Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Grandezza di Gatto

Il nome del poeta salernitano non compare nel gotha dei poeti della sua generazione, come Luzi, Caproni, Bertolucci, Sereni. Eppure è uno dei massimi del Novecento. Nei suoi versi ermetismo magico, chiarezza cantata, dolore e incanto...

Nato nel 1909, Alfonso Gatto è più giovane dei Montale e Ungaretti, appartiene alla generazione dei Luzi e Caproni: questa minima considerazione anagrafica per domandarmi come nel gotha della grandissima poesia italiana di quelle generazioni, accanto a i nomi citati, a quelli di Caproni e Bertolucci, di Sereni, il nome di Alfonso Gatto non compaia. Intendo non compaia come quello di uno dei massimi poeti italiani del Novecento. Ermetismo magico, il suo, nel senso che la chiarezza cantata, da melodia marina notturna dei suoi versi, cela enigmi inafferrabili che solo la musica fa brillare.
In questa lirica, tratta da Poesie d’amore, dolore e incanto si fondono mirabilmente: la solitudine acuita dalla presenza dell’amata, l’amore rende soli come sassi, la vela bianca che parte, il faro – il faro Ero e Leandro, immaginiamo, quello di un amore difficile da raggiungere traversando a nuoto il mare – e il fuoco, nella notte mediterranea: «la brace rossa della sigaretta».
Vita, dolore, amore, incanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Queste sere deserte

A vivere di me, con me non passi

queste sere deserte, resto solo,

solo col mio silenzio dopo i sassi.

Così, col mare tra le braccia, il molo

 

ha la sua bianca vela che gli parte,

gli torna, e più non sa se il lungo amore

è l’ansia di proteggerla in disparte

o di perderla dentro il proprio cuore.

 

Ti dò la giovinezza che tu credi

di portarmi ogni volta, per la stretta

del faro salgo a chiedere se vedi

la brace rossa della sigaretta.

Alfonso Gatto

(Da Gatto. Poesie, a cura di Francesco Napoli, Jaca Book 1998)

 

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