Lidia Lombardi
Gli Usa in “The Post” e “The shape of water”

Segreti e bugie

Sono in qualche modo complementari il nuovo film di Spielberg e quello di Del Toro, prossimamente sui nostri schermi. Raccontano due epoche diverse, ma tutti e due descrivono un’America schierata contro libertà e diversità. Ieri e anche oggi…

La stagione invernale porta sui nostri schermi due film, acclamati dalla critica e amati dal pubblico nei Paesi dove sono già usciti, diversissimi tra loro per stile e tema, ma con una sottile serie di analogie. Due pellicole di grande spessore, diciamo subito. Uno è The Post, in sala dal 1° febbraio, che riunisce tre nomi di culto: Steven Spielberg alla regia, Meryl Streep e Tom Hanks davanti alla macchina da presa. L’altro, che verrà proiettato a partire dal 14 febbraio, è The shape of water, ovvero “La forma dell’acqua”, titolo che curiosamente da noi rimanda subito a uno dei primi gialli di Andrea Camilleri ma che con l’autore siciliano nulla ha a che vedere. Si tratta invece della pellicola che ha vinto il Leone d’oro per il miglior film alla Mostra del Cinema di Venezia 2017 e che ha appena incassato 13 nomination agli Oscar, firmato dal poliedrico e sempre sorprendente Guillermo Del Toro. Opere entrambe viste in anteprima da Succedeoggi, che perciò azzarda il ragionamento accennato in apertura.

Dunque, parliamo di due lavori prodotti negli Stati Uniti, e questo è il primo link che li collega. Entrambi ambientati nel Paese delle stelle e strisce. E che parlano di un’America indietro nel tempo, situandosi The Post nel 1971, allorché alla Casa Bianca sedeva Nixon, mentre il film di Del Toro arretra ancora di più, dieci anni circa, allorché gli States gareggiavano con l’Urss per la conquista dello spazio e la Guerra Fredda incombeva assai plumbea.

Detto ciò, lo sguardo al passato prossimo non potrebbe essere allungato nel modo più differente: realismo, ritmo serrato, precisa documentazione, storia vera nel lavoro di Spielberg; clima trasognato, tra favola, fantasy e fantascienza, in quello del cineasta messicano. Ed ecco i plot, in questa che non vuole essere una vera e propria recensione (è buona regola – alla quale si atteneva sempre il decano dei critici cinematografici Gian Luigi Rondi – attendere che gli spettatori italiani possano vedere i film dei quali si tratta, per farsi una propria autonoma idea e semmai confrontarla con quanto scritto sui media, anche se ormai i social anticipano e dibattono di tutto, accorciando le distanze spazio-temporali).

The Post racconta la vicenda dei Pentagon Papers, ovvero i documenti riservati relativi a uno studio promosso dal senatore McNamara, segretario della Difesa durante le amministrazioni di J.F. Kennedy e Lyndon Johnson. In queste carte veniva analizzata la politica estera Usa a partire dalla fine degli anni Quaranta. E ne risultava una ininterrotta serie di mistificazioni e bugie propinate all’opinione pubblica, specie poi durante la guerra in Vietnam, che il Pentagono sapeva di non riuscire a vincere ma che continuava a condurre, per mantenere il proprio carisma mondiale e senza curarsi delle migliaia di giovani mandati a morire tra le paludi dell’Est del mondo. Accade però che un po’ di quei documenti arrivino nella redazione del New York Times, che ovviamente agguanta lo scoop e li pubblica. Ne deriva lo scorno del The Washington Post, ai tempi foglio di secondo piano, anche nei confronti dell’altro quotidiano della capitale federale, lo Stars. E però è l’ambizioso e soprattutto giornalista dalla schiena dritta Ben Bradlee che lo dirige (uno spiccio Tom Hanks). Mentre è flessibile Katharine Graham (una sfaccettata Meryl Streep), che ha ereditato la testata dal padre, l’ha messa in mano al marito, continuando a occuparsi della famiglia e dei salotti ma poi, alla morte improvvisa di lui, se ne trova il peso sulle spalle. La bufera Pentangon Papers la coglie poi proprio mentre il suo giornale trova investitori che comprano parte delle quote societarie, con interessi vischiosi rispetto al potere.

