Arturo Belluardo
A proposito de “Il secondo ritorno”

Doppio Conrad

Giuliano Gallini ricama intorno a Conrad e al suo romanzo "Il ritorno" rispecchiando quella vicenda nella storia di una donna che, centoventi anni dopo, percorre gli stessi sentieri dello scrittore di "Cuore di tenebra"

Il gioco metaletterario sembra essere la cifra che ha scelto Giuliano Gallini per la sua proposta autoriale: dopo Il confine di Giulia, dove l’autore ferrarese narrava un amore infelice di Ignazio Silone, è il turno di Joseph Conrad, protagonista, burattinaio quasi, di questo Il secondo ritorno uscito per Nutrimenti nel novembre scorso. La trama si sviluppa su due piani narrativi diversi, separati da centoventi anni di distanza, ma per nulla lontani, anzi strettamente interconnessi: nel novembre del 1897, troviamo Joseph Conrad nella sua casa di Stanford-Le-Hope in piena crisi creativa; il suo romanzo Il ritorno, è stato rifiutato dal suo editore gettando lo scrittore polacco nella disperazione; la moglie Jessie è incinta, le spese aumentano e la sua pensione da capitano di lungo corso non basta a mantenere la casa e la servitù. Il ritorno era un testo decisamente anomalo: racconta di una crisi matrimoniale, il protagonista, Alvan Hervey, viene lasciato con una lettera dalla moglie che però, pentita, torna dal marito, chiedendogli perdono. A quel punto sarà però il marito ad andarsene.

Nel novembre del 2017, Agnese, una visual-artist milanese decide di lasciare il compagno Leo con un biglietto. Agnese sta lavorando a un progetto video, “J&J”, ispirato alla storia d’amore tra Conrad e sua moglie Jessie, un legame forte tra due esseri profondamente diversi e lontani. E così, mentre Conrad si arrovella sul suo racconto “impantanato”, riflettendo sulla possibilità di cambiare il punto di vista, passando dal maschile al femminile, raccontando la storia con lo sguardo della moglie di Alvan Hervey, Agnese riflette con la sua assistente su come creare un’opera “loop” che giri in eterno, senza soluzione di continuità, che riproponga ad libitum la vita dello scrittore anglo-polacco.

Non ho usato a caso il verbo “riflettere”: il capitano Conrad si specchia nel futuro, riscrivendo la vita di Agnese e Leo, e Agnese si specchia nel passato alla ricerca di uno spunto che risolva la sua crisi artistica e personale.

Ma nel contrappunto delle storie si insinuano le ombre, le tenebre, ombre lunghe di animali, di sculture di animali, di draghi e di ballerini dal volto di volpe, di lupi che percorrono la brughiera, del profilo di falco dello scrittore, di gabbiani e di rondini che garriscono implacabili, ombre di schiavi, di cui Conrad ha fatto commercio, che superano lo squarcio temporale per trovarsi a protestare lungo i Navigli di Milano. E i navigli diventano palude, stagni infetti.

E si spalanca una storia corrusca, su cui Joseph Conrad decide di indagare, una storia di violenza e stupro, di abusi familiari, di bambini uccisi, di donne scomparse. E man mano che Conrad discende nella palude oscura, man mano che si avvicina al cuore della tenebra, la tenebra percola nel futuro e la violenza del secondo ritorno diventa un destino ineludibile.

Gallini accompagna la discesa nell’orrore con righe alte, con una natura compartecipe e sicaria:
«Le erbe acquatiche erano alte, cupe. Oscillavano ostili giunchi e fastidiose carici. Con i loro frutti indeiscenti e duri impedivano la vista degli argini. La palude somigliava alle melme malesi, pantani di fango e acqua stagnante, malata di tifacee. La luna illuminava umori lattiginosi, opalescenti; dava una parvenza di vita a una realtà che a tratti sembrava indicargli la strada e a tratti sbarrargliela, come se si divertisse a giocare, a canzonarlo o a metterlo alla prova.
«Funghi luminescenti. E fiori di rafflesia arancioni grandi come le ruote di un carro. Ne sentiva il puzzo. Fiore carnivoro, corolla immonda dal sapore di cadavere putrefatto. Dove l’aveva già visto?
«Ecco che cosa c’era fuori dalla civiltà! L’opale dell’illusione e la rafflesia del vero; la menzogna di una divina elevazione e il ristagno dell’acquitrino. Fuori dalla civiltà c’era solo la danza isterica di organismi sfatti e marci, c’era l’eternità del male e il suo piacere sporco. C’era l’allucinazione di funghi lascivi, l’oscenità delle rose carnivore; c’era l’incantesimo ipnotico degli arabeschi di giunchi e di felci vetrificati dalla luce della luna. C’erano odiosi sciami di insetti, c’erano ragnatele di luce cadente e densa come sangue. C’era un mondo governato da dèi sconosciuti. C’erano altre leggi e chi ne cadeva prigioniero veniva narcotizzato e la sua natura alterata per sempre. O chi scendeva nel mondo della natura finalmente raggiungeva una dimensione mentale parallela, un’altra sensazione? Quella natura aveva il potere di trascinarci dentro noi stessi?»

E oltre a Il secondo ritorno, si insinua nella scrittura di Gallini la spirale circolare de Il secondo avvento di Yates, con il Joseph Conrad falcone che sorvola inascoltato lo sfacelo dell’abisso e sciorina parole di distruzione apocalittica:
«Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world,
The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
The ceremony of innocence is drowned;
The best lack all conviction, while the worst
Are full of passionate intensity».

Non c’è nessuna rivelazione tra i ruderi dell’anima, non c’è nessun Cristo salvifico ad attenderci. Emerge dal buio il profilo calvo del comandante Kurtz.

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