Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

La scala a chiocciola

A Roma e dintorni sono quattro gli esemplari imperdibili di questo misterioso e funzionale elemento architettonico: quello di Bramante in Vaticano, del Vignola a Caprarola, del Mascherino al Quirinale e di Borromini a Palazzo Barberini. Da vedere

Il ritorno, dopo molti anni, al Palazzo Farnese di Caprarola riaccende lo stupore per un edificio che non comunica soltanto bellezza ma scienza e filosofia, nel ciclo degli affreschi manieristi ispirati da intellettuali come Annibal Caro e nei concetti nascosti all’interno delle soluzioni architettoniche ideate dal Vignola. Il fascino della dimora del cardinal Farnese è nella sua “doppiezza”: arcigno e imponente da un lato, perché memore delle origini militaresche, leggiadro e miniaturistico dall’altro, ad assecondare la trasformazione in dimora per lo svago e la caccia. Due facce che si riassumono icasticamente nella Scala Regia (foto sotto): quella chiocciola che lievita fino al trionfo colorato della cupola genera un capogiro di sentimenti: chi sale si sente librare come un uccello o schiacciare come un serpente.

È sempre così davanti a quelle invenzioni rinascimentali “superstar” che sono le scale elicoidali. Esaltazione e turbamento prova chi mette un piede dietro l’altro sui gradini. Non per niente “la scala a chiocciola” è un topos del cinema giallo, a partire dalla pellicola omonima di Robert Sidmak uscita nel 1946 e fino al remake del 2000, un film tv diretto da James Head.

Ma se a Caprarola predomina una sindrome di Stendhal euforica ascendendo tra la luminosità degli affreschi e i giochi di luce delle colonne doriche binate, altrove ha la meglio il rovello della mente, assorbita dal “risucchio” della spirale. Nella Capitale ci sono almeno altre tre “gemelle” di quella costruita per il cardinal Farnese, che ha gradoni non troppo alti e inclinati in avanti in modo da consentire al porporato di arrivare in groppa al suo cavallo dal piano terra alla camera da letto al secondo livello dell’edificio. E infatti il Vignola trasse ispirazione dalla scala elicoidale realizzata dal marchigiano Donato Bramante per il Papa. Siamo a inizio Cinquecento, l’architetto lavora in Vaticano, nel cortile del Belvedere realizzato per collegare l’appartamento Borgia con la villa di Innocenzo VIII a nord del palazzo pontificio. La “scala a lumaca” si sviluppa in rampe che si avvolgono attorno a un cilindro con una tromba circolare al centro. Ma essa è nascosta all’interno di una torre rettangolare, cosicché il visitatore non immagina quale meraviglia contenga. Ogni spirale ha otto colonne di granito grigio, con capitelli di ordine differente a ogni piano e fusto che diminuisce di spessore man mano che si sale: sicché le colonne alla base sono massicce il doppio rispetto a quelle dell’ultimo giro.

Il Vignola di Caprarola suggestiona a sua volta, nella seconda metà del XVI secolo, il bolognese Ottaviano Mascherino nella ideazione della scala elicoidale nell’ala più antica del Palazzo del Quirinale, quella abitata da Gregorio XIII. La pianta ellittica come il lucernario, le coppie di colonne in travertino, il sinuoso andamento delle rampe dalle cantine al sottotetto creano effetti suggestivi ma meno ariosi: una penombra che vira in chiaroscuro e solletica la mente in un esercizio introspettivo. Altra cosa sarà lo scalone d’onore di Flaminio Porzio, realizzato nel Seicento in occasione dell’ampliamento del Quirinale e inteso come accesso alle sale di rappresentanza. La “chiocciola” del Mascherino conserverà allora una funzione “privata” consentendo l’ingresso alle stanze residenziali del Pontefice.

Nel secolo del barocco i gradini a ellissi esprimono l’esprit che insegue la “maraviglia”. Ecco allora l’eccentrico Francesco Borromini esercitarsi da par suo sul tema in Palazzo Barberini. Anche in questo caso la scala (nella foto) conduce agli appartamenti privati del cardinale Francesco Barberini. La pianta ovale però si esaspera a causa di uno schiacciamento in senso longitudinale. Dodici colonne doriche binate, come a Caprarola, per ogni “girata”. E su ogni capitello il decoro con piccole api, simbolo araldico della famiglia. La luce discende dall’oculo in cima e dalle finestre della facciata. Un modello codificato dai trattati del ‘500, del Vignola appunto, poi di Sebastiano Serlio e Andrea Palladio. Quest’ultimo cristallizza le scale a chiocciola in due tipologie pianta tonda o ovata: «alcuna uolta con la colonna nel mezo, et alcuna uolta uacue, ne i luoghi stretti massimamente si usano: perché occupano manco luogo, che le diritte: ma sono alquanto più difficili da salire. Benissimo riescono quelle, che nel mezo sono vacue: percioché ponno auere il lume dal di sopra: e quelli, che sono al sommo della Scala; ueggono tutti quelli, che saliscono, o cominciano a salire: e similmente sono da questi ueduti. […] Le ouate ancor esse uanno diuise al medesimo modo che le ritonde. Sono molto gratiose, e belle da uedere: perché tutte le finestre, e porte uengono per testa dell’ouato, et in mezo, e sono assai commode. Io ne ho fatto vna vacua nel mezo nel Monasterio della Carità in Venetia: la quale riesce mirabilmente».

È l’incoronazione di un elemento architettonico affascinante – ha saputo scrivere indimenticabili pagine artistiche – e insieme funzionale agli spazi ridotti. Sicché terrà banco fino alla contemporaneità. E fino a fare da sfondo, con l’ossessivo andamento, ai thriller in celluloide o in carta stampata.

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