizie e alle prepotenze, alla disciplina ottusa e alla violenza, a schierarsi dalla parte dei più deboli. Bentornato Mister No. Ben ritrovato amico onesto e coraggioso, partorito dalla fantasia nolittiana negli anni della contestazione, il tuo messaggio atipicamente etico è quanto mai necessario in questo oggi travolto da presenti senza futuro, rimozioni e paure. Quel nomignolo che indossi come una cicatrice-medaglia può forse risvegliare – sì anche se sei solo una figura di carta – le coscienze sopite. E operare la rivoluzione di cambiare il mondo, buttando, come invitava Pasolini, il corpo nella lotta, con “vitalità disperata”, pur sapendo che è una battaglia persa in partenza ma che va affrontata.

Il ritorno di Jerry Drake è una Revolution, proprio come la canzone inno dei Beatles targata 1968 e presa a titolo dell’emozionante Mister No Revolution-Vietnam della Bonelli editore: in libreria con la raffinata veste grafica di Fabrizio Verrocchi (144 pagine a colori, la potente copertina di Emiliano Mammucari) è da dicembre anche in edicola all’interno di una miniserie scandita in sei albi. Ed è una rivoluzione il felice esperimento di spostare avanti le lancette e trasformare il reduce disilluso della seconda guerra mondiale, l'(anti)eroe per eccellenza creato nel 1975 da Sergio Bonelli – o meglio dal suo alter ego letterario Guido Nolitta – in un ragazzo della New York fine anni Sessanta, parte di una generazione che aveva voglia di cambiare e che alzava la voce per farsi sentire: un soldato in Vietnam che, vivendo sulla propria pelle gli orrori di una guerra sporca e incomprensibile, avrebbe lasciato posto all’uomo Mister No. Il soggetto e la sceneggiatura di questo inconsueto e straordinario graphic novel sono di Michele Masiero (firma anche la prefazione del volume de luxe), “audace” direttore editoriale della casa editrice milanese e curatore della testata originaria. È una scrittura, la sua, dal sapore di ballata amara – come il brano di John Lennon e l’Urlo di Allen Ginsberg che occhieggiano tra le pagine – ed è una bella sfida, sicuramente vinta, il ridare linfa energica a un personaggio amato e mai dimenticato, che continua a percorrere la sua direzione ostinata e contraria e che, a 43 anni dalla sua apparizione e a 12 dall’ultima, è – concordiamo con lo scrittore e sceneggiatore – «di una modernità ancora ineguagliata, così moderno da poter essere ancora raccontato in mille modi differenti e su diverse coordinate spazio-temporali».

L’espediente narrativo è mutuato dai fumetti americani e formulato sul What if? marvelliano: e se…. E se, ecco l’intuizione, Jerry fosse nato 25 anni dopo la sua biografia ufficiale, cosa sarebbe successo? «Un’operazione culturale meditata quella di non cedere al revival – dice Luigi Mignacco, sceneggiatore di Mister No dal 1987 e primo fan di un progetto da far tremare i polsi – ma di   attuare una reinterpretazione spostando l’epoca a quella piena di contraddizioni in cui il personaggio era stato pensato; cambia l’ambientazione ma il character resta quello di un soldato contro le guerre». Il giovane Drake, infatti, non è cambiato, è quello – assicura Masiero – «che continua a dire no, a guadagnarsi ogni giorno il soprannome divenuto una filosofia di vita, tale da rendere i sì, all’amicizia, all’avventura, all’amore, ancora più preziosi». Ed è soprattutto un omaggio a Sergio Bonelli (il 2 dicembre è stato l’anniversario della nascita avvenuta nel 1932) il riportare in vita la simpatica canaglia nella quale aveva riversato tutte le sue passioni dalla musica al cinema e ai viaggi in terre esotiche e pericolose, come l’Amazzonia che l’aveva folgorato negli anni Sessanta. Masiero si è mosso, con pudore e immenso affetto per l’editore-autore, fra tradizione e sperimentazione, con l’intento di non scontentare vecchi lettori e di catturarne nuovi. Senza, però, strizzare l’occhio alle vendite, bensì di testa e di pancia. Il taglio, con i campi lunghi e i primissimi piani, è cinematografico e restituisce in pieno le atmosfere del sud est asiatico e del Greenwich Village, con l’alternarsi delle sequenze tra le efferate atrocità perpetrate dagli yankee (ricostruito perfettamente il massacro di My Lai) con la conseguente “orgia di violenza” dei Vietcong, ed i flashback di una New York attraversata dai fermenti beatnik e hippie, icone “allucinate” i Velvet Underground di Heroin e il pensiero “pop” di Andy Warhol, entrambi citati nel romanzo grafico.

Il linguaggio è crudo – non mancano le parolacce, le torture, il sesso – e nello stesso tempo poetico e dolente quando affronta l’amore disperato tra Jerry e Maryann persa nella droga, così come lui sarà perso nella giungla vietnamita. A scandire la narrazione, in un crescendo di emozioni, è la matita rigorosamente realistica ed efficace di Matteo Cremona, esaltata dalla tavolozza accesa, per lo scenario bellico, e chiaroscurale nelle fughe al passato di Luca Saponti e Giovanna Niro; bravissimi, tutti e tre del team “Orfani”. Immagini che parlano, che bucano, e che il geniale Alex Dante ha reso tridimensionali nel videoclip, punteggio dieci, che fa da trailer al volume. No al bagno di sangue, alle bugie ed alle ingiustizie. «There must be some kind of way out of here…», deve pur esserci una via d’uscita da qui: Gianmaria Contro nella sua postfazione richiama la canzone di Jimi Hendrix. Ultimo quadro: una folla di manifestanti grida il suo disgusto contro la guerra innalzando la bandiera “Peace”, Jerry Drake l’attraversa all’incontrario, non è uno da mettersi a capo di movimenti, segue la sua utopia di eroe solitario, nella testa i versi di Ginsberg «ho sempre voluto tornare al mio corpo dove sono nato».

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