Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

Che razza d’America!

Il razzismo (con i neonazisti in piazza), un presidente sempre più sicuro delle sue menzogne, un popolo disposto a crederlo: la radici della democrazia traballano. Dai due lati dell'Oceano

A un anno dalla tragedia di Charlottesville, dove durante il raid del Ku Klux Klan una giovane che manifestava contro di loro fu uccisa da un neonazista che le andò addosso con la macchina, c’è stata una commemorazione ed è stato dichiarato lo stato di emergenza per paura di nuovi incidenti. Lo stesso gruppo estremista radicale ha manifestato a Washington forse come conseguenza del fatto che l’anno scorso il presidente Trump, distanziandosi da ambedue le formazioni che si fronteggiavano, come se fossero sullo stesso piano, affermò che anche tra i componenti del Ku Klux Klan c’erano delle brave persone. Dal giorno di quella manifestazione la piccola cittadine della Virginia che conta 45.000 abitanti e decine di migliaia che vivono nella contea di Albermale, è divenuta il simbolo di un trauma e di una ferita che difficilmente saranno rimarginati, come molti bianchi e neri ai microfoni di CNN hanno dichiarato. Per tutte queste persone che chiamano Charlottesville home, tutto ciò non è una semplice astrazione. È un momento di grande sofferenza. La cittadina è entrata nel panorama americano come simbolo di una vergogna razziale proprio nel cuore di un’America che da più di cinquant’anni ha varato il Civil Right Act cioè la legge sui diritti civili abolendo la segregazione per i neri.

Viene fatto di ripensare, e questo mi accade spesso negli ultimi tempi, a come ancora questi gravi episodi di intolleranza accadano troppo di frequente in un paese campione di democrazia e di libertà. Aggravati dal fatto che un presidente possa giustificare o condonare la violenza che scaturisce da tali eventi. E mi preoccupa inoltre come questi fatti si ripetano frequentemente anche in Europa dove dovrebbero esistere una memoria e una coscienza civile ancora più vivide dopo la magnitudine delle atrocità della seconda guerra mondiale. E dove invece episodi di razzismo e di discriminazione sono all’ordine del giorno. E qui entra in gioco il ruolo della democrazia in generale o meglio delle democrazie occidentali che sembrano essere in pericolo, minacciate alle proprie radici. Addirittura la modernità da cui il concetto di democrazia con tutti i suoi limiti, scaturisce, andrebbe rianalizzata e rivista sotto una nuova luce se ci si vuole sottrare alla barbarie che ci sta minacciando. E per non precipitare nel baratro dell’antimodernismo.

In un libro il cui titolo è già un manifesto Non siamo mai stati moderni, più di venti anni fa Bruno Latour filosofo e antropologo francese ci racconta come la modernità occidentale sia stata fondata su una discriminazione precisa tra naturale e artificiale, fondando sempre la forza sulla ragione e la ragione sulla forza. E trova nella caduta del muro di Berlino un evento epocale che ha cambiato le cose per sempre. «Solo le ricche democrazie occidentali – scrive – non riescono a vedere la perfetta simmetria che c’è tra l’abbattimento del muro della vergogna e la scomparsa della natura illimitata. In effetti i socialismi hanno distrutto i propri popoli e in qualche caso i propri paesaggi, distruggendo il resto del mondo e facendo piombare nella miseria le altre popolazioni. Tragedia duplice: gli ex-socialismi credono di poter eliminare le loro due sventure imitando l’Occidente; quest’ultimo crede di essere sfuggito a entrambe e di poter impartire lezioni, e intanto lascia morire la terra e gli umani. Crede di essere l’unico a possedere il sistema che permette di vincere indefinitamente, proprio quando forse ha perso tutto. Dopo questa deriva delle migliori intenzioni, parrebbe che noi, i moderni, abbiamo perduto un po’ della nostra sicurezza. Non si dovrebbe tentare di mettere fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Non si dovrebbe cercare di diventare signori e padroni della natura? Le nostre virtu’ più elevate erano state messe al servizio di questo duplice compito, sul versante della politica come su quello delle scienze e delle tecniche… In fin dei conti se non fossimo mai stati moderni quanto meno nel modo in cui ce lo racconta la critica, le relazioni tormentate che abbiamo intrattenuto con le altre nature-culture ne uscirebbero trasformate. Il relativismo, il dominio, l’imperialismo, la cattiva coscienza, il sincretismo troverebbero altre spiegazioni… Se la modernità è stata tanto efficiente nel suo duplice lavoro di separazione e di proliferazione, perché oggi si indebolisce al punto da impedirci di essere veramente moderni? …Diventerà necessaria un’altra democrazia? Una democrazia allargata alle cose? Troppe domande, lo so bene, per un saggio che non ha altre scusanti al di fuori della brevità. Nietzsche diceva che i grandi problemi sono come i bagni freddi: bisogna entrarci e uscirci in fretta».

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