Andrea Carraro
Improvvisi

Apologia di Praz

Raffaele Manica rende omaggio a Mario Praz, anglista, critico erudito e lettore dalle sterminate curiosità. Ne è nato un saggio che sembra riflettere (alla perfezione) sulla forma-saggio

Caro Raffaele Manica, sono già alcuni giorni che ho finito di leggere il tuo Praz (Italosvevo) – e ci sto rimuginando su – come mi capita da qualche tempo con le mie letture, – avendone apprezzato il contenuto ma anche la grafica elegante, con le sue pagine ruvide di carta pregiata da segare con il taglierino ogni quinterno, quell’aria di cosa preziosa e “ben fatta”, rétro, particolarmente coerente con l’oggetto, direi, con l’anima dell’autore di cui parli.

L’ho letto come una monografia concentrata, ma densa di riferimenti, empatica (in qualche cosa vi somigliate), di un raffinato, coltissimo, erudito scrittore-saggista, di un grande anglista (fra i maggiori che abbiamo avuto), di un raffinato collezionista, di un grande “romanista” (fulminante quell’incipit di capitolo sulle varie accezioni nel Battaglia della parola “romanista”!), appunto Mario Praz.

Diversi e intrecciati fra loro, i talenti dello scrittore romano (Roma, 6 settembre 1896/23 marzo 1982): e tu sei stato bravo a abbracciarli in uno stesso ritratto, poliedrico, più critico che biografico, che ha sapore di verità. Mi piace del tuo saggismo – lo sai, te l’ho detto altre volte – soprattutto la sua vocazione divulgativa, spero non ti dispiaccia, che qui ho sentito molto. Che significa tante cose insieme: chiarezza nella scrittura, precisione nei riferimenti, capacità di sintesi, nessuna autoreferenzialità.

In questo tuo libriccino – che probabilmente sarebbe piaciuto all’autore – offri al lettore soprattutto una definizione affidabile, coerente, dello stile di Praz: così ricco di ascendenze (Cecchi, Lamb, Falqui, Vigolo, Pascarella ecc.), così speziato, così speciale nella sua combinazione di “miele” e “fiele”: partendo da una recensione negativa di Benedetto Croce, o dalla definizione della forma-saggio dello stesso Praz per una voce dell’Enciclopedia Italiana, come “composizione relativamente breve e di carattere spigliato che investe un soggetto, senza la pretesa di esaurirlo”; oppure ragionando sulle differenze nel resoconto di viaggio, in Penisola pentagonale, rispetto a Moravia (lui “indugiante su fatti di cultura” mentre l’autore degli Indifferenti più rapido, più reportagista)… Perfetta nella sua stringatezza (frutto certamente di tagli sapienti) l’analisi del suo capolavoro, del suo libro più famoso, non solo in Italia, più e più volte ristampato, ancora oggi sempre presente in libreria: La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930), nel quale il particolare stile erudito (collezionistico, talvolta estetizzante) di Praz (Edmund Wilson coniò, per definirlo, l’aggettivo prazzesco) trova forse la sua espressione più compiuta. Lo farei leggere, come exempla, in un corso di scrittura sulla “forma-saggio”, il tuo piccolo e prezioso Praz, per la sua “misura” soprattutto: per come asciughi, per come selezioni, per come sai eliminare l’inessenziale, per come strutturi il testo nei vari capitoli.

Facebooktwitterlinkedin