Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Quattromila secoli nel nome di Barracco

È un’emozione entrare nell’edificio, forse ideato da Antonio Sangallo il Giovane, che custodisce nel cuore di Roma la collezione di scultura antica donata dal barone calabrese al Comune della città eterna. Una sosta, trascurata dai turisti, che almeno ogni romano dovrebbe regalarsi

Il 13 novembre del 1948 – settant’anni fa – è la data che segnò la rivincita postuma del barone Giovanni Barracco. Quel giorno fu riaperta al pubblico la collezione di scultura antica che il nobile, morto nel 1914, aveva regalato a Roma. Una raccolta ospitata fino al 1938 in un palazzetto classicheggiante che Barracco aveva commissionato all’architetto Koch e che era stato costruito in Corso Vittorio Emanuele, a un passo dal Tevere, su un terreno regalato dal Comune al barone in segno di riconoscenza per la donazione di 400 pezzi provenienti da remote civiltà, Egitto, Mesopotamia, Siria, Grecia, Etruria, Roma (qualche pezzo è ora alla Centrale Montemartini in via Ostiense, nell’ambito della mostra Egizi-Etruschi, che illustra anche l’attività di grandi collezionisti operanti a Roma nel XIX secolo).

Però nel 1938 il programma di riorganizzazione urbanistica di Mussolini decretò la condanna a morte del Museo di Scultura Antica – come Barracco l’aveva chiamato, omettendo per modestia il proprio nome – insieme con altri sbancamenti eccellenti. Così la collezione fu stipata nei magazzini dei Musei Capitolini. Dieci anni dopo trovò finalmente casa: nel cinquecentesco palazzo detto Piccola Farnesina o Farnesina ai Baullari, sempre in Corso Vittorio Emanuele II, al civico 166. Un contenitore affascinante, affiancato erroneamente ai Farnese a causa dei gigli di Francia che ne ornano il marcapiano, come prezioso merletto. Entrano sì nello stemma della potente famiglia. Ma in questo caso si collegano a un prelato francese che nel 1523 volle la costruzione, ricca negli scantinati dei resti di una villa del III secolo. E siccome si chiamava Le Roy, la sede del Barracco si dice anche Palazzo Regis.

Un’emozione entrare nell’edificio che si pensa ideato da Antonio Sangallo il Giovane. La leggiadria è la sua cifra, a cominciare dal portone, elevato su una piccola gradinata ellittica. Il cortile con il portico colonnato e la loggia sovrastante ha armonia classica e la sfinge in pietra che vi campeggia anticipa il contenuto. Ai due piani superiori il soffitto ha affreschi a grottesche, in parte del ‘500. Il pavimento rilancia i rossi, i gialli, i verdi con maioliche d’epoca.

Ma chi era Barracco? La sua storia squarcia retroscena di Roma Capitale. Il barone era uno dei 12 figli di un latifondista calabrese, la più ricca famiglia della regione, proprietaria di 30 mila ettari. Giovanni fa studi classici, coltiva amicizie politiche quando si trasferisce a Napoli, è eletto nel primo Parlamento italiano. Deputato e poi senatore, ci resta mezzo secolo, tutta la vita, sedendo tra gli scranni della Destra. Il pallino per l’archeologia gli viene negli anni trascorsi a Torino, che vanta il Museo Egizio. Comincia a comprare pezzi antichi. E la raccolta si amplia a Roma. Nella casa in via del Corso stipa sculture. Predilige la parte migliore dei reperti, le teste. Sicché ora attraversare le sale del Barracco è imbattersi in una serie di facce di fattura squisita, copie romane ma anche originali greci, altorilievi provenienti da Palmyra, statuette cipriote, fino a un mosaico con il volto di Santa Romana Chiesa, residuo dell’abside medievale di San Pietro.

«Questa collezione è lunga 4 mila secoli», s’inorgogliva Barracco. E infatti tra i reperti un bassorilievo egizio è del 2400 a.C. e c’è pure la Sfinge della Regina Hatshepsut, trovata a Roma, in Campo Marzio, dov’era l’Iseo Campense. Il barone carezzava l’idea di fornire con i suoi tesori un’antologia comparata dell’arte antica. Certi oggetti hanno permesso attribuzioni importanti. Come la testa del faraone Sethi I, in principio creduta di Ramesse II per la somiglianza con la celebre statua del Museo Egizio di Torino. Il ritratto di Sethi fu rinvenuto nel castello Savelli di Grottaferrata, alcuni anni dopo un altro frammento della stessa statua, la parte del corpo seduta sul trono.

Di molti oggetti però non si conosce la provenienza. Barracco li comprò nei cantieri della nuova Capitale che costruiva banche e ministeri. Lui si scagionò moralmente dai disinvolti acquisti donandoli infine al Comune. Meritano l’interesse del pubblico, ed è appello alle frotte che sciamano da piazza Navona a Campo de’ Fiori senza entrare nel Barracco. Vi si svolge tra l’altro attività didattica. E il prossimo 31 gennaio il Museo aprirà le porte ai non vedenti per una visita tattile-sensoriale con operatori specialisti.

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