Nicola Bottiglieri
Viaggio in Patagonia/2

Magellano e i ribelli

A San Julián, piena Patagonia, nell'aria c'è ancora l'eco dell'ammutinamento che nel 1520 poteva cambiare il corso della storia. Perché la storia, specie quella dei navigatori, può prendere una strada o un'altra per un nonnulla

Nella storia della “scoperta” del nuovo mondo vi sono state delle giornate nelle quali il destino del Continente è stato determinato da eventi casuali, senza i quali la storia dell’America sarebbe stata diversa. Tale fu la decisione di Cristoforo Colombo di seguire uno stormo di uccelli il 9 ottobre del 1492 e di abbandonare la rotta seguita fin dalla partenza, ossia tutta a Ovest, deviazione che lo portò alle isole dei Caraibi. Prese questa decisione su pressione dei marinai oramai esausti, che sapevano per esperienza che gli uccelli dirigono sempre verso terra. Se avesse continuato nella direzione ovest sarebbe arrivato nel continente (ossia nella Florida degli Stati Uniti) e la storia sarebbe cambiata. Lo stesso successe a Cortés che nel 1516 aveva trovato sulle coste dello Yucatan un soldato spagnolo Aguilar, naufragato anni prima, il quale aveva imparato le lingue locali, e attraverso un secondo traduttore la Malinche, riuscì a comunicare con Montezuma. Una catena di traduttori che giocarono tutto a favore degli spagnoli contro lo stupefatto signore degli Aztechi. Una situazione ancora più drammatica e decisiva si verificò nella baia di San Julian, quando la flotta di Magellano si fermò per riprendersi dalla lotta contro una furiosa tempesta e tutti decisero di aspettare lì la primavera patagonica. Le navi avevano lasciato Puerto Deseado alla fine di febbraio 1520 ed erano arrivate a San Julián il 31 marzo, giorno di San Giuliano, percorrendo un lungo tratto di costa di circa 200 chilometri, a 49°. Qui restarono cinque mesi duranti i quali accaddero eventi drammatici.

Sono stato quattro giorni a San Julián che ha circa 10 mila abitanti. Pura Patagonia, fredda, fuori dal mondo, ma che paga l’albergo all’ospite straniero. Questi luoghi di transito vedono sfilare davanti agli occhi la storia grande, senza parteciparvi del tutto. Una storia europea comunque, non americana, perché qui si sono fermati Magellano, il pirata Francis Drake e poi la nave Beagle che aveva a bordo Charles Darwin e molti altri ancora, tutti diretti allo stretto, a Capo Horn oppure al Polo Sud. La storia vera del paese inizia alla fine dell’Ottocento, quando i salesiani vi impiantano una scuola, aperta fino ad oggi.

L’emozione di trovarsi nel luogo dove nacque un mito che ha attraversato tutta la filosofia dell’età moderna è stato forte. Il mito era quello dei giganti patagones, uomini fuori del tempo, i cui antenati furono visti nella Bibbia. Dal che si dedusse che quella terra fosse una enclave del tempo, un frammento della preistoria, rimasto intatto a causa della lontananza.

Ad un certo punto ho pensato che quella baia era simile all’isola di San Salvador trovata da Colombo. Questi, nella piccola isola dei Caraibi ebbe il primo incontro con gli indios americani, Magellano ebbe un incontro con gli indios patagones, scoprendo i misteri della parte meridionale del nuovo mondo. Qui, oltre il mito dei giganti, nacque quello della meravigliosa città dei Cesari, una utopia coltivata fino al XIX secolo. Inoltre, questa geografia smisurata alimentò i racconti degli animali preistorici sopravvissuti all’estinzione nelle desolate planizie della fine del mondo.

Che cosa successe di drammatico a San Julián? Ci fu un ammutinamento, perché tre delle cinque navi si ribellarono al loro capitano. Ragioni per ribellarsi ne avevano. Stavano navigando alla cieca, avevano lasciato la Spagna da dieci mesi senza costrutto, l’inverno era rigidissimo, il cibo scarseggiava ma, soprattutto, Magellano non comunicava le intenzioni e le forme del suo navigare.

E a questo punto egli da solo riescì a capovolgere la situazione e a riprendere possesso di tutte le imbarcazioni. Risultato? Due ufficiali del re uccisi e squartati alla presenza dei marinai, due lasciati vivi, ma abbandonati sulla spiaggia desolata. La forca che Magellano aveva eretto restò a lungo come triste memoria della vicenda, cinquanta anni dopo fu usata di nuovo da Francis Drake per impiccare un suo ufficiale ribelle.

Frammenti di tragedie, frammenti di eroismi alla fine dl mondo.

Con un gommone della Armada Argentina sono andato a fare un sopralluogo sulla Isla de la Justicia sperando di vedere qualche traccia di quegli eventi, ma il vento ha spazzato via tutto, mentre i ladri hanno portato via una targa eretta a ricordo di quella storia esemplare. Con il gommone, inoltre, siamo poi usciti fuori dalla baia, in pieno oceano, per arrivare alla spiaggia Pigafetta, sulla quale non vi era assolutamente nulla, pura sabbia salmastra e ferrosa sulla quale moltitudini di uccelli si chiedevano chi mai fosse questo Pigafetta, un marinaio venuto da lontano.

