Danilo Maestosi
All'Accademia di Belle Arti di Roma

Le vibrazioni di Wang

Alla scoperta di Wang Yancheng, artista cinese trapiantato a Parigi che mette in relazione Monet e la tradizione orientale, sempre trovando una misura spirituale del tutto personale

Vale davvero doppio la mostra appena inaugurata nella sede dell’Accademia di Belle Arti di Roma in via Ripetta. Perché sigilla con un timbro di qualità l’avvio di un nuovo filone dedicato all’attività espositiva e riservato ad autori del panorama internazionale e italiano che l’Accademia, sotto la direzione di Tiziana D’Acchille, ha deciso di affiancare alla sua tradizionale attività didattica, restaurando a questo scopo una fascinosa sala al pianterreno che prende il nome da un gigantesco calco in gesso della Statua equestre di Bartolomeo Colleoni. L’antico che dialoga con il nuovo. Una cornice che è già un manifesto d’intenti, e continuerà a funzionare con un mirato programma di personali e collettive, promosse da Gabriele Simongini e atri docenti dell’Accademia, in collaborazione con istituzioni straniere.

Il secondo merito di questa mostra, realizzata con un associazione che organizza e rappresenta gli artisti cinesi in Italia, è però soprattutto quello di offrire ai visitatori (l’ingresso è libero) l’occasione di un contatto ravvicinato con un autore di alto profilo sconosciuto al pubblico italiano: Wang Yancheng, 48 anni, cinese trapiantato a Parigi dove la sua carriera è decollata e ha raggiunto un notevole successo. Di fatto una sorta di doppia nazionalità che dà un’impronta inconfondibile e singolare alle sue opere, e in particolare agli ultimi recentissimi lavori, scelti ed esposti per l’occasione.

Wang Yancheng continua consapevolmente ad operare nel solco della pittura cinese di tradizione. Orientale è la sua attenzione per la Natura e il paesaggio come un assoluto che rispecchia l’essenza stessa dell’umanità e il senso più profondo della vita. Orientale è il suo immergersi nella visione con uno sguardo orizzontale che rinuncia a ogni artificio prospettico e a una profondità simulata, ma non a far convergere in uno stesso spazio punti di vista e stati d’animo diversi. Orientale il suo modo di tradurre in armonia anche la disarmonia, la convivenza di colori dissonanti.

Poi, certo, a suggerirgli altre direzioni c’è il lungo soggiorno a Parigi e in Europa. La seduzione che esercita su di lui la pittura di Monet. E in particolare il ciclo di capolavori delle Ninfee, quell’inseguire il mutare della luce in ogni dettaglio e in ogni istante. Echi forti che è facile riscoprire in molte delle tele qui esposte. E in particolare nelle due che aprono il percorso. Con quei colori liquidi, disciolti che ti restituiscono lo scorrere inafferrabile dell’acqua. Ma giustamente Gabriele Simongini, nel breve saggio introduttivo in catalogo, coglie vibrazioni più secche, atonali, sfocature segni e tagli che rimandano all’astrazione di Gerhard Richter. La miscela è però originale. Ad avvicinare lo sguardo, vieni catturato dalla pelle della pittura che scava rilievi sulla tela, la increspa in bolle e sbalzi di piani che imprigionano gli smalti. Allontanandolo, invece, precipiti in un paesaggio organico che a volte lascia intravedere le forme di una città, a volte ti fa rimbalzare da un punto all’altro, attraverso varchi , fasce di colori , colature, bagliori improvvisi.

Difficile dire se questo è un punto d’arrivo o solo una fase di passaggio. In alcune tele, sulla parete destra, la stesura del colore più piatta e sfumata e le campiture meno frastagliate sembrano indicare un bisogno di sintesi e una ricerca di intensità spirituale più intensi che si proiettano al futuro. Wang Yancheng è insomma un artista che promette nuovi stupori.

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