Marco Rinaldi
Parole e ombre/14

Il mio papà

«Quando il mio papà si mette le dita nel naso la mamma gli fa gli occhi da pazza, ma lui c’è abituato. Di solito, nel naso ci mette il mignolo, ma se serve va su pure col pollice, tanto lui c’ha il naso bello largo e se lo può permettere»

Fotografia di Zhanna Stankovych

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Il mio papà fa tante puzzette perché c’ha i diverticoli, che è lì che l’aria si gonfia e poi certe volte diventa puzzolente, che è per quello che si chiamano “le puzzette”.

Lui le fa fredde o calde, quelle calde puzzano, quelle fredde no, e lui ce lo dice prima: “Tranquilli, questa è fredda”, oppure “Attenti, ne arriva una calda!”, anche perché quelle calde fanno poco rumore; la mamma gli fa gli occhi da pazza e va di corsa a aprire la finestra pure se fa freddo.
Il mio papà le puzzette le deve fare per forza sennò gli scoppiano i diverticoli e muore, e io non voglio che muore adesso, perché sono troppo piccolo e quando divento grande lui non c’è. Lui le puzzette le fa solo con me, la mamma e mia sorella. Cioè, le fa pure quando c’è la nonna, tanto lei quelle fredde non le sente perché è sorda, e per quelle calde il papà dà la colpa a lei, che ci crede e dice “Scusate tanto”; io, mio padre e mia sorella ci ridiamo, ma a me mi dispiace pure un po’ che lei si vergogna. Quando ci sono gli altri, invece, il papà non le fa, le puzzette, e allora io lo guardo per vedere se gli viene la faccia come al nonno quando stava per morire, che io neanche lo sapevo, che stava per morire. Però meno male che non le fa, perché certe di quelle calde sono peggio delle puzzette di quel ciccione di Giulio, che in classe non lo batte nessuno. A me le migliori mi vengono la sera sotto le coperte quando non faccio la cacca da due giorni, e mi dispiace che non c’è quel ciccione di Giulio, perché con lui non mi vengono mai così puzzolenti.
Mia sorella le fa, ma piccole; la mamma no, perché non c’ha i diverticoli.

Il mio papà fa anche i ruttini, e anche quelli li deve fare per forza perché dice che c’ha lo stomaco debole.
Il mio papà fa due tipi di ruttini, quelli secchi e quelli liquidi, che sarebbe quando insieme all’aria viene su pure un po’ d’acqua. Quelli con l’acqua, se non erano del mio papà mi facevano schifo; certe volte però mi dimentico che è lui e mi fanno schifo lo stesso.
I ruttini con la bocca aperta, secchi o liquidi, li fa solo quando siamo noi di famiglia, anche se c’è la nonna, che tanto è sorda. Quando ci sono gli altri, i ruttini li fa lo stesso, ma tiene la bocca chiusa e allunga il collo come una tartaruga; lui pensa che non si sente, ma invece si sente eccome, e io mi vergogno che lo guardano tutti.
Io i ruttini a tavola non li posso fare, perché la mamma mi fa gli occhi da pazza, ma certe volte mi scappano; invece mi piace un sacco farli in camera con quel ciccione di Giulio che sarà pure antipatico, ma con quella panciona che c’ha riesce a dire “mavattenaffanculo” oppure “malimortaccivostra” con un ruttino solo. Io per ora riesco a dire solo “mamma” oppure “papà”. Mia sorella fa solo ruttini da femmina. La mamma invece si mette la mano davanti alla bocca e fa stsss.

Quando il mio papà si mette le dita nel naso la mamma gli fa gli occhi da pazza, ma lui c’è abituato. Di solito, nel naso ci mette il mignolo, ma se serve va su pure col pollice, tanto lui c’ha il naso bello largo e se lo può permettere. Poi fa rotolare la pallina tra pollice e indice finché non è secca che cade da sola; certe volte però gli deve dare la schicchera; se poi c’hanno pure la bavetta, le deve mettere nel fazzoletto e non ci può più fare le palline. O forse le riprende dopo, non lo so.
A me mi piacerebbe fare le palline grosse come quelle del mio papà, e allora le faccio crescere nel naso, ma poi non respiro più, e allora me le devo togliere prima che diventano come le sue. Una volta ce n’avevo una così grossa che non riuscivo neanche a infilare il dito per tirarla fuori, e alla fine la mamma me l’ha dovuta cavare con l’uncinetto; io la volevo tenere per fare una grossa come quelle del papà, ma la mamma me l’ha buttata via. Le mamme sono così, che certe cose non le capiscono. Il papà me l’avrebbe ridata.
Mia sorella, da quando c’ha le tette si soffia il naso prima di avere le palline; la mamma, come tutte le mamme, c’ha il naso asciutto, a parte d’inverno che c’ha il moccio del raffreddore, che quello ce l’hanno tutti ma mica ci si fanno le palline.