Mentre la mia schiena veniva sollecitata dagli sbalzi del gommone, pensavo alla flotta che alla fine dell’agosto 1520 decise di andare ancora più a Sud. Avevano dei cadaveri alle spalle e la prospettiva di un disastro davanti. Dove era questo stretto? E dopo averlo trovato, quanto era grande il mare che li divideva dalle isole delle spezie (ossia le Molucche)? E il capitano generale sapeva davvero quale fosse la rotta? Chi era quell’uomo che stava sfidando tutto, il re, la geografia, la fortuna, forse lo stesso volere di Dio. Perché, come ricorda Anita Seppilli in un suo famoso libro Sacrilegio dei ponti, l’uomo non può violare impunemente quello che la natura ha diviso. Magellano voleva riunire l’Oriente con l’Occidente, l’Oceano Atlantico con l’Oceano Pacifico per la prima volta nella storia del mondo e questo era davvero un gesto sacrilego, che egli pagò con la morte.

Di lì a poco, una nave farà naufragio a Puerto Santa Cruz, la Santiago, e appena trovato lo stretto, la San Antonio abbandona la flotta e ritorna indietro.

Molte altre cose bisognerebbe dire sulla sosta di cinque mesi nella baia di San Julián, io però penso all’estrema solitudine di Magellano che da solo riesce a prevalere sull’ammutinamento e, sotto un cielo pieno di stelle misteriose, riprendere la ricerca verso sud, confidando solo in se stesso e nei suoi sogni deliranti. Di cinque navi allestite alla partenza, ritornò indietro una sola, dei 250 marinai vivi a Siviglia, ne restarono in piedi appena 18, uno di essi il nostro cronista Antonio Pigafetta.

Comunque, se Magellano non avesse domato l’ammutinamento, le navi sarebbero tornate indietro e la storia della fine del mondo sarebbe stata diversa.

A Puerto Santa Cruz, arrivarono il 14 settembre, 200 chilometri più a sud di San Julián. Qui aveva fatto naufragio la Santiago e qui ancora oggi vi sono i resti dell’unica nave della spedizione di Magellano di cui si ha notizia certa. Qui inoltre nel 1834 fu tirata in secco sulle sponde del Rio Santa Cruz la nave Beagle sulla quale vi era Charles Darwin, per riparare una avaria alla chiglia. Il luogo si chiama oggi Punta Quilla.

In questo piccolo angolo di mondo, dove sono stato alcuni giorni, in un albergo che negli anni venti del ‘900 fu carcere per i gauchos de la Patagonia tragica, ho trovato un italiano della Sardegna finito lì per amore. Proprio così, per amore.

Mi ha raccontato che dopo un incidente di lavoro nel quale aveva perso le dita di una mano, fu licenziato e abbandonato a se stesso. Ma a 30 anni si può sognare ancora il futuro, perciò rispolverò un vecchio sogno del padre che non era riuscito a realizzare: andare in Argentina. Quindi, usando Skipe, cominciò da solo a imparare lo spagnolo e scelse, fra una lista di numerosi contatti, una ragazza di Santa Cruz con la quale scambiare i messaggi. La pratica della lingua portò alla conoscenza reciproca e lo scambio delle foto fece nascere l’amore. Il quale vive e prospera alle foce di un fiume misterioso e pieno di ottimo pesce che però i gauchos argentini fanno cuocere come se fosse un pezzo di carne. Detto per inciso, non è difficile trovare nei ristoranti argentini una bistecca cosparsa di gorgonzola oppure una milanese fatta “alla napoletana”.

Al di là dei miti e delle fantasie culinarie, la presenza italiana è determinata ancora dalle suore salesiane, le quali – quasi tutte italiane, appunto – mantengono in piedi collegi con migliaia di studenti e fanno onore al nostro paese usando spesso la lingua di Dante, dando lezioni di geografia e parlando molto di don Bosco. L’unico italiano più conosciuto nel mondo. Infatti nel 2015, nei duecento anni dalla nascita, le sue reliquie furono portate in 120 paesi del mondo.

Tracce di Italia vi sono anche nella Chiesa Esaltazione della santa Croce, l’orologio del campanile fu fatto venire dall’Italia nel 1934. Costruito dalla famiglia Bergallo, artigiani liguri di Tovo San Giacomo, è ancora funzionante. Il sindaco due anni fa si è messo sulle tracce dell’orologio per vedere se esisteva ancora ed ha scoperto che aveva solo bisogno di un po’ di olio e di essere messo a punto di qualche secondo dopo più di 80 anni di onorato servizio. Su questo episodio è stato fatto un documentario ideato da Alessandro Beltrame con l’aiuto del ricercatore Giorgio Bonfiglio.

Quando all’alba lascio Puerto santa Cruz per arrivare sull’autostrada che mi porterà a Rio Gallegos, mi sento come un cane della Patagonia, i quali girano tutto il giorno in cerca di qualche osso, pronti ad accucciarsi dietro un uscio, un tappeto, una casa ed aspettare che il padrone gli dia una carezza, un racconto, una speranza. Il mondo è grande e lascia piccole tracce di quanto è passato su di sé.

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2. Continua.

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