Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Morti che parlano

Javier Marias, Georges Simenon e Andrea Camilleri: tre gialli per tre mondi diversi. Ma che al centro hanno sempre il gusto di andare alla scoperta di vite sconosciute. E finite

Camaleonte. Speriamo che non finisca come Philip Roth, al quale non hanno conferito il premio Nobel. Javier Marias, spagnolo di 67 anni, libro dopo libro si conferma come uno dei migliori narratori al mondo. Il suo nuovo romanzo, intitolato Berta Isla (Einaudi, 488 pg., 22 euro) descrive, con impressionante lucidità e precisione, lo strano rapporto tra l’anglo-spagnolo Tom (o Tomàs) Nevinson e la madrilena Berta Isla. Si conoscono a scuola, s’innamorano. Si sposano nel 1974. Ambedue hanno avuto un solo rapporto sessuale prima delle nozze. Accade un fatto che sconvolge tutto: Tom va a casa di una ragazza e quando esce vede distrattamente un uomo che entra nello stesso portone. La ragazza viene trovata uccisa. Tom è l’indiziato numero uno anche perché l’uomo da lui visto è un intoccabile. Un suo professore universitario, già appartenente ai servizi segreti, gli consiglia di mettersi in contatto con funzionari londinesi. Ufficialmente entra nella diplomazia britannica, ma per la sua eccezionale capacità di diventare camaleonte con le lingue (ne conosce bene almeno cinque) e di assumere comportamenti non suoi, fa l’agente segreto. A sua moglie, e poi ai suoi due figli, non può rivelare nulla ad eccezione di una generica descrizione di un mondo che, malgrado la pace ufficiale, è in guerra.

Javier Marias, che per sua stessa ammissione, si rifà spesso a Shakespeare e a Borges, descrive il poco tempo in cui Tom passa in famiglia. Berta, un giorno misteriosamente minacciata, cerca di carpire la verità sul ruolo del marito, ormai un “reietto del mondo“. Il suo lavoro lo porta in vari luoghi dentro personaggi che interpreta. Più di trent’anni di storia scorrono, ma per 12 anni l’agente dell’M16 non dà più notizie. Nell’apparato spionistico è nel frattempo “bruciato”. Assume un’altra identità, vive in un piccolo paese, convive con una donna dalla quale avrà una figlia. Diventa il signor nessuno, con un nome fittizio. Pur da sempre incapace di introspezione Tom decide di raggiungere Madrid. Berta vede il suo volto attraverso lo spioncino della porta. Non diciamo altro se non che Marias è abilissimo a vivisezionare un matrimonio che, come tutti, è incompleto in fatto di conoscenza reciproca.

Accoltellato. Quando si pensa a Georges Simenon si pensa a uno scrittore eccezionalmente prolifico, che non si limita alle vicende poliziesche di Maigret e nemmeno ai romanzi cosiddetti “duri” (o anche chiamati “roman roman“). Centinaia, tra gli uni e gli altri. Ci sono poi i racconti. E sono tanti anche quelli, editi sempre da Adelphi. Tra il 1929 e il 1962 ne ha scritti ben 178. In essi non mancano mai un delitto, la descrizione di un carattere e l’atmosfera, elemento connaturato al narratore franco-belga. Nell’ultimo tradotto in italiano – i racconti sono quattro – (Il morto piovuto dal cielo, 161 pg., 12 euro) il protagonista è un giovane medico, Jean Dollent, che ha la vocazione, e pure l’abilità, di risolvere casi complicati, al limite dei rebus. Appoggiato al muro di un castello, simbolo di ricchezza e serenità c’è un morto accoltellato (di schiena). La vittima non offre spunti per la sua identificazione, e nemmeno i suoi abiti. Il dottor Jean deve dare anche una spiegazione di una grossa buca ai piedi di un fico, dei paletti che delimitano parte del giardino e di un metro srotolato trovato per terra. Si pensa, non senza buone ragioni, che l’accoltellato sia un parente, peccato che, almeno ufficialmente, sia morto cinque anni prima.

Il particolare. Rieccolo, l’autore più seguito e forse più amato dagli italiani (e tradotto in tutto il mondo): Andrea Camilleri. Il quale, malgrado i suoi 93 anni e la cecità, continua ad affabulare. Stavolta la Sellerio pubblica una serie di racconti intitolata Gli arancini di Montalbano (421 pg., 15 euro). Alcuni (pochi) dei venti testi sono già apparsi su varie riviste tra cui La Stampa. Il famoso commissario di Vigata ha ormai comportamenti che si ripetono, uno dei quali è il risveglio dopo un sonno travagliatissimo e addirittura da battaglie stellari. Colpa della “vecchiezza“ (ma non pare, vedendolo in azione) e delle sarde preparate dalla cameriera. Altra particolarità delle inchieste è che principiano da un particolare. In un racconto si narra di tale Enea Silvio Piccolomini, un “povirazzo“ e per giunta cieco e mutilato. Piccolomini era papa Pio ii. Ad apporre, a un suo antenato il nome di battesimo era stato un funzionario burlone dell’anagrafe. Il nostro personaggio lo ha ereditato. Viene trovato morto a letto apparentemente avvelenato dalle esalazioni di gas. Ma come mai il suo cane non ha avuto la stessa sorte? Montalbano indaga scrupolosamente tra una supposizione e l’altra, scoprendo che in una banca di Sampedusa l’anziano aveva molti soldi. Il lettore presti attenzione alla stampella e a bastone, a un’associazione caritatevole ma anche allo stesso cane.

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