Giuliano Compagno
Del vivere e del recitare

Un’educazione teatrale

Shakespeare, Rudolf Steiner e il viaggio verso la vita compiuto attraverso il teatro: riflessioni intorno a uno spettacolo di attori giovanissimi. Di una scuola steineriana, ovviamente...

Nel definire un certo autore “prolifico”, si dà spesso l’impressione di mettere in guardia i lettori dagli effetti eccedenti il suo pensiero. Come se vi fosse qualcosa di troppo, una sorta di obiettiva difficoltà a terminare un’indagine per via di un bisogno, comprensibile e comune, di dedicarsi anche ad altro, di muovere sguardi e pensieri verso differenti orizzonti. Tuttavia, paradossalmente questo peso non si avverte allorché ci si imbatta in Rudolf Steiner, giacché al di qua della sua opera ponderosa restano molti lasciti concreti, per esempio nelle scuole, nelle istituzioni internazionali, nelle iniziative di solidarietà sociale e in numerosi altri campi di applicazione che la sua antroposofia avrebbe generato dopo la sua scomparsa.

Nel recensire il volume di Monica Cristini su Rudolf Steiner e il Teatro. Euritmia: una via antroposofica alla scena contemporanea, Alessandro Martini coglie la centralità di un’arte di movenza grazie alla quale verrebbe a crearsi una relazione tra la dinamica interiore e quella esteriore del soggetto che si rappresenta, con ciò affiorando i corpi sottili e trasparenti dell’Uomo. Tale fenomeno non ha nulla a che vedere con il teatro-danza, poiché il rapporto tra parola, emozione e corpo rigenera una dimensione empatetica del mettersi in scena, con le conseguenze pedagogiche e terapeutiche che si vogliano immaginare. E se con ciò si combinassero le conoscenze poetiche e critiche di Steiner, andrebbe da sé attribuirgli qualche merito per le postume applicazioni di Gentian Stanislavskij (psicotecnica, mondi interiori di personaggi e interpreti…) e di Jacques Copeau (l’esperienza teatrale della collettività).

E allora, con molta curiosità, ho speso un mezzo pomeriggio festivo in un piccolo teatro del quartiere “Città Giardino” per andarmi a gustare A piacer vostro, messo in scena, a chiusura del ciclo scolastico, dall’Ottava classe (leggasi terza media) della scuola steineriana di Roma “Arco d’Oro”.

Dapprincipio mi sono chiesto il perché di quella scelta: una commedia fintamente leggera di cui, tanto per aiutare il lettore, è bene accennare la trama. Tutto nasce dall’usurpazione di un ducato da parte del solito fratello minore senza scrupoli: Federigo. La figlia del duca legittimo si chiama Rosalinda ed è la migliore amica – oltre che cugina – di Celia, figlia di Federigo. Poi c’è Orlando, innamorato di Rosalinda e perseguitato dal fratello maggiore Oliviero, tanto che la ragazza viene bandita da corte e fugge, travestita da uomo, insieme all’amica del cuore e a un buffone di corte (Paragone). Le due cambieranno i loro connotati in Ganimede e Aliena.

Giunti nella foresta di Arden, esilio del Duca e dei suoi fedelissimi, le fuggiasche incontrano un pastore male in arnese di nome Corino, che vende loro la sua capanna. Quanto ai due cuori, essi battono sempre, l’un per l’altra, nei petti di Rosalinda e di Orlando, il quale stravede al punto di affiggere sui tronchi d’albero poesie d’amore a lei indirizzate (specie pioniera di madonnaro innamorato). Commossa, ella lo incontra in vesti maschili e gli dice che simulerà di essere Rosalinda per fungere da suo consigliere sentimentale (insomma, in un comico delirio di dissimulazione, i due reciteranno la parte di loro medesimi). Attorno a quest’asse narrativa ruoteranno altri personaggi: la capraia Audrey, la pastorella Febe, il menestrello Amiens, il Notaio Oliviero Sciupatesti, il Conte Le Beau, il lottatore Charles, il pastore Silvio e il Dio Imene… lungo un girovagare di fatti e di equivoci che condurranno a quattro matrimoni in simultanea, con annessi il pentimento e la redenzione dell’usurpatore al ducato.

E tutti vissero come vorremmo che fosse. Oppure, come avrebbe detto Longanesi: “E vissero infelici perché costava meno!”.

Ma soprattutto nessuno dimentichi che “ […] il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti.”

Per la pedagogia steineriana, fare teatro significa affrontare un viaggio. Si parte insieme e nessuno perde contatto con il resto della compagnia (mai denominazione risulterà più adeguata). Quello dei giovani allievi è infatti un progressivo attraversamento degli stati interiori, dalla terza infanzia all’adolescenza, allorché i paesaggi percepiti vanno mutando e le emozioni si susseguono, tra incertezza e coraggio, amore e ostilità, lucidità e abbandono. E il terminale di questo tragitto, l’ultima classe guidata da Giovanna Moscetti, maestra di sensibile cultura, arriva a compierlo nella foresta di Arden, luogo di transito verso quel mondo complesso che, in fondo, Shakespeare aveva ripreso da un’immagine stoica, secondo cui ha senso assolvere con grande partecipazione ai ruoli che recitiamo tenendo presente che la vita potrà consegnarci il compito di incarnare personaggi ancora diversi, se non del tutto opposti a quelli impersonati precedentemente. Perché la vita e il teatro questo sono: scene che cambiano e che siamo chiamati ad abitare con una inesausta capacità di adattamento, come i Pulcinella del dipinto di Giandomenico Tiepolo, insieme carnefici e spettatori della loro stessa pubblica esecuzione. E tali filosofie dell’esistenza non è stato difficile vederle riflesse nel movimento e nell’eloquio di questi undici attori, diretti con gusto da Isabella Foschini e da Elenuccia Cervati. Perché non si trattava di tecnica, né di scuola di recitazione, bensì di una materialità fissata nelle parole e nei gesti di ragazzi che da tempo hanno trovato dove albergasse il loro spirito. Ma non se la sono tirata più di tanto. No. Hanno raccontato una commedia malinconica e inventata, hanno cantato l’amore e la virtù in quello spazio, a loro sconosciuto, che sarebbe il metateatro. Poi, la sera di fine repliche, sono andati da “Butcher House” a mangiare hamburger e patatine, in una foresta mentale piena di sorrisi e di pensieri tutti loro. Si chiamano Lucia Amantea, Alice Belardinelli, Giulia Gallotti, Livia Giorgini, Zeno Attanasio, Jacopo Damiani, Pietro Foschi, Davide Grillo, Flavio Lanza, Samuele Canella, Giada Veri.

E sono bravissimi.

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