Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Con papi e cortigiane sulla Via Recta

Via dei Coronari, a Roma, voluta da Sisto IV nel ‘400 per far raggiungere più facilmente San Pietro, è uno scrigno di storie. Dalla “casa di Fiammetta”, a piazza Lancellotti, a San Salvatore in Lauro, dove in questi giorni, nel complesso della Confraternita dei Piceni, si celebra con una mostra il pontefice mecenate Clemente XI

Le giornate ancora corte si addicono a via dei Coronari. La notte scende presto e allora s’accendono i lampioni – ingabbiati nel ferro, come nell’Ottocento – e sulla strada lunga (mezzo chilometro) e stretta (si chiamava Via Recta) è come se si alzasse il sipario. I personaggi di una improvvisata commedia dell’arte sono i passanti e gli abitanti, che sbucano dall’intrico di vicoli medievali rinserrati da un lato per la barriera del Tevere. Le automobili sono out, il silenzio del crepuscolo regna e allora diventano dramatis personae credibili nel loro fermarsi davanti alle vetrine degli antiquari e dei galleristi o sulla soglia di un bar, per le chiacchiere del rione Ponte. E se pure qualche negozio di paccottiglia comincia a intrufolarsi, restano l’aura e il suono dei secoli passati nel gorgoglio di una fontana, nella preghiera davanti a una Madonnella, nello scoppio di risate ai piedi della scala di quello che una volta era il Teatro di Via dei Coronari.

Perché si chiama così? Perché Sisto IV ne fece il Corso, la strada più diretta per i pellegrini che nel ‘400 volevano raggiungere San Pietro. E allora le botteghe vendevano le corone del rosario. Si chiamavano anche “paternostrari” e contendevano metà della via agli “scorticiani”, i conciatori di pelli. Del resto, popolosa e popolare com’era, via dei Coronari aveva due anime, sacra e profana. Di quella pia testimoniano appunto il nome e le edicole ai crocicchi, con capricci barocchi o angeloni sospesi, come l’Immagine di Ponte, sul palazzo del Cardinale Serra di Monserrato. Di quella licenziosa le case rinascimentali delle prostitute. Per esempio quella di Fiammetta, la cortigiana venuta da Firenze, diventata amante di Cesare Borgia, gratificata di tre abitazioni da Sisto IV. La grazia del palazzetto, candido sopra il portico ad arcate, fa immaginare la bella affacciata alla finestra, protagonista di una recita in questa strada-teatro.

Non solo Fiammetta, però, tra le cortigiane che abitavano qui. Le cronache rinascimentali ricordano anche l’esuberante Imperia, detta “La divina” e vicina di casa di Raffaello, che si dice risiedesse al n. 122-123. Ma era anche luogo di banchieri. Più avanti, al 148, la dimora di Prospero de’ Mochis, abbreviatore apostolico e commissario generale delle fortificazioni di Roma. Alle finestre del secondo piano i motti Non omnia possumus omnes e Promissis mane (non tutti possiamo fare tutto; mantieni le promesse). La strada sfocia in via del Banco di Santo Spirito, col palazzo di Antonio da Sangallo, nel ‘500 adibito alla Zecca e frequentato dal banchiere fiorentino Agostino Chigi, altro ammiratore di madama Imperia.

Ecco dunque piazza Fiammetta nella nostra passeggiata. Poi, i cambi di scena negli slarghi che intersecano l’ex Via Recta. Piazza Lancellotti, dal serioso palazzo col bugnato, dimora della nobile stirpe capitolina: il grande e il piccolo, l’aulico e il pittoresco s’alternano qui. Di fronte alla mole dell’edificio patrizio, la rinserrata facciata di quella che una volta era la chiesa di San Simeone; e al centro una fontana tanto elegante quanto fatta di niente – la tazza tonda, lo zampillo sormontato da un’alzatina – rinforza l’armonia dello scorcio.

Grande quinta scenografica, poco oltre, in una piazza che s’allarga nella facciata e nei contrafforti della chiesa di San Salvatore in Lauro. C’era un boschetto di allori, una volta, che le diede il nome. Nel ‘600 l’acquisì la Confraternita dei Piceni. Ma il ricordo dell’odorosa selva è rimasto e ha salvato l’appellativo originario. E sì che i marchigiani hanno plasmato tanto il complesso. E ne continuano a fare il loro orgoglioso quartier generale con incontri e mostre. Ora per esempio è allestita (fino al 25 febbraio) quella dedicata a papa Clemente XI – Collezionista e mecenate illuminato, al secolo Giovanni Francesco Albani di Urbino, salito al soglio pontificio nel novembre del 1700. Il suo interesse per l’arte lo portò ad acquisire opere importanti, ora confluite in un Fondo che contempla, tre le altre, le firme di Raffaello, Barocci, Lanfranco ma anche di autori contemporanei al pontefice, da Carlo Maratta a Gaspar Van Wittel, a Giuseppe Ghezzi. Clemente XI fu anche generosissimo di opere pubbliche, sia nella sua città che a Roma, dove tra l’altro volle che tornasse a essere eretta la Colonna Antonina.

Ben lo rappresenta allora lo scenografico complesso dei Piceni. L’interno della chiesa – la cupola, le colonne corinzie binate, il candore di pareti e volte – ha la firma del Mascherino, l’architetto del Quirinale. Il chiostro testimonia la presenza di un convento diventato poi collegio per studenti di medicina venuti dalle Marche. La facciata ha la dedica alla Vergine. Proprio da qui a maggio, nel giorno dedicato alla Madonna di Loreto, una processione raggiunge piazza Navona. Nel sacro corteo Roma ritrova tradizione e devozione.

 

Facebooktwitterlinkedin