Delia Morea
A proposito di “Girasoli al vento”

Famiglia Prisco

Annella Prisco ricorda il padre, Michele, uno dei più significativi (ancorché oggi poco ricordati) protagonisti della letteratura del Novecento. Un ritratto intimo che mescola memorie e parole

In occasione del quindicesimo anniversario della scomparsa del padre, lo scrittore Michele Prisco, Annella Prisco ha dato alle stampe un pregevole volumetto Girasoli al vento. Riflessioni e ricordi su mio padre (Guida editori). Si tratta di un memoir nel quale confluiscono le sensazioni e le riflessioni dell’oggi insieme ad uno scritto rieditato, che Annella Prisco pubblicò proprio all’indomani della scomparsa dell’autorevole padre: Chiaroscuri d’inverno, allora edito da Graus.

Annella Prisco, giornalista, scrittrice, manager della cultura, Vice Presidente del “Centro Studi Michele Prisco”, con questo volume ha voluto rendere omaggio alla memoria di suo padre che è stato uno dei più importanti scrittori della scena letteraria italiana del Novecento, insignito di svariati e rilevanti premi letterari tra cui due “Strega”, nel 1949 per l’opera prima, la raccolta di racconti La Provincia addormentata e nel 1966 con il romanzo Una spirale di nebbia da cui venne tratto il film omonimo, regia di Eriprando Visconti.

La scrittrice ne mette in luce il lato umano, il tratto riservato e signorile, la sensibilità, la profonda conoscenza degli umani e delle cose del mondo. Michele Prisco era un grande cantore degli ambienti borghesi, delle logiche spesso feroci e ristrette che animavano i personaggi che in essi vivevano, e tutto ciò trasferiva nei suoi molti romanzi e racconti con una scrittura potente, di grande impatto poetico e, insieme, sommessa, salvifica, visionaria.

Annella Prisco predilige, per questo scritto, raccontare il lato umano del padre, ripercorrendo pagine di vita vissuta, di vita familiare, accompagnate da riflessioni sui tempi che viviamo, su quanto è cambiato il mondo in appena quindici anni, del modo di comunicare e di vivere da quando scrisse Chiaroscuri d’inverno, che contiene anche riflessioni personali sulle sue esperienze, le amicizie. I capitoli si alternano fra i ricordi legati al padre e quelli riguardanti le amiche, i momenti di vita vissuta della scrittrice.

Le pagine della memoria e quelle più moderne convivono insieme in maniera egregia, forti di una scrittura misurata e nello stesso tempo avvolgente, cronachistica e poetica, di modo che il passato e il presente compongono un unico fil rouge della sua personale storia e dei cambiamenti di questi ultimi anni.

Scrive del padre: «Parole come email, internet, chat, messenger, instagram, web, twitter… non hanno fatto parte della sua cultura ed immagino che gli avrebbero comportato non poche difficoltà, perché per lui era fondamentale il rapporto tattile con le cose e con la penna. Era del parere che la scrittura si realizzasse “a mano”, convinto che il pensiero si forma nella mente, attraversa il braccio e si concretizza infine con la penna sulla carta, dove viene fermato». Però, precisa la scrittrice, Michele Prisco era anche molto curioso e interessato a tutti gli aspetti della vita e dunque, nonostante gli eventuali conflitti: «ma poi credo che alla fine si sarebbe adattato perché lui è sempre stato un curioso della vita e come tale amante del nuovo in tutti i suoi aspetti, pur essendo fortemente sensibile alle tradizioni, con uno spiccato senso della continuità e soprattutto della stabilità».

Queste belle pagine di memorie volano via lievi e nello stesso tempo sono velate da malinconia per la figura di un padre, oltre che scrittore, affettuoso e presente che ha sempre avuto un rapporto speciale con le due figlie Annella e Caterina.

Siamo condotti per mano nel mondo di Michele Prisco, in alcuni momenti intimi e gioiosi: il rituale della prima colazione del mattino, scandita da abitudini esclusive, il suo essere un buongustaio, l’importanza di non dimenticare compleanni, onomastici e anniversari: «Sul mobile della cucina c’era una agenda su cui annotava i vari compleanni, onomastici o anniversari delle persone care», l’usanza di conservare anche i bigliettini meno importanti, l’arguzia e l’ironia del carattere, il grande amore per la casa, amava comprare fiori e sistemarli personalmente nei portafiori, l’innato gusto per gli accessori, in particolare le sciarpe che «sfoggiava con quel suo portamento signorile e inconfondibile».

E poi le lunghe estati trascorse a “la casarella” (come Michele Prisco soleva chiamarla), la dimora estiva di Vico Equense, sulla Costiera Sorrentina, una villetta immersa nel verde, buen ritiro, come sottolinea Annella, dello scrittore. Un luogo dell’anima, a mio avviso, forse fonte di molte ispirazioni.

Un bel libro da leggere, scritto con mano amorevole e felice, con una scrittura bella, tersa (per la quale auspichiamo ad Annella Prisco di leggere un prossimo suo romanzo) per il ricordo di uno scrittore che ha fatto parte di una delle stagioni più importanti della narrativa e della letteratura italiana, quella del dopoguerra, degli anni della ricostruzione, in particolare a Napoli, dove convivevano menti come Michele Prisco, appunto, Domenico Rea, Luigi Compagnone, Raffaele La Capria, Mario Pomilio, grande amico di Prisco, Annamaria Ortese. Uno scrittore importante, che varrebbe la pena di ricordare più spesso e di rileggere, come ha scritto Silvio Perrella (ricorda Annella Prisco) nella bella e articolata introduzione alla ristampa di La Provincia addormentata (2005): «i libri di Prisco sono in attesa. Bisogna ricominciare a leggerli daccapo». Uno scrittore che, come Annella Prisco afferma, ma è un pensiero che condivido, meriterebbe gli venisse dedicata almeno la pubblicazione di un “Meridiano”.

Infine ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere Michele Prisco, di frequentare la sua casa e le sue figlie con amicizia, stima e affetto, nei ricordi indelebili c’è un giorno in cui mi capitò di osservare per un momento lo scrittore che sedeva alla sua scrivania nello studio, con il Vesuvio di fronte e una musica classica che aleggiava in toni bassi forse da un giradischi, una radio, la filodiffusione, nella concentrazione magica di un pomeriggio luminoso, e di una penna che con leggerezza volava sul foglio.

Perché, come Annella Prisco scrive nella “Ouverture” al suo libro, siamo «girasoli al vento, mossi dalla corrente delle incognite, del mutare repentino degli scenari, ma con la capacità di rivolgere, nonostante tutto, sempre lo sguardo verso il sole, verso un orizzonte vicino o lontano, ma comunque approdo accogliente per ognuno, nel perenne gioco delle parti, che è il divenire e il destino della storia dell’uomo».

Un libro da leggere, scritto con amore, con cura, che ci rammenta belle stagioni passate filtrate attraverso la quotidianità di un grande scrittore.

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