Nel frattempo dalla Casa Bianca, tramite una sentenza della Corte Federale, arriva il divieto al Nyt di continuare a pubblicare i papers top secret, mentre nelle stanze del Post si riesce a mettere le mani su tutto il malloppo edificato da McNamara. Ne deriva un’alea per l’editrice: obbedire all’imposizione del Presidente per non rischiare di andare in carcere e di veder affossare il giornale, o obbedire all’etica della libertà di stampa e rendere un servizio ai cittadini. Meryl-Katharine sceglie il coraggio della verità, diventando da pecora leone, a dispetto delle aspettative discriminatorie dei più, in una società dove il potere è soltanto maschile. Ed è l’avvio di una stagione agguerrita della stampa, l’antefatto del caso Watergate che condurrà, proprio grazie alla campagna del Washington Post, alla caduta di Nixon.

Personaggi immaginari invece in The shape of water. Protagonista una trentenne muta (la struggente e pensosa Sally Hawkins), condannata perciò alla solitudine, tranne l’amicizia col vicino di casa, un paterno pubblicitario gay rimasto senza lavoro con il quale condivide la passione per gli show televisivi, le canzoni in voga, i vecchi film. Fa la donna delle pulizie, Eliza, in un laboratorio governativo, dove lega solo con una collega, una nera chiacchierona e di buon cuore. Accade un giorno che in una grande vasca chiusa in un ambiente al quale ha accesso per lavare i pavimenti veda una strana creatura, una sorta di uomo-pesce, capace di doppia respirazione, catturato in un fiume da un volgare agente di sicurezza, ingaggiato nel laboratorio proprio a controllare che tutto fili liscio. Quella creatura è un reietto, come lei e l’amica nera, impegnate a pulire orinatoi. E come il vicino gay, al quale ormai negano il lavoro, a dispetto della sua genialità. Ma con quel “mostro” Eliza comincia a dialogare, e poi a fargli sentire i suoi dischi preferiti, e poi a palpitare insieme, specie quando scopre che vogliono ucciderlo per vivisezionare il suo organismo e trarne notizie per esperimenti nello spazio, ora che monta la gara con l’Urss… Arriva a rapirlo, Eliza, a nasconderlo nella vasca di casa, a innamorarsene. Mentre gli dà la caccia il nerboruto agente, al quale il mostro ha staccato due dita con un morso. Non riveliamo l’epilogo, poetico e sorprendente, e torniamo al nostro ragionamento.

Questi due film, intanto, sanno catapultarci nel Novecento, come se entrassimo in un negozio di oggetti vintage. In The Post riconosciamo – senza indulgenze pittoresche – com’era la vita senza telefoni cellulari, allorché Nixon impartiva ordini da una cornetta e un cronista parlava con la sua fonte nell’angolo di una strada usando uno scalcinato apparecchio a gettoni, che cadevano dalla feritoia sul più bello. E ritorniamo – operazione cara ai giornalisti con i capelli bianchi – in una redazione nella quale è operativa la posta pneumatica, battono le telescriventi, la tipografia compone gli articoli con le righe di piombo caldo, le rotative girano febbrili. Ne La forma dell’acqua tengono banco il video tv in bianco e nero dove scorrono gli show di culto con ammiccanti ballerine, le insegne luminose dei cinema che squarciano il buio (notte e pioggia caratterizzano questa favola dark), i motivetti sulla bocca di tutti, i cartelloni pubblicitari popolati di torte, enormi Cadillac verdine, famiglie felici da american way of life come quella del grossolano piedipiatti con le dita in cancrena, come la società sessista e razzista che rappresenta.

Ci sono i perdenti in The shape of water, i cittadini di serie b, come è di serie b una direttrice di giornale donna. Ci sono le menzogne che fanno da fil rouge a entrambi i film. C’è, in tutti e due, un filo di ironia che rompe qua la sopraffazione sociale, là quella politica. Soprattutto, c’è l’indiretta denuncia contro Trump. Spielberg l’ha detto chiaro e tondo che più di allora l’Amministrazione mette a tacere, insabbia, minaccia la libertà di stampa. Del Toro, nella favolistica lotta dei buoni contro i cattivi, punta il dito contro l’America becera, conformista, razzista, che esclude i deboli invece di includerli.

Ci parlano dell’Oltreoceano di ieri e oggi, questi due bei film. Estranei l’uno all’altro ma in qualche modo complementari.

Facebooktwitterlinkedin