Al mio papà quando stiamo al mare gli esce sempre una palla dalla retina dei calzoncini da bagno. Una sola, sempre la stessa, la sinistra. La mamma gli fa gli occhi da pazza e allora lui se la rimette dentro, ma poi gli esce un’altra volta. Sempre a sinistra. Il mio papà di solito c’ha le palle marroni e pelose, ma quando gli esce dalla retina la sinistra è rosa e lucida che sembra una caramella alla fragola di quelle grandi che mi porta quando va a Torino. Ai papà degli amichetti miei le palle non gli si vedono, e infatti quand’ero piccolo pensavo che agli uomini grandi che non erano il mio papà le palle gliele toglievano come si fa ai gatti che sennò quando le femmine c’hanno l’amore scappano o fanno la pipì che puzza. Allora, una volta ho fatto venire certi amichetti miei a vedere la palla del mio papà, la sinistra, e loro m’hanno preso in giro perché il mio papà ce n’aveva una sola, di palla, e pure moscia, che era per quello che gli usciva dalla retina.
A me le palle non mi escono perché al mare c’ho gli slip che non c’hanno la retina… o forse perché le mie palle sono ancora dure, non so. Mia sorella e mia madre, invece… vabbè, loro sono femmine e le palle, una specie di palle, m’ha detto il mio papà, ce l’hanno dentro.

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Marco Rinaldi nato a Roma, vive tra Cracovia e Roma, dove ospita a casa sua fantastici concerti di jazz. Ex-un sacco di cose, per lavoro ha vissuto in Algeria, Cuba, Polonia e ha lavorato un po’ dovunque. Allievo incallito della mitica scuola di scrittura OMERO, dopo aver tradotto una decina di romanzi ha cominciato a scrivere qualcosa di suo. Da allora. ha pubblicato racconti sulle riviste on line “Mag O” e “Buduàr”, e nelle antologie “Racconti nella rete”, Ed. Nottetempo, e “In setting”, Ed L’Erudita. Vincitore del Premio Buduàr 2016. Nel 2014 il suo romanzo Papito (inedito) è stato segnalato dalla giuria del Premio Calvino, terzo classificato al premio Salvatore Quasimodo. Nel 2016 ha pubblicato con AlterEgo il romanzo Non voglio bene a nessuno, segnalato anch’esso dalla giuria del Premio Calvino, finalista al Premio Zeno, 3° classificato al Premio Salvatore Quasimodo. Nel 2017 ha pubblicato con Fazi Editore il romanzo umoristico Il grande Grabski.

Zhanna Stankovych. I miracoli esistono. Come un bruco diventa farfalla in età matura, così, dopo tante cose diverse, drammatiche, contrastanti, che ho visto e che ho vissuto, dopo stagioni di solo pianoforte, tre anni fa nella mia vita è subentrata una passione timida. E, dopo averla conosciuta, sono sempre più convinta di non averne avuta nessun’altra fino a ora. Ci soffio sopra. La coltivo con cura. E guai a chi me la tocca. Se qualche tempo fa, qualcuno mi avesse detto che tre anni dopo un mio scatto sarebbe stato sulla copertina del catalogo della mostra alla TAG – Tevere Art Gallery, e che le mie immagini avrebbero fatto parte degli eventi fotografici “Female in March”, “Un ponte per la fotografia”, e che avrei esposto in Francia, ad Arles, nell ambito dell’evento fotografico più importante a livello europeo, non ci avrei creduto. E invece è accaduto. Ed è stata la cosa che infine ha cambiato la mia vita. E me. Ho capito, che non è mai troppo tardi. Per trovare, trovarti, ritrovarti, riprendere. Realizzarsi. Per poi continuare a vivere.

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