Ella Baffoni
Al Maxxi di Roma

Manifesto zerocalcare

Il più anticonvenzionale dei disegnatori italiani approda nel "tempio" delle arti del Ventunesimo Secolo. Una grande mostra celebra l'impegno e il genio di Zerocalcare

Curiosa nemesi storica. Un fumettaro con un nome sfacciatamente mutuato dalla pubblicità televisiva, Zerocalcare, dopo essere stato candidato allo Strega, arriva a 35 anni con una sua mostra al Maxxi di Roma. Spazio prestigioso, approdo di carriere artistiche di tutto rispetto. Eppure è il Maxxi a guadagnarci, da questa insolita apertura al cartoon, con la mostra Scavare fossati, nutrire coccodrilli. Perché scavare fossati? Per preservare il cuore ribelle, l’orrore per la diseguaglianza sociale, per l’ipocrisia e l’egoismo. Zerocalcare è davvero un personaggio insolito.

Lui, intanto: Michele Rech. Inutile tenerlo nascosto il nome vero se anche Wikipedia lo svela. Il suo percorso professionale è tutto scritto sulle scale che portano alla mostra, dal 2001 a oggi. All’inizio, una vita da precario, sondaggi commerciali e lezioni private di francese: «Ma, se va male, posso sempre tornare a farle» scrive lui. Una civetteria. La sua carriera è solida. Collabora a molta carta stampata. Repubblica, Espresso, Internazionale. I suoi libri vanno a ruba. E il suo blog, pur se non aggiornato «Ogni maledetto lunedì su due», come recita il titolo di un suo libro, è comunque sempre intensamente frequentato.

In più, da decenni, Zerocalcare disegna manifesti di movimento. Aderisce allo stile di vita straight edge (nato nell’ambiente punk hardcore, che bandisce tabacco alcool e sostanze). È un frequentatore di centri sociali, anzi, di più. È uno che li considera «la mia gente, la mia famiglia». Con i centri sociali ha combattuto per i curdi, è andato in Rojava, ha sostenuto le battaglie di liberazione; all’estero e in Italia, contro gli sgomberi, contro gli sfratti, contro la repressione. Alla manifestazione a favore di Mimì Lucano, il sindaco di Riace, suo era il manifesto che apriva il corteo. Quando è morto Soumaila Sako, a Rosarno, era disegnato da lui lo striscione della manifestazione, una sorta di Quarto stato con la marcia dei suoi personaggi. Giovani, vecchi, e bambini anche, sempre arrabbiati.

Ecco, una selezione di quei manifesti è affissa ai muri che circondano il percorso della mostra vera e propria che raccoglie tavole originali («Così vedrete tutti gli sbagli che ho fatto», dice lui), un labirinto a forma di armadillo, il nume della sua coscienza protagonista de La profezia dell’armadillo un altro suo libro di successo. I temi e i nomi che costellano quei manifesti sono una sorta di storia dei movimenti e dell’impegno civile, da Valerio Verbano e Roberto Biagetti (uccisi dai fascisti) al lago che combatte, quello della Snia. Dalla notte bianca dell’Università alle lotte contro la Tav. Dalla memoria di Dax, anche lui accoltellato dai fascisti, alle iniziative di Acrobax. Dal ricordo di Genova 2001 al 25 aprile.

Attenzione, mette in guardia Zerocalcare: sì, li ho disegnati io, certo, quei manifesti. Ma nascono da un percorso condiviso con altri, di un lavoro collettivo: «sono stati pensati, impaginati, e attacchinati insieme ad altri. Molti di questi altri, magari 15 anni fa, non avrebbero mai pensato che questa roba sarebbe finita in una teca a Roma nord. E manco è detto che gli avrebbe fatto piacere, perché se abbiamo fatto un pezzo di strada insieme significa che le cose che ci gratificano a noi non so’ le stesse che gratificano gli altri».

Perché lui è così. Anche seduto a fianco di Giovanna Melandri, presidente del Maxxi, anche omaggiato da stuoli di giornalisti, parla semplice e lo dice: «Faccio le cose perché le sento ma non le so spiegare». Lo si ama anche per questo. È la sua scala di valori, che è diversa. «Di solito, quello che inorgoglisce gli altri, a noi ci fa vergognare», fosse anche una mostra al Maxxi o un candidatura allo Strega, o vendere centomila copie di un libro. Quello che conta è la tribù – le relazioni, direbbe qualcuno – il non doversi vergognare quando si va a un concerto punk. E guardare i compagni negli occhi.

Un rigore che lo ha preservato, finora, dalle sirene del successo. Lui lo dice così: «Se non avessi avuto quel mondo così antitetico a cui aggrapparmi, non so se sarei riuscito a tenere la barra dritta». Nonostante il Maxxi, nonostante lo Strega, la barra sta lì. Anche perché il suo lavoro vero, le sue strisce, sono politiche, ma a suo modo. È il suo mondo emotivo che mette a nudo, inventando i personaggi che poi hanno popolato il film tratto dalla Profezia dell’Armadillo. Il Secco, il Cinghiale, la mamma, le amiche, addirittura i sentimenti… ognuno con la sua maschera da fumetto anni Ottanta, nel rispetto della privacy. Un panorama sentimentale che nelle vicende quotidiane trova una sua cifra inimitabile.

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