Delia Morea
A proposito di "Morfisa o l’acqua che dorme”

Le magie di Morfisa

Antonella Cilento racconta una vicenda magica e visionaria nella Napoli bizantina, che mescola illusioni passate e fobie del presente: «La natura delle storie è mutare sempre, svanire, rinascere»

Morfisa o l’acqua che dorme (Mondadori), di Antonella Cilento, di recentissima uscita, è un romanzo esemplare e straordinario, perché mette in campo un caleidoscopio di pulsioni ed è, a mio avviso, tra l’altro, una emozionante parabola sul grande mistero che risiede nell’arte del raccontare storie, ma non solo questo.

Antonella Cilento è maestra nel narrare e lo dimostra una volta di più con questo romanzo che si accende di storie, appunto, di personaggi, conducendo il lettore in un lungo viaggio attraverso secoli, tradizioni, ma anche magie, miti, favole, in una parola trasportandolo in un mondo lontano, talvolta arcano, fino alla contemporaneità, dove Napoli, città dalle mille lingue e mille fascini, si specchia in una storia che racconta della magia delle sue radici.

Una trama avvincente, complessa che parte dalla Napoli dell’anno Mille, una città ducale, indipendente, non soggiogata da dominazioni, come invece accadrà nel corso dei secolo successivi. «Il desiderio di ambientare un romanzo nell’unica epoca in cui Napoli non fu asservita a nessun conquistatore – spiega Antonella Cilento – ovvero durante il ducato, detto bizantino ma di fatto indipendente, era un mio antico sogno».

Teofanés Arghili, poeta bizantino con grandi velleità ma poca sostanza di scrittura – si limita a copiare le storie degli scrittori classici – è inviato a Napoli dalle imperatrici di Bisanzo per una missione diplomatica: condurre in sposa la figlia del Duca di Napoli a Costantinopoli. Purtroppo è coinvolto in un fatto macabro: la testa mozzata della sposa viene ritrovata nella rete di un pescatore. Così Teofanés si ritrova a fare i conti con una città dall’animo pagano e magico, dove le donne hanno molta voce in capitolo, infatti convivono due grandi partiti femminili: le devote a San Gennaro e quelle a Virgilio mago.

Insieme a loro, a Napoli ci sono i Normanni che sognano di conquistarla, i Salernitani che ambiscono alla supremazia, ancora qualche Longobardo, i Mori che, come una minaccia, dalle coste siciliane risalgono il Tirreno. Ma soprattutto ci sono monache che volano, badesse che rimpiccioliscono uomini e donne, li rinchiudono in bottiglie fino a farli morire, asceti miracolosi, uomini di potere corrotti, miriadi di bambini e tanto altro campionario umano che fluisce dalla penna della Cilento, in un crescendo di volti e voci, linguaggi gergali e barocchi, uno straordinario coro polifonico che fa da corona al romanzo. Su tutti ecco presentarsi Morfisa, figlia del duca di Napoli, ragazza mora (si scoprirà che la defunta madre l’ha avuta proprio con il capo dei Mori) con i moncherini al posto dei piedi.

Morfisa, ragazza magica che può trasformarsi in aquila, in balena o in una atleta velocista, Morfisa che è donna miracolosa e protegge la città, soprattutto perché è depositaria dell’anima di Napoli:l’uovo del poeta latino Virgilio, che soggiornò per molto tempo a Napoli, dove c’è la sua tomba, benefattore del popolo che lo appellava mago o san Virgilio. Questo uovo magico, dice la leggenda, è sepolto in un anfratto nascosto e sconosciuto di Castel dell’Ovo, e se dovesse rompersi la città perirebbe.

Antonella Cilento, ispirandosi appunto alla famosa leggenda, consegna nelle mani di Morfisa, il mitico uovo dai poteri magici che ha una particolarità: contiene in sé mille storie, quelle già raccontate e quelle che verranno raccontate nel corso dei secoli, ad esempio da scrittori come Shakespeare, Stevenson, Goethe, Bulgakov, e tanti altri. La stessa Morfisa, inoltre, è depositaria di storie che come la Sherazade delle Mille e una Notte, inventa e sa raccontare. Tutto ciò incanta ed è molto appetibile per un poeta mediocre e poco credibile come Teofanés che in tutti i modi cercherà di appropriarsi dell’uovo, illudendosi di trarre da tale magia la propria ispirazione. Riuscirà a trafugarlo e inseguito da Morfisa, viaggerà nei secoli sperando di avere quella fama di scrittore a cui tanto ambisce.

In questo viaggio emozionante – Teofanés incontrerà persino Chrétien de Troyes, il cantore del ciclo arturiano, la regina Giovanna d’Angiò e altri personaggi – entra in campo l’altro elemento fondamentale di questo rutilante romanzo che è l’acqua. L’acqua ospita Morfisa quando diventa balena, l’acqua è il veicolo che aiuterà i protagonisti in questo lungo viaggio: basterà tuffarsi anche un barile che contiene dell’acqua dalla superficie perlacea e magica, o in una semplice pozzanghera, per raggiungere i secoli a venire. O l’acqua che dorme, attraverso la quale si può consultare il presente. il passato, o il futuro, presaga di vita e di morte. L’acqua che rappresenta il mare di Napoli, elemento essenziale e connaturato con la vita stessa del popolo.

Usando un linguaggio magistrale, avvolgente e fluente, ricco di termini ed espressioni vivaci, dove la lingua napoletana fiorisce ogni tanto come un virgulto autorevole e s’innesta con parole dalla radice greca e bizantina, Antonella Cilento scrive un romanzo potente, di grande epicità, dove si ritrova l’origine del narrare: la favola, il mito, il cunto, perché: «la natura delle storie è mutare sempre, svanire, rinascere».

Napoli è l’altra grande protagonista: la città, le sue strade antiche, le chiese costruite sui templi pagani – descritte della Cilento con sorprendente veridicità – il suo immutato fascino passano, nonostante tutto, indenni attraverso i secoli e le dominazioni, le calamità come la seicentesca peste, il colera del 1973 o il terremoto del 1980.

Antonella Cilento che proprio quest’anno ha festeggiato a Napoli i 25 anni del laboratorio di scrittura creativa “La Linea Scritta”, di cui è fondatrice, insegnante, ispiratrice e organizzatrice di interessanti eventi come “Strane Coppie”, si conferma importante voce del panorama letterario italiano e con questo romanzo, il cui altro pregio è la grande cultura, arriva ai vertici della sua poetica narrativa. Da leggere.

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Accanto al titolo: William Turner, “Napoli”, 1819.

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